Ori and the Blind Forest – Definitive Edition – Recensione

Fin dalla sua prima rivelazione nel corso della conferenza stampa tenuta da Microsoft durante l’E3 del 2014, l’estetica e la direzione artistica di Ori and the Blind Forest, prima creazione dei Moon Game Studios la cui proprietà intellettuale venne acquistata dalla casa di Redmond all’inizio dei suoi quattro anni di sviluppo, hanno catalizzato l’interesse di critica e pubblico grazie ad una commistione di generi che rievocano i migliori lavori Disney, le opere dello Studio Ghibli ed una struttura di gioco molto in voga per i platform più apprezzati ai giorni nostri, quella dei cosiddetti metroidvania. Tuttavia, dopo aver sperimentato con mano il livello qualitativo dell’offerta, e memore delle già citate analogie stilistiche che purtroppo, nella maggior parte dei casi, si rivelano soltanto epidermiche e nascondono meccaniche approssimative o incomplete, resta un’unica parola che prende forma nella mente dei giocatori più navigati allontanando tutte le altre, pur tenendole vicine a sé: questa parola è Nintendo. Non mi riferisco chiaramente alla casa di software in sé, ma alla filosofia adottata in alcuni dei loro titoli migliori come Super Metroid, Super Mario Bros. 3 o The Legend of Zelda: Ocarina of Time, grazie alla quale ogni singolo elemento che contribuisce a plasmare il mondo di gioco e le conoscenze trasmesse a quanti vi interagiscono si concretizza in un unico insieme, congruo ed omogeneo. Le similitudini rintracciate in Ori non sono pertanto una semplice trovata pubblicitaria che punta sul fattore nostalgia, ma il frutto dello studio, del rispetto e della reale passione degli sviluppatori per i grandi classici di un tempo, che in questo splendido platform non vengono meramente scimmiottati ma, anzi, replicati in maniera perfetta e addirittura, da un certo punto di vista, anche superati, per quanto suoni strano dirlo a proposito di un titolo ancora così giovane. Ori and the Blind Forest prende insomma ricca ispirazione da un contesto già sfruttato e rifinito da molti dei suoi simili, ma affronta l’ardua impresa di non farsi definire da esso e non risultare un confusionario guazzabuglio di stili ed epoche differenti, quanto piuttosto una somma coerente delle parti con un obiettivo finale ben preciso.
Ori and the Blind Forest

UNA MAGIA LUNGA UNA VITA

Non è dunque una questione di “cosa” fa, ma di “come” riesce a farlo. Nei bianchissimi panni del piccolo Ori, uno spirito lucente incaricato di ritrovare i tre elementi in grado di ripristinare l’equilibrio della foresta di Nibel, spezzato da un recente cataclisma di origini misteriose, saremo alle prese con un vasto assortimento di scenari da esplorare, nemici da sconfiggere, miglioramenti e abilità da sbloccare che ci consentiranno di accedere a porzioni di livelli precedentemente irraggiungibili. Tutto come da manuale. Ben poco da manuale, invece, è la cura riposta nella perfetta calibrazione del level design, che non sempre viene riscontrata in titoli del genere: lo sviluppo del nostro fulgido avatar procede di pari passo con l’evoluzione delle schermate che esploriamo, ampliando i nostri ed i suoi poteri in maniera tale da fornirci un senso costante di avanzamento, riflesso nella difficoltà che scala a sua volta ma riesce ad arrestarsi nei punti più strategici per non spezzare il ritmo acquisito. I Moon Games Studio sono consapevoli di cosa stanno facendo e sanno come farlo al meglio, ed è proprio questa limpida consapevolezza il motivo per cui Ori and the Blind Forest ripercorre così bene una strada ben delineata dai suoi predecessori tanto da finire per abbozzarne una nuova lui stesso. Parlando di cognizione di causa, di solito una delle pecche strutturali in cui inciampano persino i migliori metroidvania è la necessità, dovuta o imposta, di visitare di nuovo luoghi già oltrepassati più e più volte perché impossibilitati a proseguire oltre, alla ricerca di un elemento in grado di risolvere l’impasse grazie alle capacità di cui prima non eravamo in possesso.

[quotedx]Ori, uno spirito lucente incaricato di ritrovare i tre elementi in grado di ripristinare l’equilibrio della foresta di Nibel[/quotedx]

Ebbene, anche in questo caso vi sono circostanze che ci obbligano a tornare sui nostri passi, ma il motivo è quasi sempre ben integrato nella storia e tali necessità vengono mitigate dalla maturazione dei poteri di Ori, che alterano drasticamente il modo in cui possiamo navigare le schermate a noi note. Su carta, questo dettaglio sembra una cosa da poco, ma il risultato è quello di sottolineare altresì i progressi del giocatore senza costringerlo a ripetere le medesime sequenze a comandi invertiti, mantenendo dunque acceso il suo interesse in merito alle azioni compiute dal suo alter ego. Per quanto l’aspetto esteriore possa suggerire il contrario, Ori and the Blind Forest non è affatto un gioco semplice: l’asticella della difficoltà è sorprendentemente fissata a una discreta altezza, tale da richiedere un certo lasso di tempo per padroneggiare i comandi ed i tempi di reazione dello spiritello, e non fa che aumentare con il prosieguo dell’avventura. Non è strano inanellare una serie di morti premature in determinate sezioni, soprattutto all’inizio, solo perché non siamo riusciti a reagire in tempo ad un assalto repentino della fauna selvaggia di Nibel o non abbiamo compreso a fondo la conformazione di un livello, e l’esigua distribuzione dei punti di salvataggio e ripristino non aiuta. Ma, oltre alla possibilità di creare dei checkpoint al di fuori del combattimento, la soluzione ideale per contrastare anche le asperità più problematiche risiede nell’analisi visiva delle ambientazioni e del modo in cui possiamo spostarci attraverso le stesse: sia gli avversari che le piattaforme e gli oggetti con cui possiamo interagire possiedono infatti un’identità ben riconoscibile, un autentico “peso specifico” che appartiene anche ad Ori e che ci consente, prestando la dovuta attenzione, di identificare ad esempio quanto lontano riusciamo a saltare, cosa possiamo aspettarci di incontrare oltre un certo percorso e quali opzioni abbiamo per aggirare l’ostacolo. Badate bene: prendere dimestichezza con gli scenari e gli abitanti della foresta non semplificherà affatto la nostra odissea, ma la renderà quantomeno più intuitiva ed approcciabile, oltre ad accrescere il coinvolgimento facendoci sentire parte di un mondo che si dispiega davanti ai nostri occhi e ci rivela i suoi segreti.

Ori and the Blind Forest

Non posso poi evitare di soffermarmi sulla bellezza mozzafiato dei fondali e delle animazioni, benché non sia facile spiegarlo soltanto a parole. A costo di sembrare esagerato, posso assicurarvi che la magnificenza degli screenshot e dei trailer recuperabili ormai un po’ ovunque non sono neanche paragonabili alla meraviglia che è possibile sperimentare giocando in prima persona al titolo dei Moon Games Studios, dato che un altro dei suoi punti a favore è la capacità di continuare a migliorarsi, visivamente parlando, dopo ogni evento chiave della storia, pur restando una vera gioia da guardare anche nelle fasi per così dire “neutre”. Ori and the Blind Forest riesce a camminare lungo la sottile linea che divide il desiderio di stupire il giocatore dalla tentazione di annichilirlo con effetti speciali e trovate grafiche di ogni tipo (correndo quindi il rischio di lasciarlo impassibile di fronte all’ennesima trovata) con la maestria di un equilibrista provetto, ed a ricavarsi un posto di prim’ordine fra i giochi più belli in assoluto da ammirare, anche dopo essere riusciti a portarlo a termine. La nuova Definitive Edition che oggi possiamo stringere fra le mani integra un certo quantitativo di contenuti supplementari senza stravolgere le meccaniche di base, il più significativo dei quali è l’aggiunta di due nuove sezioni che contengono una serie di eventi legati a Naru, la creatura che “adotta” Ori dopo che quest’ultimo viene separato dall’Albero dello Spirito, nonché altrettante abilità extra potenziabili. E’ presente inoltre una modalità facilitata, con checkpoint automatici e nemici meno letali, ed una più impegnativa, che raddoppia i danni ricevuti da qualunque fonte, come pure un elemento competitivo legato alla possibilità di completare l’avventura avendo in dotazione una singola vita, con tanto di classifiche locali e globali che permettono di confrontare le statistiche di fine partita con quelle degli altri giocatori. La funzione dei Pozzi Spirituali nei quali è possibile salvare è stata poi espansa, consentendo il teletrasporto fra quelli attivati e diminuendo ulteriormente il già ridotto fastidio del backtracking. Infine, i giocatori possono accedere tanto agli intermezzi animati quanto ad un gran numero di materiale promozionale raccolto durante lo sviluppo del titolo grazie ad una sezione dedicata nel menu iniziale. Per tutti i possessori dell’originale, la Definitive Edition sarà acquistabile direttamente dallo store Xbox alla modica cifra di 5 euro, mentre il gioco completo ne costerà 19,90. Per i fanatici degli obiettivi, la nuova versione non è compatibile con quella vecchia né con i salvataggi effettuati su quest’ultima, poiché viene trattata come un gioco diverso a tutti gli effetti: sarà pertanto necessario ricominciare daccapo per ottenere gli achievement presenti sulla lista dell’edizione definitiva, il che potrebbe anche rappresentare un vantaggio per chi ama arricchire il proprio punteggio virtuale.