Deus Ex: Mankind Divided – Recensione

Adam Jensen è indubbiamente figo. Sarà lo sguardo da duro, saranno gli innesti bionici installati sul suo corpo. Sarà, soprattutto, quello status da protagonista assoluto di un gioco incredibile come Deus Ex: Human Revolution, datato 2011, e del suo seguito diretto, quel Deus Ex: Mankind Divided pronto ad anticipare la stagione autunnale con una dose di qualità e di quantità difficilmente riscontrabile in altri titoli o in altre esperienze. Tanto per dire che sì, Mankind Divided è figo quanto Jensen ed è bello, almeno, quanto Human Revolution.

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DAL DIO ALLA MACCHINA

Quantità, già. E pure tanta qualità. A partire dalla storia narrata che, saggiamente, oltre al suo protagonista, riprende il contesto già vissuto con il precedente capitolo. Tutto come prima, tutto diverso, perché passata la “moda” degli innesti cibernetici, ovviamente saldamente installati sul corpo del soldato Jensen, il mondo è spaccato in due. Da una parte gli umani, dall’altra gli “augmented” come Adam. Con i dovuti distinguo, si intende. Perché gli umani possono essere ben predisposti nei confronti degli ibridi cyber o, piuttosto, cani rabbiosi pronti a discriminare una fetta importante di una società radicalmente cambiata rispetto al 2027. Due anni dopo, infatti, il mondo è diverso. Due anni dopo, pure, il mondo è cattivo, sporco, crudele verso chi è diverso, verso chi, orgogliosamente, rivendica il proprio status di aumentato. Verso chi non si arrende e, piuttosto, reagisce alla violenza. Il mondo di Mankind Divided è un mondo che vive nel terrore, quello più puro e più vero, tra un attentato in metropolitana e un’esplosione in pieno centro. È un mondo che vive nella paura del diverso e del diverso che soffre prima e coltiva rabbia dopo.  È un mondo che, al netto di improbabili e arditi progressi tecnologici, ricorda da vicino, troppo da vicino, il vero 2029, quello che verrà. Quello che non dovrebbe essere.

Tanto basterebbe, in un banale processo di elaborazione mentale vissuto a margine dell’esperienza ludica, a riassumere la grandezza di Mankind Divided. Il ruolo di Jensen, agente speciale al soldo di Interpol, restituisce una giusta dimensione, più globale, delle intricate vicende che fanno da sfondo all’universo sviluppato, nell’ultimo lustro prima ancora che agli inizi del secolo, da Eidos Montreal. I drammi e le vicende di questo capitolo abbracciano, quindi, una portata più ampia, meno intimista rispetto al predecessore, mettendo sul tavolo un’umanità travagliata e frastagliata, dove la guerriglia si trasforma in guerra e dove il potere di pochi si scontra, gioco forza, con la vita di tutti. Dalle derive filo naziste capaci, tramite virus, di uccidere milioni di vite umane ai piani di conquista del mondo tessuti su trame nascoste e quasi invisibili, Adam Jensen si muove nell’ombra, in silenzio, tra una copertura e un sistema da hackerare, dipanando una matassa intricata e affascinante. Anche piuttosto fitta perché, laddove Human Revolution pagava una povertà di fondo sul piano delle sub quest, il nuovo capitolo amplia ed espande l’intero mondo di gioco attraverso un numero notevole di missioni secondarie e di personaggi. E quindi, nuove storie, nuovi drammi e nuove miserie umane, da buttare nel calderone di un pacchetto che, in termini prettamente didascalici, è capace di restituire una delle esperienze più opulente e meglio plasmate di questa strana generazione. E allora, la qualità dei dialoghi si trasforma, anche, in migliaia di linee e di scelte etiche e morali. In quella libertà di fondo che stride, splendidamente, con la militarizzazione di un mondo sporco e crudele e pure un po’ vero. Troppo vero per giocare a cuor leggero senza, almeno una volta, provare realmente paura.

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Da un punto di vista ludico, è innegabile che Mankind Divided, proprio come la serie di riferimento, soffra l’etichettatura ad un genere ben preciso. È stupefacente, piuttosto, ritrovare in un solo titolo una tale quantità di rimandi e citazioni ad altri giochi e a così tanti generi. La natura derivativa della produzione Square Enix è, però, solo apparente. Ogni aspetto di Mankind Divided sprizza originalità al netto, però, di un predecessore che, in ogni momento e in ogni aspetto, si riaffaccia nei ricordi del giocatore. Il lavoro grosso, Eidos, lo ha fatto con il prequel – reboot del 2011. Un lustro dopo, si è trattato di rifinire e curare le diverse fasi di gioco e di plasmarle, meglio, al servizio dell’utente. L’anima ruolistica del titolo è ponderante, non tanto nel numero di statistiche, ma nelle possibilità offerte da oggetti, armi e potenziamenti. Sono questi ultimi la vera anima del gioco, perché lo sviluppo delle abilità, apparentemente complicato e complesso, si rivela, a conti fatti, solo completo e capace, attraverso le scelte del giocatore, di influenzare in maniera sensibile l’approccio al titolo. Le diverse possibilità offerte dagli sviluppatori si palesano sin dai primi menu quando, in maniera tutto sommato esplicita, viene chiesto di palesare le proprie preferenze ludiche. Che si scelga un approccio più action a discapito, magari, dello stealth, Mankind Divided protegge, comunque, la sua anima ragionata e strategica. L’infiltrazione è, sempre e comunque, consigliata e incentivata, sottomettendo velleità da Rambo Cyberpunk invero limitate. È vero: sparare, in Mankind Divided, è pratica sicuramente meglio riuscita rispetto ai tempi di Human Revolution. È pur vero, anche, che esistono sul mercato mirini e impugnature assolutamente migliori rispetto a quello in dotazione ad Adam. Quando, infatti, si decide di passare, in maniera completamente automatica, alla visuale in terza persona tramite lo sfruttamento delle coperture, il gioco cambia, rivelando con forza la sua anima stealth e aprendo il gameplay alle tante ed enormi possibilità offerte dagli innesti del protagonista. Gli aspetti strategici ed esplorativi del titolo influenzano, così, l’incedere del giocatore chiamato a pianificare ogni passo ed ogni azione. Detto delle abilità di Jensen, che spaziano dall’invisibilità alla visione attraverso i muri fino al “silenziatore” applicato al proprio corpo, e ritrovando praticamente invariato il sistema di hacking di porte e dispositivi, la discriminante resta l’intelligenza artificiale dei nemici, solo discreta ai livelli di difficoltà più bassi, ma particolarmente convincente, al netto di qualche sbavatura, giocando ad hard. In realtà, saranno in molti a trovare eccessivamente facile l’aggiramento del nemico o, anche, il semplice avvicinamento alle spalle del soldato di turno. Si tratta, però, di scelte di design ben precise, evidentemente figlie della voglia di costringere il giocatore alla sperimentazione delle abilità e, pure, all’esplorazione degli ambienti.

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[quotesx]Ogni aspetto di Mankind Divided sprizza originalità al netto[/quotesx]

Sarebbe un peccato, per altro, ignorare percorsi secondari e nascosti, capaci, anche all’interno di un’asettica base futurista, di regalare scorci impensabili e imprevisti. L’innalzamento della qualità complessiva di una direzione artistica già al top con Human Revolution non potrà che far felici gli amanti della fantascienza, dello sci – fi e del cyberpunk più puro esaltato da un uso magistrale del colori e dei particolari. Non è tutto oro – magari quello dei palazzi di Praga, città Hub e principale, ma non unico, scenario di gioco – quel che cola. Anzi, l’aspetto più deludente di Mankind Divided è proprio quello tecnico che, almeno nella versione Xbox One testata, mostra il fianco a più di qualche critica. L’ottimo engine che gestisce l’illuminazione e la ricchezza di dettaglio degli ambienti stride, non poco, con un polygon count solo sufficiente, primo imputato di una modellazione dei personaggi, specie quelli secondari, solo discreta. I miracoli, insomma, sono lontani. E se ci fossero, al netto di un frame rate lockato a 30 FPS, sarebbero pure claudicanti, tra rallentamenti, tearing e una sincronia non proprio perfetta dell’immagine. La buona novella è che, a conti fatti, le magagne tecniche del Dawn Engine di Eidos non intaccano la qualità del gameplay restando sempre ai margini dell’esperienza. Probabilmente, anche in virtù delle possibilità offerte dai dialoghi e dalle scelte, un impegno maggiore poteva essere infuso nella cura delle animazioni facciale che in parte rimandano, un po’ come tutto l’impianto visivo, a quei titoli cross – gen da cui, paradossalmente, la produzione Square Enix sembra voler prendere le distanze sin già dalla scheda tecnica. Archiviate Ps3 e Xbox 360, e a maggior ragione WiiU, Mankind Divided è un gioco current gen nella forma, meno nella sostanza. Banalmente, gli alti livelli produttivi infusi nel gameplay, nel doppiaggio interamente localizzato in italiano, nella splendida colonna sonora e in tanti, piccoli aspetti da scoprire passo dopo passo cozzano con la natura da “seguito perfetto” del titolo Eidos. Uno splendido “more of the same”, impossibile da ignorare per chi, in Human Revolution, trovò l’amore per una saga seminale all’interno della moderna industria del videogioco. Al contrario, Deus Ex: Mankind Divided rischia, come e più del suo predecessore, di risultare indigesto ad alcuni videogiocatori dal grilletto facile. Deus Ex, la serie, ha sempre richiesto riflessione, pazienza, calma, persino interesse verso il mondo, quello vero, e i meccanismi che lo governano. Mankind Divided non è un’eccezione, ma solo la più bella e convincente delle regole.

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