Redout: Speedlight Edition – Recensione

Veloce, tecnico e persino bello da vedere. Redout, corsistico in odore di futuro distopico approdato un anno fa su Steam, sfreccia, ora, anche su PS4 e Xbox One. Veloce, tecnico e persino sorpredente da giocare, perché Redout, progetto tutto italiano e ispirato ai classici Wipeout ed F-Zero, supera i limiti del prodotto derivativo per assumere i contorni, piuttosto, di titolo originale, con una sua personalità e con un modo tutto suo di approcciare ad un genere solo recentemente tornato alla ribalta. In questo caso, oltre agli store digitiali, persino in versione retail, grazie all’impegno distributivo di 505 Games che impreziosisce l’opera sviluppata dai connazionali 34BigThings.

Italians Do It Better

“Gli italiani lo fanno meglio”, spiegava Madonna. E il concetto, in questo scorcio di fine estate, continua a rafforzarsi anche sul piano ludico con l’aiuto di questa Lightspeed Edition di un titolo che, già su PC, aveva ottenuto uno straordinario successo. Successo meritato, si precisa, a prescindere dai natali. Redout è davvero il corsistico più veloce di sempre il cui merito più grande è, però, da ricercare su altri lidi. Al netto dei picchi toccati dal tachimetro, si parla di una crociera da 1000 KM/H, le cose preziose del titolo risiedono nel gameplay e nel track design. Ed è proprio quando l’alta velocità si fonde con questi elementi che le qualità del racing emergono con forza sovrastante, all’inizio persino destabilizzante. Non solo un gioco, ma una vera e propria filosofia di approccio ad un genere evidentemente studiato, analizzato e poi, in parte, persino rivoluzionato in alcuni suoi classicismi. A partire dal sistema di controllo. Nonostante la possibilità di modificare la mappatura dei tasti, Redout, per essere compreso, deve necessariamente essere giocato sfruttando le due leve analogiche del pad. Proprio l’analogico destro, mescolato ai comandi più o meno tradizionali deputati ad accelerazione, freno, turbo e power up attivo, racchiude l’anima del gameplay perché permette di sfruttare gli aerofreni in maniera diametralmente diversa rispetto – rieccolo – ad un qualsiasi Wipeout. Non si tratta di un elemento di poco conto, anzi. Proprio le incredibili velocità e il particolare design delle piste, infatti, richiedono sin dalle prime gare una sorta di reset del cervello del pilota virtuale, chiamato a dimenticare oltre due decadi di racing futuristici di stampo arcade. Arcade, pure, fino ad un certo punto. Perché alle spettacolari concessioni offerte dal genere, Redout preferisce, comunque, un approccio alla guida più tecnico. Per arrivare primi al traguardo o, magari, far segnare il tempo su giro più basso, bisogna innanzitutto guidare bene. Era così su PC, è ancora così, per fortuna, su console.

Italians Do It Faster

Nel passaggio di piattaforma, Redout ha perso poco, pochissimo. Specie su PS4 PRO, versione testata in abbinamento ad un pannello 4k, dove il titolo 34BigThings conserva la sua fluidità, lockata a 60FPS, e gran parte dei dettagli ammirati su hardware di fascia medio/alta. Strutturalmente, pure, cambia a poco o nulla, perché il porting mantiene inalterata la quantità del pacchetto. I 35 tracciati si sviluppano, tra varianti anche importanti, in 6 aree principali dislocate su una personalissima visione della Terra del futuro dove si sfidano, appunto, diverse scuderie suddivise in 4 classi. Le tipologie di eventi, affrontabili nel corso della modalità carriera, spaziano dalla gara al time attack, passando per modalità meno classiche come Sopravvivenza, Resistenza, Velocità e compagnia bella. Come detto, la chiave per il successo e, quindi, per l’ottenimento delle medaglie, è sempre legata alla pulizia della guida, chimera legata al potenziamento dei Power Up attivabili. Nulla cambia, sotto questo aspetto, anche nelle competizioni multiplayer, dove si registra però il dimezzamento dei giocatori, da 12 a 6. All’approvvigionamento sul campo proprio del solito Wipeout, Redout preferisce un’installazione dei “poteri” pianificata. All’inizio di ogni evento è infatti possibile scegliere un’abilità attiva ed una passiva. Il turbo, da questo punto di vista, rappresenta il terzo elemento con cui fare i conti. I tempi su giro, d’altro canto, rivendicano un utilizzo smodato dei reattori, da gestire, proprio come l’energia vitale della navetta, attraverso l’hud ben integrato nella stessa navicella. In Redout non vince chi pensa solo agli avversari, in vero tutt’altro che aggressivi, ma chi guida meglio, chi guida più veloce, chi guida sfruttando meglio degli altri le caratteristiche della propria vettura e delle piste, vero crogiolo per gli amanti di giri della morte, chicane improvvise e salti stratosferici. In Redout, insomma, vince chi, al netto di ovvie difficoltà iniziali, riesce prima degli altri ad assorbire la particolare filosofia ludica alla base dell’opera per entrare in un vero e proprio loop simbiotico. Quando accade, e state certi che accadrà, il gameplay, letteralmente, si espande, per toccare vette inaspettate di tecnica e divertimento.

Italians Do It Stylish

Impossibile negare come anche gli aspetti tecnici contribuiscano alla visione degli sviluppatori attenti a stimolare occhi e orecchie del giocatore attraverso uno stile citazioni sta nei confronti del genere, ma fino a un certo punto. Pur restando evidenti le contaminazioni alle serie già citate, Redout splende di vita propria anche nel disegno delle navicelle, nelle ambientazioni e nella scelta dei colori. Luna, Sole, neon e riflessi rimbalzano continuamente sulle superfici metalliche, mescolandosi con il beat incessante delle tracce musicali. In alcuni momenti, gli elementi da racing sembrano quasi mescolarsi con le qualità, e solo quelle, di rhythm game d’annata e, ancora, alle meraviglie di moderno gioco da realtà virtuale. Un vero peccato che, su piattaforme Sony, il supporto al visore arriverà solo in un secondo momento, quando magari il gameplay sarà già assorbito dai giocatori desiderosi di sperimentare tutta quella velocità anche in ambienti virtuali. Alle volte, lo stile a bassa densità poligonale sembra fatto apposta proprio per quello. Tutto il resto, invece, funzionerebbe su qualsiasi piattaforma. Veloce, tecnico, bello da vedere, sorprendente da giocare e, quindi, da scoprire. Per gli amanti del genere, un acquisto obbligato. E il fatto che si tratti di un titolo italiano non è certo un merito da conteggiare nel giudizio, quanto, piuttosto, un orgoglio statistico di cui vantarsi in lobby.

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