Beyond: Due Anime torna su PlayStation 4 e riporta sugli scaffali del negozio digitale di casa Sony l’ultimo nato di Quantic Dream, in attesa dell’edizione su disco, prevista solo per il prossimo anno, che sarà racchiusa in un cofanetto insieme a quella del suo “parente più prossimo”, Heavy Rain. Tornano anche Ellen Page e Willem Dafoe, stavolta in 1080p. Cosa potrebbe mai rovinare la festa? Ah già, il gioco. L’intento è nobile: quello proposto da David Cage, il regista del gioco, è un apparato strutturale tipico del romanzo di formazione, e nel dispiegarsi dell’intreccio è possibile scorgere il tentativo di voler stratificare la narrazione in modo tale da abbinare al racconto di una vita (quella di Jodie, interpretata da Ellen Page) anche quello di un tempo, di un contesto socio-culturale; sul tutto imperversa un’entità soprannaturale, Aiden, che con alterne vicende accompagna Jodie sin dalla nascita. La sequenzialità non-lineare della storia, inoltre, simula una sorta di “diario scompaginato”, dissacrante e curioso, che sulla carta potrebbe caricare di identità la natura episodica delle scene.
DUE ANIME, ZERO CARISMA
Tutto ciò crolla però miserevolmente proprio a causa della pochezza sia dell’assunto narrativo di base, sia, soprattutto, della caratterizzazione ambientale e situazionale, costellata di tiratissimi stereotipi e affatto documentaria o appassionante. Volendo intentare un confronto che possa fungere da controprova a quanto desunto, invito i lettori a prendere per un attimo a modello il Carrie di Brian De Palma, film cult del 1976 tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King; trovo che sia un perfetto esempio di come esplorare i temi della crescita e delle relazioni interpersonali (nonché dello sviluppo e della presa di coscienza del sè e dell’alterità) attraverso la chiave dell’elemento paranormale, essendo al tempo stesso un vero e proprio affresco della coloratissima ipocrisia dell’America degli anni 70, all’interno del quale lo stereotipo è trasformato in elemento iconografico carico di valenza narrativa. Non c’è la minima traccia di simili commistioni nel lavoro di Quantic Dream, perso in vicende strampalate di personaggi ben poco interessanti immersi in una gigantesca uncanny valley, che per di più si muovono in ambienti che paiono a tratti dei tristi cartonati, a tratti dei set di plastica messi insieme alla bell’e meglio. Dal punto di vista del gameplay, saremo chiamati semplicemente a muovere di tanto in tanto i protagonisti al fine di raggiungere una delle (pochissime) zone capaci di fornire qualche tipo di interazione con oggetti o, più frequentemente, favorire l’inizio della successiva cutscene; potremo poi compiere delle scelte in fase di dialogo in grado di comportare (pochi) cambiamenti nello sviluppo delle vicende e imbracciare armi in circoscritte sequenze di shooting certamente dimenticabili. Anche la gestione di Aiden, l’entità paranormale che accompagna Jodie, è assai poco stimolante in quanto macchinosa nelle meccaniche e costantemente ostacolata da numerosissime limitazioni. Per chi ne avesse nostalgia, accogliamo di cuore il ritorno del “twister con le dita” già visto in Heavy Rain, che metterà alla prova la vostra capacità di premere più tasti del pad possibili contemporaneamente al fine di compiere azioni complesse come sbucciare una mela. Ironia a parte, il problema di questa produzione non risiede assolutamente nella sua natura, che è sì sbilanciatissima ma perché estremamente incline all’aspetto cinematografico; è chiaro che chi sceglie di dedicare il suo tempo a Beyond: due anime non lo fa certamente per cercare la stessa esperienza che troverebbe, per esempio, nel Vanquish di Platinum Games. Il problema di Beyond è, esattamente come era accaduto con Heavy Rain, quello di essere un film, sì, ma un film alquanto mediocre, che mai e poi mai potrebbe sperare di spuntarla nemmeno contro un qualsiasi telefilm di bassissimo rango. L’immaturità di questo prodotto non si misura in carenze strettamente tecniche, bensì in lacune di scrittura, intesa anche in termini più ampi come il suo design a 360° gradi.
REMASTER… O REPACKAGE?
Beyond: Due Anime arriva su PlayStation 4 dopo aver già fatto sfoggio di se su PlayStation 3 qualche anno fa. Il peso delle differenze tra le edizioni è molto limitato, nonostante possa variare a seconda dell’interesse del singolo acquirente, soprattutto se questo è più legato alla cosmesi o al contenuto dell’esperienza complessiva. Prima di tutto, il gioco ora gira nativamente a 1080p, sebbene l’aspect ratio comporti la presenza di bande nere orizzontali che riducono, linee alla mano, i valori della pura risoluzione. La fotogrammazione al secondo si assesta sul valore di 30, mantenuto con granitica solidità; questo è un buon passo avanti rispetto all’incarnazione precedente, specialmente condiserata la natura cinematografica del titolo, che mal si sposa con dei frame rate bassi e molto incostanti. C’è indubbiamente maggiore profondità di campo nelle immagini, la renderizzazione di illuminazione e (soprattutto) ombre è stata migliorata ed è stato inserito un effetto di motion blur molto morbido e calzante ad accompagnare alcuni movimenti di camera (in particolar modo durante il controllo del fluttuante Aiden). C’è da riconoscere, però, che benché questa produzione faccia sfoggio di una certa forza muscolare (visivamente parlando), stiamo comunque parlando di un risultato che semplicemente si è liberato, rispetto alla versione originale per PS3, di alcuni limiti tecnici dovuti all’hardware di partenza; nè più, nè meno. A colpo d’occhio, le due edizioni sono estremamente simili. Dal punto di vista contenutistico, la nuova versione si propone di fatto come una “complete edition”, in quanto inclusiva anche del dlc “Esperimenti avanzati”; la novità che salta all’occhio è l’inserimento della modalità che permette di rivivere tutta la storia in ordine cronologico, che a mio avviso ha la stessa utilità del cut cronologico del film Memento, ovvero nessuna, se non quella di banalizzare totalmente l’aspetto strutturale privandolo della non-linearità.