The Witch and the Hundred Knight 2 – Recensione

Ho giocato e recensito una pletora di RPG in vita mia, passando in scioltezza da capolavori a titoletti di serie B che hanno trovato poco spazio sul mercato. The Witch and the Hundred Knight 2, realizzato da Nippon Ichi (non a caso il team dietro quella meraviglia di Disgaea), si posiziona più o meno nel mezzo. Lo sviluppatore si è avventurato nel genere action RPG con un primo capitolo alquanto fiacco, cui inspiegabilmente ha fatto seguito un secondo gioco  che si distacca del tutto dal predecessore per trama e personaggi, pubblicato lo scorso anno in Giappone e giunto anche dalle nostre parti negli scorsi giorni. Sapevo che i turni e la strategia propri della serie che ha garantito il successo a Nippon Ichi avrebbero ceduto il passo all’azione frenetica e a un ritmo più incalzante, quindi mi son detto, parlando fra me e me, che quantomeno il gioco sarebbe stato piuttosto veloce. Ahi, quanto mi sbagliavo. Non arriveremo mai ad addormentarci, eppure, per quanto mi riguarda, poco ci è mancato che schiacciassi un pisolino in alcune fasi. Facciamo però un passo indietro e vediamo di capire perché.

The Witch and the Hundred Knight 2 è ambientato in un mondo magico, dove Amalie e la sua sorellina Milm vengono allontanate dal proprio villaggio in seguito a una malattia contratta dalla più piccola fra le due. Il gioco comincia infatti con Milm, ricomparsa dopo essere sparita improvvisamente, ricoperta di fango e con un terzo occhio sulla fronte. Una volta aperto è impossibile guarire dalla Hexensyndrome, e una potente strega prende il posto del portatore. Non sono soltanto i villici a voler cacciare dalla comunità le due sorelle, ma la stessa Amalie è fermamente intenzionata a trovare una cura per Milm prima che l’occhio si spalanchi definitivamente; il loro viaggio, fra peregrinazioni di ogni tipo, le conduce all’associazione WR, un laboratorio che può eseguire un’operazione chirurgica al fine di curare la bambina. Qualcosa però non va per il verso giusto e la ragazzina muore temporaneamente per risvegliarsi dopo poco tempo nelle vesti di Chelka, strega malvagia che trasforma la bambola preferita di Milm nel suo personale manania (chiamato Hundred Knight). Il pupazzo che prende vita è un personaggio grazioso e silenzioso, chiamato più volte a rispondere alla propria padrona grazie ad un sistema di self-assertion, che non incide sull’andamento della trama ma permette di replicare in tre modi diversi. La storia viene raccontata in maniera simile a una visual novel, con lunghi dialoghi senza animazioni durante una sessione di gioco e l’altra. È proprio questo continuo spezzettamento dell’azione a corrodere continuamente The Witch and the Hundred Knight 2: il ritmo veloce del gameplay viene costantemente rallentato per dare spazio a infinite chiacchierate tra personaggi, che malgrado tutto riescono anche ad essere vagamente piacevoli, anche se il titolo è completamente in inglese.

Che poi le meccaniche di gioco non sono per niente male, eh! Abbiamo questo Hundred Knight pronto a sbaragliare una gran quantità di nemici nei vari dungeon facendo affidamento su attacchi corpo a corpo, a vasto raggio, magie e super colpi. Ci sono tre categorie di danno (Slash, Blunt e Magic) più o meno efficaci sui vari tipi di avversari, e ben sei Facets (diverse forme assunte dal protagonista) che hanno caratteristiche diverse e danno il meglio solo con determinate armi. È dunque importante ponderare bene l’approccio che si vuol prendere prima di gettarsi nella mischia, specie quando la mappa ci segnala un gran numero di mostri nei paraggi. Il combattimento è affine ai classici hack ‘n’ slash, ma non c’è soltanto la barra della salute e quella degli Adrenaline Points (che si spendono sfruttando le abilità) di cui tener conto: le GigaCalorie sono un parametro da tenere costantemente d’occhio, perché si bruciano automaticamente durante l’esperienza. Una sorta di timer, se vogliamo, che una volta sceso a 0 fa crollare le statistiche di Hundred Knight e ne impedisce il respawn, facendo perdere al giocatore tutti gli oggetti raccolti fino a quel momento. Ciò che si ottiene nel corso di The Witch and the Hundred Knight 2, infatti, viene conservato nello stomaco del pupazzo, la cui ampiezza aumenta salendo di livello. Quando la sua capacità sta per esaurirsi è allora consigliabile far spazio nella pancia della bambola utilizzando uno o più oggetti, procedimento che gli consente di recuperare delle GigaCalorie – ci sono anche degli strumenti che consentono di ripristinarne il 10% o più, tranquilli. Insomma, è importante far sì che il manania abbia sempre un po’ di posto nello stomaco e che consumi spesso quanto si trova nei dungeon per tenere l’indicatore delle calorie alto. Sarebbe stato carino se Hundred Knight apparisse più tracagnotto quando il suo stomaco è molto occupato, ma gli sviluppatori non ci hanno concesso questa chicca.

Altra feature interessante è la tecnica speciale Depletura, utilizzabile solo una volta messo a segno il quinto colpo di una combo: nel caso in cui la bambola riesca a mettere KO il bersaglio con questo attacco che lo assorbe letteralmente, non solo riprende un po’ di Adrenaline Points ma anche preziose GigaCalorie. Mediante l’utilizzo della tecnica Mystical Dodge, invece, basta schivare l’attacco di un avversario con il giusto tempismo per attivare automaticamente un rallenty à la Bayonetta che lo penalizza. Insomma, tanta carne al fuoco dal punto di vista del battle system, che sorregge un gioco scarso e poco coinvolgente. Un pizzico di varietà non avrebbe certo guastato: nei dungeon bisogna sempre partire da un punto A a un punto B sgominando tutti i mostri che ci sono nel mezzo, un processo che alle lunghe stanca e invoglia l’utente a posare il controller (o semplicemente a cambiare gioco). L’idea di Nippon Ichi è buona e denota una certa dedizione al gioco da parte dello sviluppatore, in particolare quando è il momento di sguainare la spada – o a imbracciare il martello, o la lancia, o qualsivoglia arma – per affettare l’orda di avversari nei dintorni, ma il sistema di combattimento non può e non deve essere l’unica freccia nella faretra di una simile esperienza.

La mia sedia a rotelle è come il kart di Super Mario. In qualsiasi cosa devo essere il migliore, altrimenti ci sbatto la testa finché non lo divento. Davanti a un monitor e una tastiera, però, non è mai stato necessario un grande sforzo per mettermi in mostra. Detesto troppe cose, sono pignolo e - con molta poca modestia - mi ritengo il leader perfetto. Dormo poco, scrivo tanto, amo i libri e divoro serie tv. Ebbene sì, sono antipatico e ti è bastata qualche riga per capirlo.