Dead Space: (ri)scopriamo l’orrore cosmico in onore dei suoi 10 anni

Dead Space

Era l’ottobre del 2008 quando, nell’oscurità dello spazio profondo, il nostro urlo di terrore si levò per squarciare le fredde tenebre del vuoto, ma nessuno lo udì a parte noi. Proprio allora, infatti, a cura dello sviluppatore EA Redwood Shores (oggi nota come Visceral Games) Dead Space raggiunse le nostre PlayStation 3 e Xbox 360, scaraventandoci dentro a un’avventura horror che, per chi ama il gioco dei richiami, sapeva un po’ di Alien, un po’ di Resident Evil, un po’ di Silent Hill, solo per citarne alcuni. Anche se la nota dominante del bouquet era senza dubbio quella del sangue.

Un S.O.S. e un brutto presagio

Siamo nel 2508, epoca in cui ormai l’esplorazione dello spazio non ha quasi più segreti per il genere umano. Il protagonista, Isaac Clarke, si trova a bordo della nave Kellion insieme con il suo equipaggio. La Kellion appartiene alla flotta di una compagnia di estrazioni minerarie spaziali, per cui Isaac lavora in qualità di ingegnere. La nave ha ricevuto una richiesta di soccorso inviata da una seconda nave, la Ishimura, una cosiddetta Planet Cracker, una nave cioè attrezzata per frantumare i pianeti e ricavarne minerali. L’enorme sagoma della Ishimura, che al suo interno ospita un vero e proprio villaggio in quanto a numero di persone, fra cui anche Nicole, fidanzata di Isaac e parte del personale medico di bordo, giace silenziosa e buia nel vuoto. Il tentativo della Kellion di allinearsi al porto d’ingresso della nave in difficoltà fallisce parzialmente, portando ad un impatto non completamente controllato che danneggia seriamente la Kellion. Nessun problema, pensano i membri dell’equipaggio, ci faremo aiutare dai tecnici della Ishimura…

…peccato solo che, già una volta fuori dalla propria nave, l’equipaggio della Kellion capisce che qualcosa non va. Nessuno li accoglie, nessuno si fa vedere; e dopo pochi passi, il gruppo viene attaccato da una disgustosa creatura aliena che, rapidissima, uccide entrambi i piloti. Restano vivi soltanto Isaac, il capitano Zach Hammond e la specialista Kendra Daniels. Isaac resta quasi subito isolato dal gruppo, e contando sul suo equipaggiamento inizierà l’esplorazione della Ishimura, tentando di aggiustare i sistemi della nave ormai quasi totalmente compromessa, seguendo gli ordini di Hammond e aiutato dal supporto informatico di Kendra. La nave è infestata da creature aliene, in alcuni casi antropomorfe; molti sono i cadaveri dei membri dell’equipaggio, e i pochissimi superstiti che si incontrano fin dalle prime fasi dell’avventura periscono prima ancora che si riesca a raggiungerli, oppure si suicidano, preda di in un comportamento isterico ormai irrimediabilmente sfociato nella follia.

Il Marker

Recuperando documenti e materiale audio e video, Isaac inizia a scoprire che il personale della Ishimura sembra dapprima aver sviluppato una sorta di disagio psicologico di massa che si è andato man mano a espandersi e peggiorare. Sempre più numerosi a bordo gli episodi di depressione, allucinazioni, paranoia, fino a vere e proprie esplosioni di violenza in cui le persone si uccidevano fra loro. Dalle ricerche di Kendra negli archivi della nave emerge intanto che l’inizio di questa condizione coincide con l’estrazione di un misterioso artefatto alieno chiamato Marker, che pare sia stato portato a bordo della Ishimura. Isaac scopre che il capitano della nave era in cerca di questo preciso artefatto per consegnarlo alla Chiesa di Unitology, culto di cui lui è seguace e che ritiene l’oggetto in questione sacro e chiave perché il volere di un dio superiore possa effettivamente realizzarsi. Una cosa è certa: dal recupero del Marker sono iniziati gli strani comportamenti di tutto l’equipaggio.

Kendra scopre anche che gli alieni, ribattezzati Necromorfi, che infestano la nave sono organismi con la capacità di assorbire tessuti cellulari morti, plasmarli e riattivarli; i mostri antropomorfi altro non sono se non cadaveri di coloni ed equipaggio riutilizzati come mezzi di locomozione e diffusione di altri organismi dello stesso tipo. Non solo, ma si accorge dalla sua postazione al computer centrale che lei, Isaac e Hammond non sono i soli superstiti a bordo della Ishimura: qualcuno, infatti, si muove riprogrammando i meccanismi delle porte di sicurezza. Si tratta di Challus Mercer, medico di bordo che, impazzito, intende tornare sulla Terra portando con sé gli organismi alieni, perché prolifichino anche lì. Non potendo catturare il folle, Isaac continua la sua peregrinazione da un punto all’altro della nave al fine di porre rimedio ai numerosi danni che l’infestazione ha causato. Kendra lo avvisa della possibilità di lanciare un SOS, sperando che qualcuno arrivi in loro aiuto, e in fretta: aggiunge infatti di aver visto apparire suo fratello su un monitor della sala computer, cosa obiettivamente impossibile, poiché il fratello in questione è deceduto. Già da un po’, anche Isaac vede Nicole apparire sugli schermi sparsi per i locali della nave, dicendogli sempre la stessa cosa: “fa in modo che torniamo ad essere una cosa sola”. A questo punto è evidente che, qualunque cosa sia alla radice dell’epidemia, sta iniziando a contagiare anche loro.

Dalla padella alla brace

Seguendo le istruzioni di Kendra, Isaac riesce a far partire il segnale di soccorso. Una nave militare, la Valor, risponde alla chiamata e si appresta a raggiungere la Ishimura. Il che sarebbe un’ottima notizia, non fosse che la Valor ha anche intercettato una capsula di salvataggio della Ishimura, espulsa in precedenza da Hammond dopo averci intrappolato dentro un grosso necromorfo. Se l’equipaggio della Valor accoglie e apre la capsula, non ci sarà salvezza per nessuno. Ma poiché i nostri superstiti non sono granché fortunati, i militari non solo aprono la capsula, liberando il mostro, ma gli soccombono, lasciando la nave senza controllo in rotta di collisione con la Ishimura. Lo scontro è inevitabile, e non fa che peggiorare le già precarie condizioni della planet cracker, oltre che rifornirla di nuovi necromorfi creati dagli alieni usando i corpi dei soldati. Ma proprio quando tutto sembra perduto, Hammond avverte gli altri di aver localizzato uno shuttle con cui potrebbero fuggire, ma che necessita di riparazione. I nostri amici ricominciano a sperare…

Isaac viene contattato da Terrance Kyne, superstite della Ishimura che lo avvisa: se vuole far cessare quest’incubo non basterà scappare con lo shuttle. Meglio sarebbe usarlo per riportare il Marker su Aegis VII, da cui è stato estratto. Secondo le sue ricerche, infatti, sul pianeta vive un gigantesco necromorfo ribattezzato Unica Mente, che sarebbe in grado di controllare tutti gli altri necromorfi telepaticamente. Secondo Kyne, il Marker serviva a sigillare questa mostruosa creatura, e la sua rimozione l’avrebbe risvegliata. Riportare il manufatto al suo posto potrebbe quindi impedire al mostro di creare ulteriori danni, e fermarlo per sempre. Kyne è evidentemente provato nella sua lucidità mentale, tuttavia Isaac, ormai rimasto con Kendra il solo superstite della Kellion, decide di provare a seguire il consiglio dell’uomo. Nel frattempo, Mercer viene ucciso da un necromorfo.

Il tradimento e un finale assai poco lieto

Una volta recuperato il Marker e caricato a bordo dello shuttle ormai riparato e funzionante, Kyne viene ucciso e Kendra si rivela essere un’agente governativa il cui compito era di recuperare l’artefatto e consegnarlo alla sua agenzia. La donna fugge con reliquia e shuttle ma, grazie all’aiuto di Nicole, Isaac riesce a invertire la rotta della navetta e a farla tornare alla Ishimura. Kendra scappa usando un capsula di emergenza dello shuttle; Isaac e Nicole decidono di terminare quanto iniziato, riportando il Marker su Aegis VII per fermare l’Unica Mente.

Il Marker viene finalmente rimesso al suo posto, e Nicole, che per tutto il tempo non ha fatto altro se non discorsi bizzarri, ringrazia Isaac e svanisce come uno spettro. Sembra tutto finito ma Kendra compare sulla scena, reimpossessandosi dell’artefatto e mostrando ad Isaac il video messaggio che Nicole gli aveva inviato prima ancora del loro rocambolesco arrivo sulla Ishimura: la ragazza si era suicidata, preda come gli altri della paranoia. Isaac è dunque ormai folle, proprio come lo era il povero Kyne, sempre intento a parlare con la moglie defunta come se lei fosse al suo fianco. Non resta che fuggire, ma ecco che, arrivato al porto, l’Unica Mente sopraggiunge e uccide Kendra; Isaac non ha altra scelta se non affrontare la tremenda creatura. Dopo averla sconfitta, o almeno così sembra, l’unico superstite di questa tragedia lascia il pianeta a bordo dello shuttle, verso un luogo sicuro. Durante la navigazione, però, una visione terrificante di Nicole appare ai suoi occhi, lasciando intuire che la sua follia non sia guarita con la morte dell’Unica Mente, anzi, abbia assunto connotati da incubo alla luce della consapevolezza della morte dell’amata.

Dead Space

Un’esperienza che lascia il segno

Tecnicamente parlando, Dead Space era un action tridimensionale con forte componente sparatutto, con visuale in terza persona e la telecamera posizionata sulla destra rispetto al personaggio. Non c’era una vera e propria interfaccia, ogni elemento del gioco era visibile direttamente durante l’azione: la barra della vita di Isaac si misurava con la linea blu sulla sua tuta; le munizioni residue apparivano direttamente sopra l’arma, una volta impugnata e così via. Il titolo permetteva l’esplorazione guidata delle ambientazioni – ricorderete la possibilità di raccapezzarsi sulla direzione da prendere facendo apparire una linea blu che ci indicava la via – che, nonostante fossero per la maggior parte vani della Ishimura, esteticamente si presentavano gradevoli e anche diversi fra loro, in una certa misura. I punti in cui era possibile osservare il panorama spaziale al di là di enormi vetrate lasciava letteralmente senza parole, riuscendo nell’intento di far dimenticare per un attimo quanto profonda fosse la buca di guai in cui eravamo caduti; chicche di gameplay l’esplorazione di segmenti nel vuoto spaziale, in cui i suoni si smorzavano quasi del tutto e un conto alla rovescia appariva sulla nuca di Isaac, ricordandoci di sbrigarci se avevamo cara la vita del nostro avatar, come anche le zone a gravità zero, in cui diventava possibile compiere lunghi balzi fluttuando da una superficie all’altra, senza più distinzione fra pavimento, soffitto e pareti.

Certamente la poesia di queste ambientazioni veniva deturpata da una serie continua di elementi disturbanti presenti in ogni dove: copiose tracce di sangue, cadaveri smembrati, sopravvissuti che parevano aspettare solo noi per togliersi la vita. E, naturalmente, i necromorfi. Queste creature aliene apparivano ovunque, presentandosi sulla nostra strada, oppure uscendo a sorpresa dalle pareti (ogni riferimento è puramente voluto!). Sparare al corpo non produceva granché danni, inoltre queste bestie erano rigeneranti. l’unico modo per cavarsela era smembrarli, letteralmente, puntando agli arti per impedire loro di muoversi e costringendoli alla nostra mercé, addirittura inermi di fronte alla calata impietosa dei pesanti stivali di Isaac sulle loro teste (ogni riferimento è puramente Silent Hill). Alcuni fra loro, se non venivano abbattuti in fretta, si sarebbero avventati su un qualunque cadavere nelle vicinanze per combinarsi con esso, prenderne possesso e poi usarlo per correrci incontro, tutto questo sotto ai nostri occhi. Che spettacolo allucinante!

Fortunatamente, Isaac poteva contare su un arsenale di tutto rispetto, grazie al negozio della Ishimura ancora attivo e funzionante, da cui comprare ciò di cui potevamo sentire il bisogno. Dalla pistola multiraggio al fucile a impulsi alla lama al plasma, c’era solo l’imbarazzo della scelta per impostare il nostro stile di gioco e affrontare gli alieni sparando loro da una certa distanza oppure correndogli incontro, per farli a pezzetti! Una nota evidente del gioco era la sua truculenza. Il dover smembrare i mostri per guadagnar tempo, il dover assistere alle scene di isteria dei sopravvissuti era qualcosa che non faceva di Dead Space un gioco per stomaci deboli o animi troppo delicati. Il gioco permetteva di interagire anche con i corpi, volendo si sarebbero potuti addirittura usare i cadaveri dell’equipaggio come proiettili, sollevandoli con il dispositivo di gravitazione e lanciandoli in faccia all’alieno di turno. Volendo, ma volendo si poteva anche solo lasciarli dov’erano, nel caso il livello di orrore fosse già abbastanza carico così. Molto importante anche la possibilità di congelare gli alieni, rallentandone i movimenti per alcuni secondi, tattica che si rivelava fondamentale per avere la meglio sui nemici più grossi e corazzati. Lo stesso dispositivo tornava molto utile per rallentare il movimento di elementi dello scenario, come porte automatiche impazzite o cavi dell’elettricità strappati, per poter proseguire sul proprio cammino.

Insomma, Dead Space è uno di quei titoli che pesca sì a piene mani da un bacino narrativo già ben noto, ma che ha saputo distinguersi dimostrando di avere un carattere tutto suo. Frenetico e disturbante, ha saputo miscelare con sapienza horror e sparatutto creando un’esperienza difficile da dimenticare. E dopo dieci anni, perché non provare di nuovo a rispondere alla chiamata d’aiuto della Ishimura?

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