C’è qualcosa di religioso, nell’entrare a piccoli passi, scalino dopo scalino, nella location milanese dell’evento di God of War organizzato da Sony Interactive Entertainment. Gli anni passati dalla scalata del Monte Olimpo, forse. Il viale dei ricordi? Può essere. Ma forse, è semplicemente il rendersi conto che dietro un tendone nero alla fine del percorso, ci aspetta Cory Barlog. Un uomo misterioso, come tutti i geni dell’estro artistico e umano. Cory ha donato (a parere di chi vi sta scrivendo) la giusta ispirazione di cui Kratos aveva bisogno nella sua missione di vendetta deicida, con quel God of War II che rimane ancora oggi simbolo del suo genere, nella vetrina dei più grandi capolavori del Videogioco moderno.
E pensate un po’: Cory è proprio lì come entriamo, berretto in testa e t-shirt PlayStation, barba brizzolata, sorridente con gli occhi e con le labbra. Il momento diventa quasi surreale, mentre firmiamo un lungo NDA osservandolo, mentre ricambiamo il suo sorriso. Attorno a noi tavolate di legno con frutta e candele, tronchi di alberi spessi tagliati e disposti al centro dell’androne e un personale in costume che rispecchia l’inedita direzione artistica dell’atteso ritorno dell’ammazza-dei Kratos, che per la prima volta si distacca dalla mitologia Greca per tuffarsi di petto nei toni e nelle atmosfere di quella Norrena.
Genio e mistero
Cory è un uomo diretto e schietto: pochi fronzoli, giri di parole o convenevoli. Dopo aver vinto un BAFTA con God of War II, ha lasciato Santa Monica Studios nel 2007 dopo otto mesi spesi nel ruolo di Game Director su God of War III. Nessuna spiegazione al riguardo e ancora più misteriosa la sua collaborazione per la sceneggiatura di God of War: Ghost of Sparta con Pessino e il team di Ready at Dawn. Ma dopo anni di nebbia, non è finita: nel 2012 entra in Crystal Dynamics per dirigere le sequenze cinematiche del primo capitolo del reboot di Lara Croft, Tomb Raider. Dopo un anno, lascia lo studio per ritornare in Santa Monica, dove si dedicherà per cinque inverni di fila al nuovo God of War. Dopo tutto questo, risulta più chiaro il suo voler andare dritto al punto, quasi un “basta chiacchiere ragazzi, sedetevi, giocate e ditemi cosa ne pensate”. Ed è esattamente quello che facciamo.
Ci sediamo, quindi, davanti al menù di gioco. Ci avvertono che la demo che potremo giocare durerà circa 2 ore, ma in realtà non ci siamo scollati dallo schermo per almeno 180 minuti. Mentre lancio il titolo senza passare neanche un minuto nel menu pre-partita (prendendo ispirazione da Cory), tutte le mie ansie, preoccupazioni e dubbi su quanto svelato fino a quel momento da Santa Monica Studios sul gioco, prendono forma e si mettono comodi e seduti affianco a me. Ecco quindi “Troppa narrazione?”, “Anche un bambino adesso?” e “Visuale dietro le spalle” riuniti attorno a me. Per non parlare di “Ricordati che Ascension è stato praticamente inutile!” appoggiato sul tavolino, affianco alla TV. Ma se son rose fioriranno, no? Quindi, cercando di isolarmi dal loro chiacchiericcio, metto play.
https://www.youtube.com/watch?v=P1ejSa_gonc
Sentirsi a casa
Atreus, quindi. Si parte subito con lui, il nostro misterioso figlioletto dai capelli rossi, in una lunga sequenza cinematografica che offre alcuni sprazzi d’interazione. Il ritmo è stranamente lento per un God of War, sebbene parliamo della sua introduzione. Kratos è invecchiato bene, ma male. Nel senso: gli anni l’hanno infine raggiunto in modo molto evidente. Eppure la quantità impressionante di dettagli lo rende più affascinante che nei suoi anni più giovani. La barba, le rughe, la luce nei suoi occhi, le vene delle braccia, i tatuaggi scoloriti. Santa Monica, proprio come Naughty Dog, è uno di quei team che sa sfruttare ogni singola particella degli hardware di mamma Sony. E qui ha dato del suo meglio, con un mondo che esplode di finezze visive senza tregua, dalla tassellazione che permette deformazioni geometriche su più livelli (la neve che diventa scomposta sotto i nostri piedi) a una serie di effetti di luce volumetrici che, attraverso le sinuose curve di alberi, rami rampicanti e fitti boschi, renderanno la nostra immedesimazione totale ed estasiante.
In questa orgia di sensi visivi, chiacchieriamo con il figlioletto, intessendo le prime linee di una fitta trama: ben più articolata di quanto eravamo abituati in passato, date le circa 35 ore di gioco che ci aspettano per portarla al termine. E nonostante la meraviglia visiva, la prima cosa che penseremo è “ma questo è The Last of Us, non God of War”. Intanto “Troppa narrazione?” tossisce in modo saccente e chiede una sigaretta: sul suo volto leggiamo chiaramente un “te l’avevo detto, io”. Ma noi non ci abbassiamo ancora a delle scuse formali: abbiamo appena iniziato a giocare, in fondo. E facciamo bene, perché poche chiacchierate e piccole interazioni più avanti, cominceremo a menare le mani. Inutile dire che “Visuale alle spalle?” si alza per sedersi più vicino a noi, mentre volano i primi fendenti del Leviatano, la nuova arma di Kratos. Un’ascia micidiale, che potremo scagliare da lontano e richiamare verso di noi come un boomerang, per colpire a distanza e attivare eventi colpendo alcuni particolari oggetti su schermo. Atreus, combatte con il suo arco, mantenendo le distanze dai nemici e cercando di darci man forte, distraendoli quando ci sarà più opportuno. Sapete, è proprio qui che accade la magia. Tasti diversi, visuale diversa. Gameplay fondamentalmente diverso. Eppure, è God of War. Scorre nelle nostre vene, potente. Reagisce come ci aspettavamo, come andare a letto con una vecchia fiamma. E ci sentiamo subito a casa. Quanto ci era mancata!
Un nuovo mondo
Poche ore più tardi, sarà lo stesso Cory a svelarci il segreto di come fosse possibile essere così diversi e uguali allo stesso tempo: “Abbiamo scritto sopra una grande lavagna, tutti gli elementi che secondo il team dovevano essere preservati, per mantenere il feeling di un God of War. Moltissimo tempo di questi cinque anni è stato speso in un grande brainstorming di gruppo. Tutti potevano dare un contributo e dire la propria, quindi la lavagna era piena e fitta. E man mano che avanzavamo, provavamo ad eliminare un elemento totalmente, o sostituendolo con un nuovo. Provando poi se funzionava e in che modo”.
Si, è un hack and slash. E si, si gioca con la visuale dietro le spalle. E si, abbiamo anche un NPC che ronza attorno a noi e i nemici. Eppure, tutto è naturale, immediato. Gratificante. Variegato. Come dovrebbe essere in un God of War. Il Leviatano colpisce duro a distanza e ancor di più nel corpo a corpo, tra spruzzi di sangue e ossa rotte. Il nostro scudo, che con un’animazione fulminea e spettacolare andrà a comporsi davanti a noi, fuoriuscendo dall’armatura del braccio sinistro, può salvarci la vita e colpire i nemici, una volta potenziato. Come se non bastasse, c’è l’Open World. E sappiate che non sono un suo grande sostenitore. Il mio parere, è che il concetto stesso di mondo aperto sia stato stuprato sotto i nostri occhi nel corso dell’ultima generazione, gettandolo all’interno di generi e giochi che non ne avrebbero bisogno, oppure riciclando formati che andrebbero bene all’interno di un’esperienza online e multigiocatore per titoli offline e single player. Perché raccogliere tutte le margherite magiche da portare alla fioraia per l’infuso delle cinque del pomeriggio, può andare bene in una maratona di ripetitivi task sull’altare degli XP offerta dai canonici MMO. Non in un’avventura offline dove si pretenderebbe un certo spessore anche nella più breve delle missioni secondarie. Non fosse altro perché non c’è nessuno con cui parlare in chat. Però, il Mondo Aperto, dai! Senza di esso, sembra quasi impossibile fare i grandi numeri al botteghino, oggi. E molti sviluppatori sembrano pensare che ogni passatempo è buono, per riempire chilometri quadrati su chilometri quadrati di vuoto cosmico.
Detto questo, il mondo di God of War sembra enorme e soprattutto al servizio del gioco, e non il contrario. Almeno, per le poche ore che ci sono state concesse finora. Diciamo che fanno ben sperare, al riguardo, ma potremmo essere più oggettivi soltanto in sede di recensione. La mappa è oscurata come in Horizon, sembra sconfinata ma non eccessivamente. Ecco, se volete un mio parere sulla lunga distanza, proprio quella del recente successo di Guerrilla Games rimane decisamente troppo estesa in rapporto alla storia e i contenuti offerti al suo interno. Ma come detto, per ora almeno, “Open World?” non è venuto a farmi visita, né si è seduto sulle sedie di questa prova stampa del gioco.
Grossi e cattivi come ai vecchi tempi
Dopo aver fatto a pezzi i mostri “base” che infestano queste lande norrene, che ci fanno venire subito voglia di una nuova stagione di Vikings, con alcune “fatality” brutali e visivamente orgasmiche, ci ritroviamo senza preavviso lanciati nella prima boss battle. Ecco che “Troppa Narrazione?” esce via per il tendone nero, mentre affiliamo la lama del nostro Leviatano. Un gigante armato di tronco e con un paio di corna vichinghe sulla fronte vuole prendere a calci noi e il poppante al seguito. Ancora una volta, welcome back home. Rotolare, colpire a distanza, accorciarle per menare fendenti alle parti basse e lanciarci in una sequenza finale da QTE: tutto è bello proprio come allora e la nuova visuale, tanto temuta, apre in realtà nuove opportunità ai nostri scontri costellati da voluminosi sprizzi di sangue digitale e frattaglie scomposte. Tanto che “Visuale dietro le spalle?” è costretto ad andare al guardaroba per riprendere la sua giacca.
Fino a questo momento, Atreus è stato piuttosto maltrattato dal padre. Al punto tale che “Anche un bambino adesso?” finisce per diventarci ben più antipatico che all’inizio del gioco. Insomma, Kratos non vuole rinunciare a essere padre, neanche dopo la tragedia che gli strappato una figlia e una moglie e l’ha portato fin qui, dopo aver seppellito l’intero Monte Olimpo. E forse, Cory come padre vuole raccontarci l’importanza di una discendenza, di una famiglia, con il suo nuovo, impegnativo lavoro. Sebbene Atreus a volte, durante la nostra prova, è finito con il diventare un incrocio tra Trico ed Ellie, per la sua inadeguatezza o scorsa reattività nelle situazioni più concitate, rivelerà ben presto una sua crescita personale, anche piuttosto rapida, oltre ad alcune indispensabili qualità. Ad esempio, si scoprirà che potrà leggere per noi tutti i testi norreni che incontreremo. E no, Kratos a scuola proprio non sembra esserci andato.
Crafting per soli semidei
Per rendere i combattimenti tag-team più riusciti, dovremo farci strada tra il sistema RPG di crafting e crescita del personaggio. Non solo potremo sbloccare tecniche e abilità con il Leviatano, il nostro scudo e di combattimento a 360° per Kratos, che ci permetteranno di rendere i combattimenti più vari e “professionali”, ma potremo rendere Atreus un Ronin-Hood al servizio di Odino, aumentandone danni e qualità delle frecce. Infine, potremo personalizzare le nostre armature, per migliorare le nostre difese. Cosa ancora più importante, proprio come in un RPG, gli XP si potranno ottenere in più modi, senza limitarsi al solo combattimento. Scoprire nuove aree, trovare oggetti e risolvere missioni: tutto sarà buono alla causa della crescita del nostro personaggio. Anzi, dei nostri personaggi.
La terra promessa e il sogno di un uomo
Nel frattempo sono passati i minuti, e poi le ore. Incontriamo nemici sempre più forti e intelligenti, mentre avanziamo per lande innevate, arrampicandoci come Nathan Drake quando serve, aprendo passaggio attraverso piccoli enigmi che richiederanno l’uso a volte del Leviatano, altre quello di Atreus. Nel frattempo, le domande sulla misteriosa madre del bambino, di come Kratos sia sopravvissuto all’epilogo delle sue vendette e approdato sulla terra del Ragnarok, si accavallano. E nel finale della nostra prova sul campo, le atmosfere cominciano a diventare quasi surreali, nei loro colori, temi e personaggi. Si, ancora più misteriosi delle domande di prima. E vorremmo ancora giocare. E ancora e ancora, per essere sicuri che quello che abbiamo davanti sia davvero il capolavoro che ha preso a schiaffi i nostri dubbi viventi fino ad oggi. Ma se ci sta qualcosa che può tranquillizzarci, sono gli ultimi minuti passati nel “post-partita”, con Barlog.
Gli ho chiesto per lui cosa significasse God of War, cosa volesse dire tornare a casa, a Santa Monica Studios, dopo tutti questi anni, e come Director di una nuova storia di Kratos. I suoi occhi si sono illuminati, dopo essersi un po’ stretti con il sorriso di quello che non può rispondere, quando gli ho aggiunto che sarebbe stato bello anche sapere cosa avesse fatto poi in prima persona in God of War 3 (spoiler: mi ha confermato comunque che fino all’Ade era ancora tutta “roba” sua). E poi mi ha detto: “Sono tornato con un unico obiettivo, ovvero fare il più bel gioco di tutta la mia carriera. Ho lavorato tutto questo tempo con quest’unico obiettivo davanti, e l’ho perseguito”.
E io aggiungo: non è forse tutto quello che avreste voluto sentire da lui?