Nantucket – Recensione

Nel quattordicesimo capitolo del suo Moby Dick, opportunamente intitolato “Nantucket”, Herman Melville descrive con evocativa dovizia di particolari la piccola, omonima isola a sud del Massachusetts che, agli inizi del 1800, raggiunse un significativo benessere economico grazie ai profitti derivanti dalla caccia alla balena.

Nantucket! Prendete la carta geografica e cercatela. Osservate come se ne sta in un vero e proprio angolino del mondo: lì, lontana dalla costa, più solitaria del faro di Eddystone. Guardatela: una pura e semplice collinuccia, una spalla di sabbia; tutta spiaggia, senza sfondo.

Lo scrittore non mise mai piede nello sperduto insediamento di pescatori se non dopo la pubblicazione del suo romanzo, eppure le cronache e i racconti di questa particolare branca dell’arte venatoria, la cui incidenza è oggi per fortuna estremamente ridotta, gli consentirono di cogliere appieno l’essenza del posto: una guglia di roccia arenosa piantata nel nulla, ma anche un bastione che unisce il mondo insignificante degli uomini con la smisurata vastità dell’oceano. Prendendo le opportune distanze dalle implicazioni etiche e morali legate a tale industria, come peraltro riportato nella liberatoria visibile al lancio del gioco, l’intento di Picaresque Studio è quello di partire dalla conclusione dell’opera di Melville e calarci nei panni di un novello Ismaele che, scampato al naufragio della Pequod, tenta di rimettersi in sesto al comando di un misero vascello monoalbero e di una ciurma inesperta, con i quali cavalca di nuovo i flutti in cerca di successo e, se vogliamo, redenzione. La piccola software house italiana, guidata dagli sforzi congiunti di Michele Bedendo, Marco Mantoan e Daniele Monaco, ha confezionato un gestionale che prende in prestito svariati elementi dai giochi di ruolo e da tavolo per offrire un interessante scorcio su una realtà storica estranea ai più e quasi del tutto sorpassata, ma che per diverso tempo ha rappresentato uno dei cardini evolutivi della nostra società.

Nantucket
Avremo spesso più di una missione da gestire, e pianificare una rotta in modo da incontrare più obiettivi ci consente di ottimizzare al meglio le dotazioni di bordo.

Mi piace navigare per mari proibiti e scendere su coste barbare

In verità, oltre agli espliciti riferimenti contenuti nel video introduttivo e ad un vago traguardo finale prestabilito, l’infausta ossessione del capitano Achab nei confronti del marmoreo leviatano non viene approfondita più di tanto con il prosieguo dell’avventura, strutturata invece in maniera piuttosto canonica: l’unica via per risalire la china nel mondo di Nantucket è quella di farsi carico dei lavoretti occasionali che troveremo nei porti delle varie città visitabili, che spaziano dalla consegna di beni di varia necessità da un punto all’altro del globo alla tracciatura di nuove aree pescose dove procurarsi carne, grasso e olio da rivendere sul mercato. Naturalmente, nel corso del tempo è possibile migliorare la nave, affinare le competenze dell’equipaggio e, con l’aumentare della nostra reputazione, ottenere commissioni sempre più remunerative che ci consentiranno di acquistare bastimenti con portata e capienza maggiori, onde aumentare le probabilità di avere la meglio su pesci e cetacei di dimensioni elevate. La formula è dunque simile ad una moderna rilettura del celebre Pirates! di Sid Meier piuttosto che ad una variante più letteraria e meno lovecraftiana dell’acclamato Sunless Sea, nel quale il deterioramento psicologico indotto da una prolungata navigazione comporta effetti collaterali peggiori dell’assalto di un mostro marino.

Una volta fatta l’abitudine con l’interfaccia grafica, la cui complessità viene stemperata dal minuzioso utilizzo di esaurienti pop-up informativi, il rifornimento dell’imbarcazione, l’ingaggio di nuove leve presso le taverne, la traversata delle acque conosciute e sconosciute nonché le lotte contro le feroci prede e gli occasionali filibustieri diventeranno normale routine, ed invero superare le primissime ore di gioco si rivela un’impresa tanto ardua quanto affrontare la gigantesca balena bianca in persona: a causa della mancanza di prestigio dovuta alla nostra relativa inesperienza, saremo di fatto obbligati ad accettare compiti piuttosto servili che non ci consentiranno di spingerci troppo oltre la costa orientale degli Stati Uniti, pena il rischio di trovarsi senza scorte per il viaggio di ritorno. Comunque, il monotono andirivieni iniziale è un battesimo del fuoco necessario per impadronirsi delle molteplici sfumature che caratterizzano il sistema di navigazione e, soprattutto, i principi che regolano le frequenti battaglie marittime in cui incapperemo. Un gran bel tocco di classe, uno dei tanti di cui è infarcito Nantucket, è che la scelta delle mansioni viene effettuata attraverso la lettura dei giornali distribuiti dagli strilloni, che riportano anche molti fatti storici realmente accaduti come il terremoto che sconvolse la città turca di Antiochia o la morte di Napoleone in esilio.

Nantucket
Se, come il sottoscritto, anche voi da bambini sognavate di ricevere il mitico galeone Playmobil per Natale, rallegratevi: in Nantucket troverete pane… pardon, chiglie per i vostri denti!

Io tento di tutto, e realizzo quel che posso

I combattimenti sfruttano un’ingegnosa combinazione di fortuna associata al lancio dei dadi, abilità speciali legate ai marinai selezionati per prendervi parte ed effetti atmosferici variabili che influiscono su una serie di svantaggi e benefici variabili: i nostri alleati scendono in gruppi da tre sulle scialuppe, la loro specializzazione (da semplice mozzo a cacciatore, scienziato, artigiano e via dicendo) incide sul tipo di dado utilizzato, mentre l’esperienza accresce il numero di facce che si traducono in un’azione proficua, come lanciare un arpione o medicare un compagno ferito. Non è raro assistere ad un avvicendamento di turni sprecati per colpa della scarsa preparazione dei contendenti ma, per fortuna, anche l’irruenza dei nemici è proporzionale alla difficoltà delle missioni e bastano uno o due colpi ben assestati per aver ragione di quelli meno robusti. La formula è abbastanza originale e regala grosse soddisfazioni con lo sviluppo dei vari talenti, benché alla lunga i duelli più convenzionali tendano ad assomigliarsi un po’ tutti, inducendo un certo senso di spossatezza da incontro casuale tipico dei giochi di ruolo di stampo giapponese. E’ anche possibile affidare la risoluzione degli stessi all’intelligenza artificiale per velocizzare le cose, tuttavia mi sento di sconsigliare tale ripiego se non di fronte alle battaglie più semplici perché le manovre compiute dai capitani elettronici rischiano spesso di trasformare delle banali scaramucce in fatali tragedie.

Ingordi corsari e pesci bellicosi non sono gli unici avversari che fronteggeremo durante le spedizioni, poiché il morale della ciurma, la scarsità di provviste e il rischio elevato di malattie erano i pericoli principali cui andavano incontro i cacciatori dell’epoca, che in Nantucket si concretizzano in una serie di imprevisti (non del tutto) accidentali per risolvere i quali è fondamentale prendere i giusti provvedimenti o, quantomeno, quelli che non compromettano in maniera irreversibile l’intero viaggio, sulla falsariga dell’indimenticabile The Oregon Trail. Da premiare l’onestà degli sviluppatori, che per ciascuna opzione elencano nel dettaglio le probabilità di conseguenze positive e negative, evitando dunque ripercussioni troppo severe per quelle che solo in apparenza sembrano le alternative più convenienti (e qui torna alla mente anche l’eccessiva durezza del processo decisionale di The Banner Saga), come pure la loro assoluta correttezza nell’affrontare tematiche piuttosto scottanti quali la sessualità degli uomini di mare, esaminate sempre in ottica ludica ma senza alcun imbarazzo.

Nantucket
Le battaglie marine sono stilizzate ma ricche di dettagli, come la pioggia che picchietta sull’oceano.

Ogni grandezza mortale non è che malattia

Il comparto grafico di Nantucket è realizzato interamente a mano: le illustrazioni dai tratti ben definiti e con ombreggiature e chiaroscuri tratteggiati a inchiostro richiamano quelle presenti sui quotidiani del diciannovesimo secolo, al pari della mappa nautica disegnata in maniera da rievocare le opere dei grandi cartografi dell’epoca quali John Arrowsmith, Matthew Fontaine Maury e Agostino Codazzi, anche se le città in cui è possibile fare scalo non sono così tante come ci si potrebbe aspettare. Il gioco sottolinea a più riprese l’importanza del pensiero strategico a lungo termine, perché ogni singola operazione va pianificata con cura allo scopo di minimizzare la frequenza e l’impatto dei contrattempi sfavorevoli. I momenti di tensione si alternano a circostanze più leggere, le capacità e le impronte caratteriali vengono delineate sempre meglio, e tutti assieme contribuiscono ad accrescere il senso di familiarità dei compari di cambusa man mano che la nostra carriera di ammiraglio mette radici e prospera. E’ facile cadere preda della sindrome da “ancora un turno e poi smetto”, ritrovandosi alle tre del mattino a canticchiare strofe marinaresche assieme al resto dell’equipaggio con la prua rivolta verso Città del Capo, perché la monotona ritualità della vita da cacciatore di balene possiede un fascino innegabile che ci impedisce di smettere se non portiamo prima a termine un altro, l’ennesimo, incarico.

In buona sostanza, gli sforzi di Picaresque Studio possono essere tranquillamente premiati: certo, resta ancora diverso margine per stemperare qualche discutibile scelta di design, come l’obbligo di addestrare talenti specifici per apportare migliorie al vascello o l’estrema lentezza delle animazioni durante i combattimenti, ma Nantucket è un robusto strategico capace di intrigare e mettere alla prova anche i fanatici del genere più navigati (è proprio il caso di dirlo).

E poi, anche se nella storia non le viene data l’importanza che avrebbe meritato, l’ombra della colossale balena bianca continua a stagliarsi all’orizzonte, indifferente alla fama e alle ricchezze degli esseri umani. Se ne sta lì, sul suo trono di imperatrice degli oceani, in attesa che il prossimo, incauto pretendente venga alfine a reclamarlo.

Fa’ il tuo ultimo salto nel sole, Moby Dick! La tua ora e il tuo rampone sono vicini!

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.