Utawarerumono: Mask of Truth – Recensione

Sono passati pochi mesi dal lancio del secondo episodio di Utawarerumono (primo ad essere localizzato ufficialmente al di fuori del Giappone) e Atlus chiude il cerchio con questa terza iterazione, che conclude le vicissitudini di Haku, Kuon, Rulutieh, Nekone e gli altri membri della compagnia guidata da Oshtor, rimasti in attesa dello scoppio di una sanguinosa guerra civile. In Mask of Deception abbiamo assistito alla progressiva evoluzione del protagonista, la cui completa estraneità nei confronti degli usi, dei costumi, della flora e delle creature viventi che abitano il mondo nel quale è stato catapultato suo malgrado, l’indole oziosa e svogliata e, più in generale, il carattere squisitamente umano sono tutti elementi che ne impedivano la completa integrazione in quella stramba ma ben organizzata società di uomini bestia, e al contempo hanno rappresentato l’attrattiva principale per questi ultimi, che si sono mostrati propensi ad accogliere il “diverso” dapprima con un misto di sufficienza e presunzione, poi con curiosità e infine con autentico interesse, data l’efficacia del suo approccio analitico alle questioni da risolvere così insolito per un popolo che si lascia condurre spesso e volentieri dall’istinto. Tutti i comprimari maturano una fiducia inossidabile nelle capacità di giudizio di Haku, e sono pronti a seguirlo anche quando si trovano dinanzi una creatura mostruosa apparentemente invincibile, certi che il ragazzo riuscirà in qualche modo a tirarli fuori dai guai.

Si tratta insomma, come ho già ribadito nell’analisi dello scorso capitolo, di una storia di scoperta e di crescita interiore presentata a livello personale che si interseca con eventi sempre più macroscopici fino a raggiungere una drammatica, ma temporanea, risoluzione. Ed è proprio da qui che questo Utawarerumono: Mask of Truth, adattamento dell’originale Futari no Hakuoro (I Due Hakuoro), riprende le fila della trama, nel punto esatto in cui si era interrotta, consolidando le fondamenta dello scenario fantastico sulle quali Mask of Deception aveva appena iniziato a fare luce. Inoltre, qualcosa si è mosso anche a livello di gameplay: l’anno trascorso fra il rilascio delle due visual novel in Giappone è servito allo staff di Aquaplus per smussare alcuni degli aspetti peggiori di Itsuwari no Kamen, in particolar modo il ritmo narrativo che lasciava troppo spazio alle pregevoli schermate testuali e troppo poco alle battaglie, nonché la (scarsa) difficoltà di queste ultime. Resta da appurare se le modifiche apportate siano realmente tangibili nell’economia complessiva del gioco o abbiano alterato solo qualche carenza marginale.

Per quanto la visual novel non sia vietata ai minori, Aquaplus non si è certo risparmiata quanto a scene “pruriginose”… e, una volta tanto, anche il pubblico femminile può ritenersi soddisfatto!

SIATE LA LANCIA DELLA NOSTRA SOVRANA!

Abbiamo lasciato i nostri eroi in balia di una tragica serie di contingenze: in seguito al salvataggio di Anju, la principessa di Yamato, e Oshtor, una terribile battaglia coinvolge quest’ultimo e Vurai, il più potente fra gli otto generali dell’impero. I postumi della stessa infliggono una ferita irreversibile al gruppo di protagonisti, costringendo Haku a compiere una scelta drastica e tanto la piccola Nekone quanto Kuon ad allontanarsi dallo stesso, con la seconda totalmente devastata a livello emozionale. E’ proprio su di lei che si incentra il prologo di Mask of Truth, con un prolisso riepilogo che abbraccia i passi salienti del predecessore raccontati dalla sua prospettiva ma che, purtroppo, non si rivela sufficientemente esaustivo da consentire a quanti, per qualche strano motivo, hanno deciso di avvicinarsi al mondo di Utawarerumono con questo episodio di comprendere appieno il contesto, la genealogia ed i rapporti fra i personaggi: la fruizione di Mask of Deception o, ancora meglio, del capostipite della serie è infatti necessaria per non brancolare nel buio troppo a lungo, incamerando nozioni relative a nomi, luoghi e oggetti specifici che vengono menzionati a più riprese senza una precisa spiegazione. Di contro, i veterani potrebbero trovare questa sintesi un po’ ridondante, benché attraverso la stessa si scoprano ulteriori dettagli circa il passato di Kuon, dato che il punto di vista della ragazza non aggiunge né toglie nulla a quanto già noto e rende l’intera introduzione abbastanza pleonastica. Per fortuna, le vicende non tardano a mettersi in moto, e così volti vecchi e nuovi si ritrovano sul campo di battaglia, insolite alleanze vengono forgiate e infrante, ulteriori intrighi che minacciano l’incolumità di Yamato e di Tuskur si sviluppano dietro le quinte e il destino dei protagonisti inizia a divenire sempre più chiaro.

La narrazione visiva è, al solito, pregevole tanto da guardare quanto da ascoltare, con un grande assortimento di illustrazioni di elevatissima qualità sia per gli scenari che per i personaggi grazie alla vasta portata della storia, mentre il cast di doppiatori guidato da Risa Taneda (Kuon) e Keiji Fujiwara (Haku) svolge un ottimo lavoro interpretativo in ogni circostanza. La qualità degli artwork viene sfruttata a fondo anche durante le sequenze più “pruriginose”, che indugiano in lungo e in largo sulle doti fisiche dei compagni chiamati in scena: pur non spingendosi mai in territori vietati ai minori, gli sceneggiatori non hanno disdegnato affatto le tipiche situazioni da serie harem e, anzi, ne hanno elevato a potenza sia la quantità che la durata per enfatizzare il lato umoristico della produzione. Si tratta solo di fare l’abitudine alla compulsiva routine igienica dei nostri compari, che non perdono occasione per immergersi in un bel bagno caldo dopo una giornata faticosa, o alla loro proverbiale goffaggine per colpa della quale si ritrovano saltuariamente in posizioni equivoche. Tralasciandone il lato comico, la storia procede lungo binari predefiniti come da miglior tradizione delle novelle cinetiche, ossia quella particolare declinazione di visual novel coniata con Planetarian della Key/Visual Arts in cui non esistono bivi, scelte multiple o finali alternativi, e delinea alla perfezione la grandezza del conflitto politico e sociale fra le potenze, mortali e ultraterrene, chiamate in causa, toccando concetti morali, etici e filosofici che in Mask of Deception erano stati a malapena tratteggiati. Intendiamoci, non siamo davanti ad una nuova Critica della Ragion Pratica, ma lo spessore di alcuni dialoghi è tangibile e non funge solo da collante tra un siparietto e l’altro.

Il sistema di combattimento ha beneficiato di qualche ritocco migliorativo, come la possibilità di eseguire attacchi speciali e mosse finali con più personaggi contemporaneamente.

Il sistema di combattimento riprende la struttura da SRPG che caratterizza la saga e la arricchisce con alcuni ritocchi che ne ottimizzano l’esperienza. I livelli sono un po’ più circoscritti rispetto al passato, di conseguenza non esistono grandi margini di manovra per il posizionamento delle proprie unità, ma è sempre bene cercare di sfruttarlo a proprio vantaggio perché attaccare (ed essere attaccati) ai fianchi o alle spalle aumenta la percentuale di danni inflitti (o ricevuti), e spesso un alleato al posto giusto può fare la differenza tra un’indubbia vittoria e una sonora sconfitta. Utilizzare un paio di turni per prendere le distanze e osservare il comportamento dei nemici è una tattica che funziona quasi sempre, poiché questi ultimi hanno la spiccata tendenza a puntare i bersagli più deboli o malconci per toglierli di mezzo prima di passare agli altri, dunque attirarli poco alla volta verso la nostra posizione con un’esca e poi bersagliarli di frecce, incantesimi o bordate in mischia rimane la soluzione migliore. Il tempismo gioca poi un ruolo fondamentale, dato che ogni attacco richiede un tipo specifico di interazione, come premere o rilasciare un tasto al momento giusto, per aumentarne l’efficacia: ignorare tale meccanica significa combattere al di sotto delle proprie capacità ed esporci al contrattacco degli avversari che avremmo potuto eliminare molto prima, perciò è necessario fare un po’ di pratica per (ri)prendere la mano con tutte le sue sfaccettature.

Fortuna vuole che stavolta gli sviluppatori abbiano pensato di inserire un ottimo tutorial per fare chiarezza su tutte le opzioni a nostra disposizione, dai comandi base alle tecniche più avanzate come la tipologia dei colpi speciali e gli assalti combinati, colmando una lacuna importante del secondo capitolo. Il numero di battaglie presenti è aumentato in maniera sensibile, come pure la frequenza delle stesse all’interno del racconto, per la gioia di quanti si lamentavano dell’eccessiva durata delle sezioni non interattive, anche se quelle legate al racconto offrono sempre una sfida medio-bassa per gli esperti del genere. Come se non bastasse, la facoltà di importare un salvataggio di Mask of Deception per mantenere l’equipaggiamento già raccolto fornisce un’agevolazione ulteriore che semplifica ancora di più gli scontri. Le cose migliorano un poco nei “dream match” accessibili dopo aver completato il gioco, e alcuni quadri che fissano obiettivi diversi dallo sterminio totale dei nemici sullo schermo potrebbero rivelarsi più impegnativi del solito, ma nel complesso non si raggiungono mai vette memorabili… è un peccato, perché si resta con la sensazione che qualche piccola, ulteriore rifinitura del bilanciamento e del level design avrebbe conferito alla porzione strategica di Mask of Truth una caratura di gran lunga superiore. La grafica di queste sezioni utilizza sempre i modelli estratti dalla versione per PlayStation Vita, opportunamente ripuliti per beneficiare della potenza di calcolo e della risoluzione offerte dalla PlayStation 4, e risulta gradevole alla vista al pari del predecessore, mentre il lavoro svolto dai compositori si riflette in una gamma ancora più ricca di evocative tracce audio che sottolineano con la giusta atmosfera i diversi frangenti, dai possenti tamburi da battaglia ai rilassanti archi pizzicati.

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