In occasione di quest’ultimo E3 abbiamo avuto l’opportunità di gettare un’altra occhiata su Anthem. Una presentazione che non contiene nulla di inaspettato. Abbiamo avuto il nostro gameplay, il nostro trailer (corredato da una versione rivista e corretta di Uprising dei Muse) e qualche marginale dettaglio di una trama che promette di non essere marginale. Non c’è che dire, il videogioco pare avere tutte le carte in regola per competere con Destiny, il gigante indebolito dell’avversaria Activision. Con Anthem Electronic Arts cerca indubbiamente di reclamare la propria fetta di pubblico e soffiarlo alla concorrente, e lo fa attingendo alla rifioritura del filone fantascientifico che, in questi ultimi anni, sta espandendosi senza sosta. Le premesse e le intenzioni di Anthem sono ambiziose, forse le più ambiziose mai tentate finora. Ma Anthem merita davvero tutto il polverone che solleva? Riuscirà Bioware a non crollare sotto il peso delle aspettative, o l’ aspettano amare sorprese una volta raggiunto il traguardo? Le ragioni che giustificano l’hype sussistono, ma, come abbiamo imparato da No Man’s Sky, più sono grossi e più rumore fanno quando cadono. E anche lo sviluppo di Anthem non è privo di sottotesti.
Benché sia una caratteristica che viene naturalmente taciuta per il bene del reparto marketing, Anthem e Mass Effect: Andromeda presentano delle somiglianze ben precise. Ma non stiamo parlando di corrispondenze a livello di trama, o di ambientazione, o altre caratteristiche comuni che entrambi i videogiochi traggono da un larghissimo corpus fantascientifico, piuttosto dell’iter che tutte e due le opere di Bioware sono state costrette a seguire. Innanzitutto, come molti non ricorderanno, non fu Bioware a lavorare su Mass Effect: Andromeda, ma Bioware Montreal, distaccamento il cui curriculum si limitava al design del comparto multiplayer di Mass Effect 3. Un po’ pochino per affidar loro il futuro di una delle serie videoludiche più acclamate del decennio, ma fu una scelta che rivelò solo in seguito tutte le sue potenzialità negative. Nel corso dei lavori su Andromeda (che, secondo indiscrezioni, procedettero in modo tutt’altro che liscio), alcuni dei dipendenti più navigati di Bioware rassegnarono le dimissioni: stiamo parlando di Chris Wynn, direttore dello sviluppo, Chris Schlerf, lead writer (poi passato alla squadra avversaria, Activision), Cameron Harris, senior editor. Addirittura l’allora direttore Aaryn Flynn abdicò in favore di Casey Hudson, il figliol prodigo, a soli quattro mesi dal lancio di Andromeda. Casey Hudson che, nel 2014, aveva lui stesso lasciato la compagnia di cui era il fondatore; pare che alle dimissioni di Flynn Electronic Arts l’abbia richiamato in servizio per dare manforte ai lavori su Anthem.
Ed è a questo punto che comincia a profilarsi una situazione analoga per quanto riguarda quest’ultimo. Ad aver abbandonato la nave, stavolta, sono Mike Laidlaw, Drew Karpyshyn e Steve Gilmour. Il primo ricopriva i ruoli di lead designer e creative director; ruoli prestigiosi che gli sono valsi encomi e complimenti nel corso di una carriera lunga quattordici anni. Karpyshyn ha rassegnato le dimissioni a marzo dopo diciassette anni di onorato servizio; un curriculum di tutto rispetto, annoverando tra i suoi lavori Mass Effect 1 e 2 e Star Wars: Knights of the Old Republic. Dopo tre anni di lavoro sulla trama di Anthem, anche lui è salpato in vista di nuovi lidi. Gilmour era il lead animator della compagnia. Forse un frangente in cui Montreal avrebbe dovuto investire più risorse, dato che furono proprio le animazioni facciali di Andromeda a valere loro una vasta enciclopedia di meme. Cominciate a sentire del marcio? Perché, stando a queste informazioni, potreste non essere gli unici. Ulteriori indiscrezioni che lo riguardano toccano alcuni dei tasti più dolenti dell’industria. Pare che Anthem sia in cantiere da più di sei anni, ormai; fu Casey Hudson a dare il via ai lavori nel lontano 2012, prima di dimettersi. L’impiego del Frostbite Engine, scelta sulla quale EA ha calcato la mano, sembra aver dato agli studi Edmonton ed Austin non pochi problemi con i quali misurarsi. Stravolto anche il motore grafico, piegatolo alle necessità inconsulte dell’open world di cui Anthem ha intenzione di fregiarsi, la strada non poteva che essere tutta in discesa; ma questa migrazione di massa che ha colpito il personale di Bioware non potrà evitare di ripercuotersi sul prodotto che uscirà sugli scaffali, già vittima di numerosi aggiustamenti sul quale destino ha influito (e non poco) il caso lootbox di Star Wars: Battlefront 2. Sì, perché Electronic Arts non ha mai abbandonato l’obiettivo monetizzazione; la discussione in atto verte più sul modo più “innocuo” di implementarlo. Che la frase sull’alto livello di personalizzazione dei Javelin fosse un indizio? A mettere la ciliegina sulla torta è il clima che molti dipendenti di Bioware respirano sul luogo di lavoro. Ricordate l’infausto destino toccato a Visceral Games e a Bioware Montreal stessa? L’una chiusa, l’altra fusa nello studio EA Motive. Non sono in pochi a temere che, se Anthem dovesse fallire nel concedere ad EA il successo che si desidera, questo potrebbe essere l’ultimo lavoro di Bioware. E con la serie Mass Effect già messa sotto ghiaccio, chi potrà più dire quando avremo l’occasione di incontrare un’Asari, o un Quarian, di nuovo. Come pure tornare a immergerci nelle terre del Ferelden.
In sintesi, Bioware sta fra incudine e martello. La pressione che i fan esercitano non fa altro che rendere la loro corsa più faticosa. E mentre già Electronic Arts conta le banconote e brinda all’impennata delle loro azioni, la responsabilità di non essere stata all’altezza ricadrà su Bioware. Una situazione stressante che di certo non è congeniale allo sviluppo di un videogioco così ambizioso, specialmente con una spada di Damocle che ti pende sulla testa.