The Swords of Ditto, Recensione – La dura vita degli eroi armati di giocattoli

Ci sono giochi che partono col piede giusto, e ottengono immediatamente il successo e le lodi che meritano, con grande gioia degli sviluppatori e soddisfazione dei giocatori che li stanno apprezzando. Esistono però anche titoli tremendamente sopravvalutati e, quel che è peggio, opere che si vedono piovere addosso critiche che davvero non riesco a spiegarmi. The Swords of Ditto ricade al momento nella seconda categoria, con recensioni degli utenti su Steam quantomeno vivaci. Le mie alte aspettative, nutrite dai fantastici trailer che mostravano un mondo di gioco colorato e curato, si sono dovute scontrare con la paura che fosse tutto un bluff. Ho perciò avviato il gioco con le dovute remore, cercando di prepararmi ad un’esperienza potenzialmente deludente. E invece, sono stata premiata da pinguini in fuga, ciambelle glassate e gelatine verdi che danno pugni.

La prima, banalissima, descrizione di The Swords of Ditto consiste nel dire che il titolo è un riuscito matrimonio tra il mondo di The Legend of Zelda, quello di Cartoon Network e quello oscuro dei roguelike, dove dietro ogni angolo può attenderci la morte. In effetti è proprio la fusione tra l’aspetto tenero e coccoloso dei personaggi e la loro pericolosità a rendere interessante l’esperienza: il gioco è popolato di creature simpatiche e colorate, che possono ucciderci abbastanza facilmente. Come se non bastasse la morte è permanente, poiché ci obbliga a ripartire da zero con un nuovo personaggio, generato random dal titolo. Così ad ogni nuova incarnazione del nostro eroe possiamo trovarci a comandare un robottino, un ragazzino o magari un gatto. Non è possibile creare il protagonista a nostro piacimento, perciò dobbiamo tenerci quello che compare, ed ho apprezzato la bellezza della sorpresa. Ovviamente un nuovo personaggio implica uno zaino del tutto vuoto e progressi pari a zero: gli unici elementi che si conservano sono i soldi che abbiamo in tasca ed il livello raggiunto. Il permadeath rappresenta l’incubo per alcuni giocatori, ma personalmente trovo molto divertente il dover organizzare il proprio stile di gioco in modo da essere pronti a vedere tutti i propri traguardi ridotti in cenere: in The Swords of Ditto sono presenti equipaggiamenti (rappresentati da simpatici adesivi) ed armi (che sono definite giocattoli), e dopo averli trovati dopo tante difficoltà possiamo perderli tutti morendo. Proseguendo nel gioco riusciamo ad ottenere la possibilità di tramandarli all’eroe successivo, ma il trucco è piuttosto dispendioso. Ogni scelta va ponderata. Fin qui il gameplay sembra abbastanza classico, ma il secondo pilastro fondamentale di The Swords of Ditto è il tempo: ogni spadaccino ha solo 5 giorni di tempo per sconfiggere il boss finale. Esistono stratagemmi per aumentare la durata della nostra avventura, ma l’orologio che ticchetta rimane il nostro peggior nemico: nonostante all’interno di dungeon e case il tempo non scorra, esplorando la mappa passa molto rapidamente ed è necessario fare attenzione a concentrare le nostre energie nella giusta direzione. In questi giorni possiamo scegliere se tentare di prepararci al meglio per lo scontro finale o affrontarlo subito a testa bassa. In fondo tanto prima o poi bisogna morire…. Aggiungiamo inoltre che il mondo è generato casualmente ad ogni gameplay, rendendo vane le nostre esplorazioni precedenti e il nostro accurato studio dei dungeon e dei nemici di ogni area, per comprendere a pieno quanto l’esperienza possa essere bizzarra.

Questo complesso sistema fa da contorno ad un gameplay piuttosto semplice e classico: dobbiamo affrontare i nemici utilizzando la spada o strumenti speciali che permettono di attaccare da lontano. Sono presenti un buon numero di potenziamenti sfiziosi o di armi bizzarre, sufficienti per variare leggermente lo stile di combattimento. Gli speciali giocattoli inoltre sono necessari per avanzare nei dungeon, in un classico stile Zelda-like in cui per progredire è necessario trovare l’oggetto giusto, ed anche lo schema degli enigmi ricorda (in piccolo, piccolissimo) quello della saga della grande N. C’è abbastanza carne al fuoco per divertirsi, e l’apoteosi è la co-op locale: in due il gioco diventa un po’ più semplice, ma sicuramente più gradevole. Sono una grande amante del multiplayer locale, oramai decisamente trascurato, per cui la sua presenza mi ha fatto immediatamente apprezzare The Swords of Ditto. Condiamo il tutto con una magistrale cura dei dettagli e la creazione di un mondo carinissimo, accarezzato da musiche gradevoli ed orecchiabili, ed otteniamo un titolo con grande potenziale.

Purtroppo ci sono anche i tasti dolenti: da un titolo con un sistema di gioco così complesso ed apparentemente punitivo mi aspettavo un livello di sfida effettivamente maggiore. In realtà il tutto scorre più liscio del previsto (anche se si muore eccome) specialmente giocando in multiplayer locale. Il problema principale del gioco rimangono inoltre i vari bug, man mano corretti dalla software house, che possono impedire di proseguire bloccando porte e strade. Non è nemmeno da sottovalutare quanto possano essere frustranti i cali di frame rate: ho davvero detestato alcuni momenti di gioco in cui il tutto ha rallentato clamorosamente, confondendomi e facendomi colpire dai nemici. Tutti questi difetti sono più o meno sistemabili con qualche patch, mentre certamente il gameplay in sé rimane quello che è: come molti roguelike l’azione risulta alla lunga un po’ ripetitiva, poiché l’affrontare all’infinito dungeon e nemici è la natura del gioco. Chi perciò si lamenta della scarsa varietà e soddisfazione, probabilmente non è nemmeno un grande appassionato del genere, ma è vero che la rigiocabilità del titolo sia piuttosto scarsa.

Tra gioie e dolori, considero The Swords of Ditto un gioiellino. Senza troppe pretese, il gioco è riuscito a conquistarmi e farmi passare qualche ora spensierata a vagare tra casette colorate e orrendi zombie vomitanti veleno. Rinnovo il plauso alla co-op locale: ogni gioco che ha il coraggio di proporla al giorno d’oggi merita il mio amore incondizionato.

 

 

Mangiatrice compulsiva di sushi e cibarie di ogni genere, ama alla follia tutto quello che è Nintendo, non disdegnando neppure il dorato mondo dei Pokémon. Videogioca sin da quando era bambina, ed ora che è grande forse lo fa addirittura più di prima. Anzi, sicuramente.