The Legend of Heroes: Trails of Cold Steel – Recensione

La storia della Nihon Falcom in occidente è abbastanza travagliata: benché si tratti di una delle più acclamate e longeve case di software in Giappone, autentica pioniere del genere action RPG con il suo Dragon Slayer e celebre per l’indiscussa qualità delle colonne sonore, composte dallo storico Falcom Sound Team jdk, al contrario di altre società concorrenti come Enix e Square non ha mai aperto una sussidiaria ufficiale al di fuori del territorio nipponico, scelta che ha portato il marchio ad essere poco riconosciuto all’estero ed i suoi titoli ad una distribuzione eterogenea curata da editori differenti fra cui Sega, Hudson Soft, Atlus e Nintendo, con risultati spesso contraddittori in termini di traduzione e adattamento.
Per fortuna, il successo di critica e pubblico ottenuto con i recenti capitoli di Ys, la loro saga più conosciuta qui da noi, ha spinto la Falcom a stringere una partnership esclusiva con XSEED Games, branca statunitense della Marvelous Inc. dedita alla localizzazione di giochi validi ma spesso ignorati dalla maggior parte delle case editrici. Tale accordo ha spinto questi ultimi a farsi carico della versione in lingua inglese della cosiddetta serie Kiseki, o Trails così com’è stata trasposta (kiseki sta infatti per traccia, luogo o sentiero), i cui singoli episodi formano degli archi narrativi individuali che convergono in un’unica epopea ambientata nel vasto continente di Zemuria, dove intrighi politici e alleanze occulte cospirano per impossessarsi del lascito di antiche civiltà. Buona parte dei consensi che questa formula ha raccolto risiede nell’intreccio di personaggi ed eventi fra i vari archi, con molteplici elementi appena accennati in un gioco che prendono poi vita nei successivi: ne consegue un quantitativo enorme di testi e dialoghi su cui lavorare, che hanno inciso pesantemente sulla data di rilascio di Trails in the Sky ma soprattutto del suo sequel, lanciato a quasi dieci anni di distanza dalla controparte giapponese. Dopodiché, invece di concentrarsi sul terzo e ultimo capitolo di Sky, che chiude il cosiddetto Arco di Liberl (dal nome del regno in cui si svolgono i fatti), o sulla duologia del successivo Arco di Crossbell che comprende Zero no Kiseki e Ao no Kiseki (rinominati dai fan Trails to Zero e Trails to Azure), la XSEED ha preferito rivolgere gli sforzi su questo The Legend of Heroes: Trails of Cold Steel, primo di un nuovo ciclo che vede il fulcro delle vicende spostarsi sul pesantemente militarizzato Impero di Erebonia.

The Legend of Heroes: Trails of Cold Steel 1

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Una simile decisione è maturata in virtù sia della relativa “freschezza” del motore grafico che muove Cold Steel, pensato per una generazione più avanzata di console, che del modo in cui Toshihiro Kondo e tutto lo staff della Falcom hanno concepito la fruibilità della storia, i cui archi possono essere affrontati in qualsiasi ordine senza timore di saltare passaggi importanti, dato che i retroscena vengono illustrati con dovizia di particolari. Trails of Cold Steel si apre in medias res, con un gruppo di allievi dell’Accademia Militare Thors e due dei loro professori impegnati a fronteggiare un attacco terroristico presso la Fortezza di Garelia: gli invasori sembrano intenzionati a scatenare una guerra contro la vicina città-stato di Crossbell, utilizzandola come bersaglio per i giganteschi cannoni su rotaia custoditi nella roccaforte sui quali hanno messo le mani. Ciò che colpisce immediatamente durante i primi minuti di gioco è il ricco ed eterogeneo cast di personaggi cui veniamo introdotti, un ritorno alle consuetudini dei migliori JRPG del passato che puntavano meno alla customizzazione assoluta del proprio avatar virtuale e più alle relazioni fra compagni d’avventura con personalità e caratteristiche già ben delineate. Dopo un colpo di scena e la successiva brusca interruzione del prologo, la storia fa un passo indietro di qualche mese e ci permette di fare la conoscenza dei protagonisti a partire da Rean Schwarzer, figlio adottivo di uno dei nobili di Erebonia e matricola del summenzionato istituto: la discendenza acquisita del ragazzo è uno dei punti cardine attorno ai quali si snoda il racconto, poiché l’impero è in tumulto a causa della tensione crescente tra la fazione degli aristocratici, che esercitano da secoli un controllo di tipo oligarchico sulla regione, e quella dei riformisti, decisi invece a restituire i poteri decisionali al popolo. La dicotomia ideologica è talmente radicata nella cultura ereboniana da essere stata trasmessa di padre in figlio, tanto che persino Thors adotta due uniformi differenti per distinguere il rango di appartenenza degli studenti: verde per i comuni cittadini e bianca per i blasonati.

[quotedx]Trails of Cold Steel vede il fulcro delle vicende spostarsi sul pesantemente militarizzato Impero di Erebonia[/quotedx]
Tuttavia, la divisa indossata da Rean è di colore rosso acceso e simboleggia un particolare corpo accademico i cui membri, oltre alle normali attività scolastiche, devono anche prendere parte a specifici incarichi extra-curriculari mirati a testare sul campo il funzionamento dell’ARCUS, uno speciale congegno che amplifica le capacità in combattimento e facilita la comunicazione fra i proprietari. La Classe VII, così viene ribattezzata tale divisione, è composta da iscritti di ogni estrazione sociale che saranno dunque costretti a lavorare anzitutto su conflitti e pregiudizi morali, fattore che mette in risalto il notevole lavoro svolto dagli sceneggiatori e che si interseca alla perfezione con la parte esplorativa del gameplay: i benefici dell’ARCUS sono infatti direttamente proporzionali al legame che esiste fra le persone che ne fanno uso, ed è per questo che a Rean viene concesso del tempo libero fra una missione legata a la storia e le varie subquest per interagire con gli altri studenti della Classe VII, utilizzando un approccio analogo a quello di un qualsiasi dating sim come già visto in Persona 3 e 4. Per forza di cose, dato il numero così ampio di personaggi, non è possibile curare i rapporti con tutti allo stesso modo, dunque sarà necessario operare delle scelte che avranno un impatto esplicito sul campo di battaglia. Tanto la trama principale quanto le sue sfaccettature secondarie, compresi gli stralci di vita scolastica relativamente normale, giocano su molte delle tematiche più note del genere, dalla lealtà verso i propri alleati agli intrighi politici passando per i sentimenti, l’onore e il tradimento. Niente di nuovo sul fronte occidentale, dunque, ma quel che c’è viene narrato con estrema competenza e, per nostra fortuna, anche raccolto in un utile diario consultabile in qualsiasi momento per non perdere il bandolo della matassa.

The Legend of Heroes: Trails of Cold Steel 2

Tornando a parlare del sistema di combattimento in sé, le meccaniche di base ci sono tutte: attacco, difesa, fuga e utilizzo di oggetti e capacità speciali sono azioni comuni eseguibili all’interno di un classico sistema a turni. Le magie e gli attacchi speciali, qui chiamati Orbal Arts e Craft Skills, dipendono da altrettante barre energetiche e forniscono adeguato supporto sia offensivo che difensivo, ancora meglio se contrapposto alle vulnerabilità elementali dei nemici affrontati. Ciò che distingue in parte Cold Steel dal resto dei suoi simili è il suddetto ARCUS, che si traduce nella distribuzione oculata dei Quartz al suo interno, cristalli speciali atti a personalizzare il “corredo da battaglia” di ciascun personaggio. Per quanto sia un’evoluzione del medesimo concetto visto in Trails in the Sky (e nei due episodi inediti dell’Arco di Crossbell), in questo caso entra in gioco anche la solidità dei legami interpersonali costruiti nel corso dell’avventura, in quanto i possessori di ARCUS possono entrare in risonanza reciproca durante gli scontri ed esibirsi in devastanti attacchi combinati, tanto più potenti quanto più elevata è la loro affinità. Ulteriore componente strategica deriva dalla visibilità dei nemici sulla mappa e nei dungeon, che possiamo di conseguenza evitare oppure attaccare a sorpresa nel tentativo di stordirli e fronteggiarli così con un marginale vantaggio, piccoli accorgimenti che alla lunga servono per spezzare la monotonia dell’esplorazione.

[quotesx]Tanto la trama principale quanto le sue sfaccettature secondarie giocano sulle tematiche più note del genere[/quotesx]

Per completare The Legend of Heroes: Trails of Cold Steel sono necessarie circa 50 ore di gioco, senza contare le tonnellate di missioni accessorie che altrimenti fanno quasi raddoppiare la cifra: c’è da dire che la struttura di quasi tutte le quest non si discosta molto dal tipico “recupera l’oggetto A e/o uccidi il mostro B per conto della persona C”, fattore da tenere in considerazione prima di imbarcarsi in un’opera di completamento che potrebbe rivelarsi fin troppo onerosa. Il comparto grafico è abbastanza gradevole e diversificato, anche se una maggiore varietà nella conformazione e nell’estetica dei dungeon non avrebbe guastato. Purtroppo, il motore grafico zoppica proprio sui modelli tridimensionali dei personaggi, davvero poveri di poligoni, e sulle animazioni degli stessi, un po’ troppo goffe e legnose anche per un titolo originariamente pubblicato nel 2013, difetti oltremodo apparenti nella versione PlayStation Vita. A fare da contraltare c’è la splendida colonna sonora che si attesta senza appello fra le migliori del genere, con una pletora di melodie diverse concepite per sottolineare alla perfezione ogni frangente.

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