Parliamoci chiaro: essere novellini è difficile. In qualsiasi ambiente sociale ci si venga a trovare, il novellino è quell’entità che viene sempre guardata con il sopracciglio alzato ed un sorrisetto che pare quasi dire “cosa saresti venuto a fare qua?”. Se poi parliamo di ambienti creativi, il discorso si fa più pesante: infatti il novellino non solo verrà guardato con diffidenza e finta compassione, ma si beccherà anche le accuse di plagio/copiatura da parte di colleghi da cui egli ha eventualmente tratto ispirazione. Muovere i primi passi è difficile, e non sempre il risultato sarà eccelso, ma a partire da essi si può tracciare il percorso per una crescita sicura e ricca di successi. Questo è ciò che si prospetta per il piccolo studio indipendente Aurum Dust che, dalla grande madre Russia, ci porta Ash of Gods: Redemption; questa piccola perla, nata su Kickstarter e disponibile su Steam da marzo, nonostante delle vistose similarità con un suo cugino ben più famoso, mostra la capacità del team di sfruttare al meglio possibile gli spunti di partenza tratti dalle loro fonti di ispirazione, al fine di portare al giocatore un’esperienza di sicuro intrattenimento.
Intrecci complessi
Il gioco si svolge a Terminum, un mondo continuamente scosso da guerre interne tra i regni che lo compongono. Come se questo non bastasse si aggiunge l’ulteriore fardello della Mietitura, ovvero un periodo in cui gli dei scendono tra gli uomini per portare sangue, morte e pazzia. Il giocatore seguirà in contemporanea le vicissitudini di Hopper Rouley, un dio minore impegnato a contrastare i Mietitori, Thorn Brenin, un comandante in pensione alla ricerca di suo figlio, e Lo Pheng, un letale mercenario al soldo di un conte borioso e con le manie di grandezza, assumendo il ruolo di uno o dell’altro nella successione dei vari capitoli della storia; questi filoni narrativi, in prima istanza molto lontani tra loro, si intrecceranno nel corso del gioco, svelando lo stretto legame tra questioni ultraterrene ed interessi politici, e per i tre protagonisti stare dietro ai Mietitori ed alle milizie dei regni rivali contemporaneamente sarà molto difficile.
Viene spontaneo sin da subito il riconoscimento di alcuni cliché ed influenze culturali sfruttate tipicamente nelle trame dei giochi di ruolo: Hopper è l’incarnazione del demone pentito che vuole redimere sé stesso e la sua razza portando pace nel mondo. Il suo aspetto fisico, il nome anglofono e la sua capacità di usare la magia lo avvicinano alla figura di un druido celtico; Thorn è il classico eroe figo, legato alla famiglia ma scettico nei confronti della magia e di tutto ciò che è sovrannaturale. Dal nome e dalle pose assunte emana chiaramente influenze norrene; Lo Pheng è un chiaro incrocio tra un samurai ed un monaco buddhista: letale e fedele al suo signore (che lo paga a peso d’oro), ma al contempo dedito al mantenimento della sua pace interiore, manifestata dallo sguardo sereno (e pure un po’ supponente) che lo caratterizza.
Il miscuglio di tropes ed influenze culturali contribuisce a donare ai protagonisti ed ai side characters che li accompagnano una buona caratterizzazione: ognuno di essi è ben riconoscibile, hanno delle backstories interessanti e la loro personalità è ben riflessa nella scrittura delle loro scelte dialogiche. I side characters in particolare svolgono la funzione di link tra i vari filoni narrativi nello svolgimento della trama, riuscendo ad armonizzare una storia che in un primo momento può apparire inutilmente disarticolata. E, a proposito delle scelte, ognuna di esse, anche la più stupida, può risultare in importanti conseguenze o addirittura stravolgere la trama, dalla perdita di lealtà di un compagno di team o addirittura la morte di un protagonista. Persino durante il transito da un luogo all’altro possiamo incappare in side quests in cui le scelte intraprese influenzeranno il morale della truppa, o addirittura porteranno alla battle phase.
A proposito di battle phase…
La parte di combattimento di Ash of Gods: Redemption consiste in una componente di carte collezionabili aggiunta alla meccanica TBS principale. Infatti, non solo sarà possibile posizionare strategicamente le varie unità nella scacchiera di gioco, ma ad ogni turno si possono sferrare attacchi o aumentare/diminuire le statistiche dei personaggi in battaglia tramite delle carte magiche (e quanto è pesante l’influenza di Hearthstone in tutto questo?) che possono essere sbloccate trovando casualmente dei frammenti tra le spoglie dei nemici sconfitti o comprandole nei mercati cittadini. Personaggi e nemici spaziano tra le più varie razze e classi, ed ognuno di essi avrà delle sue abilità peculiari che, se da una parte permettono di uccidere i nemici addirittura con un one-shot, dall’altra causerà un’ingente perdita di vitalità ed energia, quasi a determinare un equilibrio tra le parti in gioco. Inoltre, ogni personaggio comandato dal giocatore avrà delle animazioni che contribuiscono a caratterizzarlo ulteriormente e a renderlo riconoscibile sulla scacchiera, animazioni che risultano comunque molto fluide e ben curate. And there is blood too! Animato, ma sempre sangue è… E se non vi piace nessun problema: potete sempre disabilitarlo nelle opzioni.
Il giocatore quindi, durante la battle phase, si divertirà ad individuare quale sia l’attacco capace di infliggere più danni e verso quale statistica (vitalità/energia) indirizzarlo, specialmente considerando il fatto che, con l’energia a zero, la vitalità verrà doppiamente danneggiata. Ma non adagiatevi troppo sugli allori, perché l’intelligenza artificiale del gioco è capace di mettere a dura prova le abilità tattiche del giocatore, ed uscire da una battaglia senza personaggi feriti sarà molto difficile. A proposito delle ferite: il personaggio, se sconfitto in battaglia, non muore istantaneamente, ma subisce una ferita che permane durante tutto il viaggio (a meno che non si riescano a trovare dei menhir curativi nel tragitto): alla quarta ferita subita il personaggio si becca il permadeath, e se si tratta di uno dei protagonisti, con esso cade tutta la sua linea narrativa, costringendo il gioco a cambiare drasticamente l’andamento della trama. Nel complesso, la battle phase di Ash of Gods: Redemption non offre nulla di eccessivamente ricercato in quanto a meccaniche, ma il divertimento e la sfida sono certamente assicurati.
Dejà-vu!(?)
Come abbiamo già detto, le fonti di ispirazione di questo gioco sono state molteplici e tra le più variegate: stereotipi di ruolo, caratterizzazioni culturali e persino altri giochi, come abbiamo potuto vedere per la singolarità dell’uso delle carte nella battle phase. E a proposito di quest’ultima fonte, l’influenza di The Banner Saga in Ash of Gods: Redemption è non solo lampante, ma tangibile in ogni suo aspetto, a partire soprattutto dal comparto grafico, che è il primo a rimandare alla similarità tra i due giochi: mentre il primo incrocia lo stile delle animazioni americane (Don Bluth, in particolare) e l’arte norrena, Ash of Gods, per la cura nei tratti, rimanda alle grandi graphic novel a cui tutti siamo affezionati. A titolo puramente personale, mi ricorda quei cartoni animati sulla vita di Gesù che trasmettevano in Rai nei primi anni ’90, anche se non credo proprio che ci fossero dei mezzi demoni in quel cartone, ma forse ricordo male io (?).
Il canovaccio e lo svolgimento della trama, inoltre, sono simili in entrambi i giochi: popoli che non possono tollerarsi a vicenda si ritrovano con avvenimenti sovrannaturali ed esseri provenienti dal mondo divino a mettere ulteriormente i bastoni tra le ruote. I personaggi principali inizialmente detengono dei filoni narrativi separati che si incontrano in un momento successivo e l’esito della narrazione dipende interamente dalle scelte intraprese dal giocatore. Persino la resa grafica dei combattimenti è identica a quella di The Banner Saga, e si vede non solo dalla ripresa isometrica della scacchiera, ma anche dal duo di colori blu/giallo usato per raffigurare lo spazio di movimento. Tante similarità, forse troppe, che agli occhi del videogiocatore medio potrebbero far urlare al plagio, ma Ash of Gods riesce comunque a distinguersi per tanti piccoli dettagli che riescono ad affrancarlo dal suo fortunato cugino: il sangue presente in quantità industriali, l’uso (forse anche troppo, a mio parere) smodato di bad words nei dialoghi ed alcune scelte da poter intraprendere contribuiscono a rendere il gioco più crudo e sicuramente appetibile agli occhi degli hardcore gamers.
Non plagio, ma eccellente ispirazione: nonostante le forti similarità con The Banner Saga e l’inserto tattico à la Hearthstone, Ash of Gods: Redemption della neonata Aurum Dust offre un’esperienza gradevole e di sicuro intrattenimento. La sfida è continuamente assicurata dalle difficili scelte da intraprendere e dagli avvincenti combattimenti a cui prendere parte. Le animazioni sono fluide e ben renderizzate, ed i personaggi sono ben riconoscibili ed interessanti. Assolutamente niente male per essere un gioco di debutto, e di sicuro attrarrà i giocatori che vogliono avvicinarsi al complesso mondo degli RPG e dei TBS. Good game, Aurum Dust. Menzione d’onore per la variegata colonna sonora che compensa la quasi totale assenza di doppiaggio nel gioco. Attenzione ai refusi nelle parti testuali, però!