Utawarerumono: Mask of Deception – Recensione

Ricapitoliamo un attimo le vicende, a beneficio di quanti si fossero persi l’anteprima di Utawarerumono: Mask of Deception: in questa visual novel, confezionata da Aquaplus e tradotta da Atlus per il mercato occidentale, veniamo calati nei panni dello sventurato Haku, un ragazzo amnesico destatosi in un mondo che non gli appartiene, popolato da mostri terrificanti ed esseri umani dalle fattezze bestiali, e salvato in extremis dal diventare la pietanza del giorno di un colossale millepiedi da Kuon, speziale itinerante nella quale si imbatte durante il suo confuso vagabondare nel bel mezzo di un bosco ammantato dalla neve. Chiunque possieda una certa familiarità con i lavori della casa di software nipponica, potrà subito rilevare alcune fondamentali differenze in termini di profondità narrativa tra questo e l’analogo Tears to Tiara, altro titolo fantasy che mescola mitologia celtica, ciclo arturiano e storia dell’Impero Romano in una novella dal sapore magniloquente che fa leva su trattazioni politiche e filosofiche, laddove Utawarerumono basa invece il suo fascino su un’ambientazione molto più vicina alle leggende orientali e all’enfasi posta sulla crescita individuale e sulle relazioni interpersonali: Mask of Deception, in quanto secondo capitolo della saga (non è fondamentale giocare il primo, distribuito in inglese soltanto per PC nonostante esista anche una versione per PlayStation 2, poiché i dettagli essenziali da conoscere emergono nel corso dell’avventura), espande i confini tracciati dal predecessore, tessendo una rete di congiure e tradimenti nascosti dietro la guerra civile che sta devastando dall’interno l’impero di Yamato, una delle nazioni più potenti del mondo presa di mira dal disegno espansionistico di Tuskur, un altro stato a sua volta riformatosi di recente dopo una sanguinosa rivoluzione, ma mantiene il fulcro sui complessi legami fra personaggi principali e secondari.

E’ bene ricordare che, come qualsiasi altra opera firmata Aquaplus e come ogni visual novel in generale, anche Utawarerumono: Mask of Deception rimane fondamentalmente un romanzo digitale privo di scelte significative che ne influenzino la trama, a parte l’ordine in cui assistere a determinate scene durante le occasionali soste dai serratissimi dialoghi, mentre la componente strategica è divertente ma fin troppo sporadica per rappresentare una porzione significativa del gameplay: sappiate dunque che quello in cui stiamo per imbarcarci è uno splendido racconto ben poco interattivo.

Gli attacchi magici in combattimento sono accompagnati da gradevoli effetti animati

DA QUESTO MOMENTO IN POI, IL MIO NOME E’ HAKU

Trattandosi di un gioco incentrato sulla narrazione, l’universo fittizio di Utawarerumono è delineato con una cura maniacale per i dettagli, e le influenze reali di cui è intriso sono facilmente riscontrabili da qualunque appassionato di cultura asiatica. Il dizionario dei termini, consultabile liberamente dal menu di pausa, fornisce approfondite delucidazioni su qualunque argomento di interesse, dai personaggi incontrati e i mostri combattuti passando per la conformazione geografica dei territori, gli intrecci politici, gli avvenimenti storici di particolare rilievo, fino ai vestiti e ai cibi tradizionali. Le descrizioni sono minuziose e le conversazioni esaustive, ma senza tralasciare quell’alone di mistero che, nella stragrande maggioranza dei casi, si sviluppa in una rivelazione inattesa o in un capovolgimento di fronti: l’impegno profuso nel somministrare al giocatore tutta una serie di indizi mescolati fra battute e situazioni che portano ad un ennesimo colpo di scena è ammirevole, ed il crescendo che conduce al finale (purtroppo) in sospeso non manca di strappare qualche esclamazione di meraviglia. Non tutte le scene sono rappresentate in maniera visiva, alcune vengono accompagnate solo da un resoconto scritto, ma il livello qualitativo dell’esposizione è tale da stimolare l’inventiva del lettore e lasciare che sia lei a completare il quadro d’insieme, rendendo i passaggi in un certo qual modo ancora più intensi.

I personaggi convergono tutti più o meno negli stereotipi classici del fumetto giapponese, come il guerriero possente e autorevole che diviene il mentore del protagonista o la timida principessa ignara dei modi di fare della gente comune, ma l’interazione fra gli stessi viene portata avanti con naturalezza dal bilanciamento fra circostanze serie e umoristiche, dando ad ogni membro del gruppo l’occasione di intervenire e, di conseguenza, esaminare qualche aspetto in più dei loro trascorsi. In particolar modo, l’alchimia fra Kuon e Haku, la prima forte e indipendente ai limiti dell’arroganza e il secondo tanto scaltro e ingegnoso quanto insopportabilmente pigro, riesce a generare scintille in numerosi frangenti, ma la luce dei riflettori che Aquaplus tiene puntati su di loro offusca l’importanza dei loro compagni di viaggio: al contrario delle loro precedenti avventure, infatti, nel corso della storia viene presa in esame soltanto la crescita psicologica dei due protagonisti, mentre il cast di supporto, benché provvisto di contesti personali esaurienti, manca di una vera motivazione di fondo per unirsi ad essi che non sia quella di aiutarli a completare con successo la missione di cui si fanno carico. Le cose prendono poi una piega decisamente più intensa nel corso dell’atto conclusivo, che aiuta l’intero gruppo a rinsaldarsi e rafforzare i propri obiettivi, ma anche qui emerge un secondo difetto nella sceneggiatura: l’utilizzo eccessivo della comicità per stemperare il carico drammatico di alcuni episodi, che finisce quindi per eliminare tutto il pathos altrimenti necessario. In verità, quest’ultima scelta è deliberata e serve a sottolineare la relativa indipendenza dei membri della compagnia fino al momento in cui, a causa della mancanza di vere e proprie dinamiche di gruppo, metteranno a repentaglio l’incolumità dello stesso, ma la tendenza a smorzare molte delle congiunture potenzialmente serie con battute e freddure può rivelarsi alla lunga deleteria.

I dialoghi e le espressioni dei personaggi sottintendono spesso inganni e macchinazioni di cui il protagonista, e il giocatore con lui, non è a conoscenza.

La porzione tattica di Utawarerumono: Mask of Deception è stata affidata, come spesso accade, a Sting Entertainment, che ha raffinato il sistema di combattimento di Tears to Tiara accorpando la tipica dotazione di armi e armature in una serie di libri che contengono varie abilità assortite, da assegnare ai personaggi giocanti a seconda degli slot di cui dispongono (da uno a quattro): assieme alla distribuzione dei punti guadagnati con ogni aumento di livello nelle quattro caratteristiche di base (punti vita, attacco, difesa e velocità), la facoltà di variare l’assetto dei tomi magici tenta di promuovere la pianificazione anticipata, ma la verità è che nessuna delle battaglie presenti nel gioco offre una sfida sostanziosa per quanti hanno giocato almeno uno o due strategici prima dell’avventura di Aquaplus, neutralizzando qualunque velleità marziale poiché, a conti fatti, non ci sono quasi mai approcci totalmente sbagliati. Inoltre, è sempre possibile riavvolgere i turni già trascorsi nei rari casi in cui la situazione volga al peggio, e ripetere gli scontri già affrontati per accumulare esperienza e, posto di voler investire abbastanza tempo, fortificare all’inverosimile tutti i nostri alleati. Questi ultimi si dividono in categorie distinte, grazie ai poteri ottenuti dopo ogni passaggio di livello che li specializzano in azioni aggressive o difensive, le quali possono quindi essere concatenate ponendo attenzione a premere i pulsanti con la giusta cadenza come in un rhythm game. Nel caso degli attacchi, una volta ottenuto il segmento finale della catena offensiva grazie all’esperienza, completando la serie si libera un assalto speciale particolarmente vistoso ed efficace. Anche gli elementi cui appartengono i contendenti hanno il loro peso, dato che tutti sono legati ad una tipologia predeterminata fra acqua, fuoco, terra, vento, luce e oscurità (fatta eccezione per Haku, che non possiede alcuna connessione elementale), ciascuna resistente o vulnerabile nei confronti di altre due, ed alcune caselle presenti sulle mappe possono potenziare o indebolire specifiche materie, come la nebbia che rafforza le unità vincolate all’acqua.

Insomma, il lato SRPG è gradevole e ben costruito, con modelli tridimensionali particolareggiati anche se non all’avanguardia, ma non mette alla prova in alcun modo le nostre capacità se non durante le battaglie speciali che si rendono disponibili dopo la conclusione e che si rivelano leggermente più impegnative di quelle inserite nel contesto narrativo, concedendoci oltretutto l’opportunità di affrontare uno dei personaggi con cui non abbiamo altrimenti modo di scontrarci durante il gioco. Il comparto grafico mette come sempre il risalto le doti straordinarie degli artisti che fanno parte della scuderia Aquaplus, con splendide illustrazioni che raffigurano al meglio l’espressività dei personaggi e degli scenari lungo i quali si muovono, mentre la colonna sonora è un ensemble di musica dai toni epici e dalle sfumature orientaleggianti, con abbondanza di liuti e flauti traversi che evocano alla perfezione le atmosfere di un mondo lontano (ma, in realtà, molto più vicino di quanto si creda): chi ha avuto la fortuna di provare il primo Utawarerumono, incontrerà una nutrita selezione dei temi classici presi dall’originale e riarrangiati in questo sequel. Atlus infine ha mantenuto il doppiaggio giapponese aggiungendo solamente i sottotitoli in inglese, unica lingua disponibile.

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