Il riconoscimento del Gaming Disorder nel novero delle malattie mentali ha percorso una strada poco battuta. Già da gennaio gli esponenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità avevano tastato il terreno con l’inclusione di questa patologia nella classificazione adottata, ma la pronuncia definitiva dell’organo si è avuta poche ore fa. Una decisione che fa discutere molti, carica com’è di potenzialità di stigmatizzazione.
Luca Mazzucchelli, vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, alla notizia delle prime valutazioni dell’OMS già diversi mesi fa, aveva dichiarato: “Questa decisione non dev’essere un’occasione per demonizzare questi nuovi strumenti: il loro potere, che fino a qualche anno fa non potevamo neppure immaginare, può avere risvolti molto interessanti se utilizzato nella giusta forma, anche in ambito preventivo e, in futuro, curativo”. Non una voce fuori dal coro, piuttosto una che può essere facilmente accostata all’opinione di molti insider del medium videoludico, preoccupati per l’impatto che tale diagnosi possa avere su eventuali risvolti sociali e relazionali.
Fortunatamente, la descrizione che l’OMS dà della patologia non è applicabile agli oltre 2 miliardi di persone che fanno quotidianamente uso del mezzo videoludico per apprendere e sfogarsi: “chi soffre di Gaming Disorder ha comportamenti continui e ricorrenti che prendono il sopravvento su altri interessi della vita. Tale sfogo, alle volte, è talmente grave da poter causare problemi in famiglia, problemi personali, sociali, educativi e professionali”. Nella diagnosi di questa patologia l’OMS precisa di aver bisogno di “un periodo di osservazione della durata di almeno dodici mesi, tempo comunque variabile in caso i soggetti presentino sintomi gravi e requisiti diagnostici evidenti”.
Ma anche uno dei membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò a gennaio che “milioni di giocatori in tutto il mondo, anche nel caso in cui giocassero molto, non sarebbero mai qualificabili come soggetti affetti da questa patologia”: una rassicurazione non da poco da parte del dr. Vladimir Poznyak, che così si pronunciò ai microfoni della CNN. La speranza è che, a fronte di un prolungato periodo di definizione puntuale delle caratteristiche della patologia stessa, l’OMS arrivi a definire terapie adeguate per la cura della suddetta, ormai definitivamente inserita nell’International Classification of Diseases accanto al gioco d’azzardo, prendendo il posto che le spetta nella categoria “malattie legate al (mancato) controllo degli impulsi”.