La croce delle sette pietre è uno dei film più celebri per gli amanti dell’orrore alternativo, dei cultori del trash e di ciò che, nel bene e nel male, rappresenta la creatività italiana nella sua accezione più bizzarra. Una pellicola risalente al 1987 che compie oggi ben trenta anni di lunga carriera. Il film, il cui sottotitolo è oggi una frase di culto, ovvero Il Lupo Mannaro contro la Camorra, ha una numero incredibilmente alto di cultori ed è stato celebrato al recente Fantafestival edizione 2017 con una ovazione senza precedenti. Ideato, diretto ed interpretato dall’ormai leggendario regista napoletano Marco Antonio Andolfi.

La croce dalle sette pietre è un film di cui si potrebbe discutere per ore. Una di quelle pellicole che sfiorano talmente tanto l’assurdo e volutamente mescolano elementi antitetici da proporsi quasi come trash volontario. Analizzandone i contenuti troviamo infatti una povertà di mezzi disarmante, in primis il “costume” dell’uomo lupo, di fatto interpretato dal regista stesso, che indossa una bizzarra maschera, peraltro nemmeno vagamente somigliante ad un lupo, e sotto è completamente nudo! Ma non solo. Il voler caratterizzare a tutti i costi i personaggi con il substrato culturale napoletano, al punto da rendere il film in certi momenti quasi una parodia di se stesso, è una scelta che, di fatto, denota genialità ma allo stesso tempo follia pura. Credibilità o divertimento fine a se stesso? I fan di questo film, che, col senno di poi, sono ormai milioni in tutto il mondo, ancora se lo stanno chiedendo.

Marco Antonio Andolfi inserisce volutamente tutti elementi disturbanti, confezionando un film dell’orrore che, di fatto, avrebbe un plot interessante, nonostante la povertà disarmante di mezzi ed effetti speciali, ma il voler infierire così tanto nell’utilizzo di attori dilettanti, comparse fin troppo provinciali, che diventano delle vere e proprie macchiette, fa andare il film nella precisa direzione del trash puro. In un periodo, oltretutto, in cui il concetto stesso di Trash Cult non era neanche stato ipotizzato dalla critica moderna. La croce delle sette pietre è un film volutamente brutto, ma brutto forte, al punto da diventare, paradossalmente, bellissimo. L’uso di effetti speciali che paiono provenire da un trip allucinogeno a base di non meglio determinate sostanze tossiche rende il film visivamente improbabile, allucinogeno e malsano. Una gioia per gli occhi, se si cerca qualcosa di veramente forte e strano. Del resto, ricordiamolo, siamo nel 1987, uno degli anni in cui la filmografia horror italiana stava partorendo a raffica seguiti apocrifi del leggendario Dawn of The Dead di George Romero e che aveva appena visto arrivare in edicola un fumetto dell’orrore d’autore, quel Dylan Dog di Tiziano Sclavi, che diventerà decisamente importante per l’intero genere.

La blasfemia volontaria del film, che vede in una scena culmine persino un amplesso bestiale tra la creatura ed una cartomante napoletana fin troppo caratterizzata e stereotipata, trova la sua salvezza nel finale, in cui si vede la santità di San Pietro porre rimedio al male che cerca di trionfare sul bene. Un messaggio positivo, dunque, per un titolo che è entrato di diritto nella top ten assoluta del Trash migliore di sempre. La croce dalle sette pietre è un titolo da vedere almeno una volta nella vita, per tutti gli amanti del filone Spaghetti Horror. Il film, di fatto, nasconde un segreto agghiacciante, poichè è stato prodotto ufficialmente con i fondi del Ministero Dei Beni Culturali, in cui qualche illuminato dell’epoca ha capito quanta fosse la grandezza di una simile idea folle e dirompente. Di fatto il film ha delle trovate e dei rimandi culturali interessanti, come quelli alla mitologia greca, a cui è palesemente ispirata la maschera, ma il voler mescolare tutto questo con elementi presi dal verismo più realistico, quasi fosse un Giovanni Verga del cinema d’orrore, rende il titolo unico, allucinato e folle. Il regista, in seguito, dichiarerà anche che le esperienze dirette con la Camorra sono state per lui reali, ed inserirle nel film è stato un modo per esorcizzarle.

Il personaggio di Aborym, alter ego del povero Marco, anonimo impiegato protagonista del film, è interpretato, come già detto, dal regista stesso, che però utilizza lo pseudonimo di Eddy Endolf, per non far comparire che era sempre lui alla produzione che finanziava il film. Un demone evocato da una setta satanica, che in realtà non è propriamente la stessa cosa di un reale licantropo. Ed è forse questo a salvare la caratteristica più assurda del film, ovvero il fatto che Marco Antonio Andolfi compaia nel film completamente nudo per interpretare una creatura, il classico Uomo Lupo, che invece, nell’immaginario letterario e cinematografico, è ovviamente ricoperto di una folta pelliccia come l’animale a cui si ispira. Pensiamo ad esempio ad un grande classico della cinematografia horror che ha trattato questo tema, ovvero The Howling di Joe Dante del 1981, il cui titolo italiano è L’ululato. Il protagonista del film, Robert Picardo, che i fan di Star Trek identificheranno anni dopo con il celebre M.O.E. (Medico Olografico d’Emergenza), ha fatto vedere, ben sei anni prima, una trasformazione in licantropo ben più credibile, con tutti i peli al posto giusto. Nel 2007 un cortometraggio intitolato Riecco Aborym, ripresentato dal Fantafestival durante la proiezione del trentennale, ha celebrato il personaggio, dando un seguito alla storia e facendo vedere nuovi particolari sulla vita di Marco, protagonista della pellicola di culto.

Oggi il film La croce dalle sette pietre è difficile da reperire, nonostante alcune interessanti collane specializzate lo abbiano ripubblicato spesso in formato VHS e DVD, anche se lo troviamo integralmente sul canale YouTube, con la bonaria tolleranza dell’autore stesso, abituato da anni alla distribuzione pirata incontrollata nei suoi tanto amati mercatini napoletani. Decisamente, buona visione.
https://www.youtube.com/watch?v=bXXDoJegAl8