Prima dell’avvento dell’action stylish nipponico, delle derive ruolistiche e soulslike di From Software e soprattutto degli ultimi Batman Arkham, che ne hanno in parte ridefinito i canoni, spesso e volentieri erano i tie-in più classicheggianti a dettare legge quando si trattava di menare le mani. La filosofia che regolava lo sviluppo di questi videogiochi, oggi tanto bistrattati, era a quei tempi diametralmente opposta, con una tendenza molto maggiore al rischio e al rialzo qualitativo. Pur non raggiungendo mai chissà quali vette in termini assoluti, i titoli legati all’universo di Spider-Man erano fra questi, e, soprattutto a cavallo dei primi anni 2000, riuscirono ad attirare una discreta fetta di appassionati o semplici curiosi. Fu anche per questo che il crollo verticale delle successive avventure dedicate all’Uomo Ragno, realizzate su quella che doveva essere la “next gen”, colpì tutti in pieno muso come un macigno e fece ancor più male, complice anche il declino in termini di valori produttivi, netto e inesorabile, di molti videogiochi su licenza. Dopo ogni tramonto, però, all’orizzonte si profila sempre una nuova alba: stavolta è stata Sony, detentrice dei diritti cinematografici del franchise, a metterci la faccia (e non solo) affidandone la controparte ludica ai talentuosissimi ragazzacci di Insomniac Games, autori delle serie di Ratchet & Clank, Resistance e, su Xbox, del mai troppo apprezzato Sunset Overdrive. Scelta, quella di Insomniac, niente affatto casuale, vista l’ultradecennale esperienza maturata nel campo dei second party. Del resto, chi meglio di loro avrebbe potuto curare la rinascita videoludica di Spidey nella città che non dorme mai?
La realizzazione di Marvel’s Spider-Man è partita da premesse piuttosto semplici: cercare di dar vita al miglior videogioco esistente fra quelli legati al giovane Peter Parker e al suo tarantolatissimo alter-ego. Mica robetta, insomma. Quando ti chiami Insomniac Games e ti ritrovi sotto i piedi un budget più che generoso, però, hai tutte le carte in regola per riuscirci. Prima di fiondarmi nell’analisi più propriamente detta e cercare di capire se ce l’hanno fatta, però, vorrei condividere con voi le parole del creative director Bryan Intihar, facendo una piccola eccezione alla regola non scritta che dice che le citazioni dovrebbero trovare meno spazio possibile nel contesto di una disamina critica. In questo caso, però, si tratta di frasi perfette per introdurre il discorso generale, fatte di parole che ho apprezzato talmente tanto da non poter evitare di inserirle. “Abbiamo riversato l’anima in Marvel’s Spider-Man, sentendoci insieme possessori e depositari di qualcosa più grande di noi. Questo percorso produttivo ci ha fornito l’opportunità di rivivere in modo straordinario l’infanzia, e in molti casi di condividere l’esperienza con i nostri bambini. Di conseguenza, abbiamo trattato l’universo Marvel forse con ancora più premura rispetto a qualunque saga da noi inventata, per via del profondo rispetto verso ciò che Spider-Man rappresenta per le famiglie di tutto il mondo. E per ciò che ha rappresentato per noi, quando eravamo abbastanza piccoli da indossarne il costume, guardare film o cartoni animati e trascorrere i pomeriggi con i suoi giocattoli, tanto tempo fa.” Il senso di un simile discorso, effettivamente, si comprende già nelle prime ore passate a volteggiare per le strade e i tetti della Grande Mela, in compagnia del nostro amato Spider-Cop di quartiere. Uno degli aspetti in cui il videogioco di Insomniac colpisce maggiormente, là dove i suoi immediati predecessori avevano in gran parte fallito, è proprio l’essere riuscito a ricostruire perfettamente e in maniera quasi maniacale l’universo fumettistico di Stan Lee. La New York digitale entro i cui confini ci muoviamo è splendida, al di là degli aspetti meramente tecnici: tutto è al suo posto, lì dove dovrebbe essere e dove realtà e fantasia si amalgamano in un connubio mai così perfetto e aderente allo sconfinato immaginario di riferimento. Il semplice muoversi su e giù per gli immensi viali di Manhattan è già di per sé un’esperienza totalizzante e talmente coinvolgente da far quasi dimenticare l’esistenza di un’opzione di viaggio rapido, il cui spassosissimo loading screen, peraltro, vede uno Spider-Man costretto a muoversi in metro. In un simile contesto visivo, la storia prende avvio discostandosi leggermente sia dagli stilemi classici che da quelli delle pellicole più recenti, proponendo piuttosto una nuova interpretazione dell’universo di Spider-Man, tratteggiata mettendo insieme tradizione e innovazione, in maniera simile a quanto fatto dai Batman di Rocksteady.
Ciò non significa che i personaggi principali e più iconici siano stati stravolti, anzi. L’intera avventura è pregna di citazioni ed eventi che, partendo da The Amazing Spider-Man e arrivando soprattutto alla serie Ultimate, spaziano lungo gli interminabili decenni di vita del supereroe in calzamaglia, e anzi osano anche andare oltre, rifacendosi in maniera ancor più marcata alla cultura pop moderna e sdoganando l’uso di smartphone e social network. Malgrado ciò, la narrativa è portata avanti con grande rispetto del materiale originario, e ci propone un Peter Parker alle prese con i soliti problemi, con gli amici e i nemici di sempre. Tutto sommato, questa versione del nostro eroe si fa apprezzare per umorismo e caratterizzazione generale, sia nei panni di Peter che di Spider-Man, e anche i comprimari sono scritti come si deve, in particolare l’eterna fiamma Mary Jane Watson, della quale la versione ludica proposta da Insomniac rappresenta – a parere del sottoscritto – una fra le più interessanti di sempre. Devo confessarvelo, descrivere in due parole il modo in cui le redini della narrativa sono state gestite non è affatto semplice, da tanto si rimane spiazzati nel constatare la bontà, in termini produttivi, di scrittura e regia. La NY di Spidey e i suoi personaggi non hanno mai brillato tanto, videoludicamente parlando, e non è solo apparenza: anche nella sostanza, ogni angolo della città è pieno di cose da fare. Oltre alle missioni principali, che si dipanano nell’arco di 15-20 ore, ogni quartiere mette a disposizione un’infinità di compiti da portare a compimento, che vanno dallo scovare i segreti di Black Cat – preludio di quel che vedremo nel DLC, probabilmente – al recuperare gli zaini che lo stesso Peter ha disseminato in giro per la città, passando per l’attivazione di torri per sbloccare le varie zone della mappa (non troppe e per nulla invasive, per fortuna) o stazioni di depurazione dell’aria che richiedono di completare semplici missioni di raccolta o di analisi, per ottenere ricompense ogni volta specifiche. In generale, le attività segnalate sulla mappa sono quasi più divertenti delle missioni secondarie, quasi sempre piatte e prive di mordente, ma questo non rappresenta di per sé un vero problema, visti i numerosissimi modi in cui possiamo impiegare il nostro tempo fra una missione e l’altra. Fra l’altro, per ottenere davvero le chiavi della città e godersi appieno il proprio soggiorno a New York, è fondamentale alternare – il gioco stesso lo suggerisce, talvolta – lo svolgimento della storia principale con alcune di queste attività collaterali, che vanno ben oltre la definizione di semplici riempitivi e anzi, scandiscono esse stesse l’effettiva progressione nel gioco.
Se come me avete giocato a Sunset Overdrive, ricorderete che era pieno zeppo di collezionabili da raccogliere, quasi sempre fini a sé stessi. In Spider-Man, dove esiste una componente ruolistica ben più marcata, la storia fornisce solamente il minimo sindacale in termini di XP; l’unico modo per ottenere un Uomo Ragno invincibile e coriaceo è invece impegnarsi a terminare il gioco al 100%, percorso che, sorpresa, non è affatto troppo lungo o tedioso. Completando una qualsiasi attività (il cui elenco non è ancora finito, vi avviso) si viene ricompensati con dei gettoni, divisi per tipologia, utili ad acquisire potenziamenti e attrezzature che a loro volta sono fondamentali per aggiungere ulteriore varietà e pepe ai meravigliosi combattimenti. Eh si, un altro fiore all’occhiello dell’opera di Insomniac Games è proprio qui: non ho paura di ammetterlo, ma era da tanto tempo che non mi capitava di giocare a qualcosa di così dannatamente divertente, pur forse non così innovativo. A patto, come accennato poc’anzi, di sviluppare le abilità di Spidey, equamente suddivise in tre diversi rami, legati principalmente all’offesa, alla difesa e all’uso intensivo delle ragnatele. Queste ultime si combinano in modo molto intelligente con i gadget, i quali permettono di utilizzarle in molti modi differenti. Il classico lancio frontale per immobilizzare il nemico di turno e riempirlo di mazzate, insomma, non è che l’inizio: è possibile usare le proprie tele anche come mine a grappolo o di prossimità, o ancora come dardi stordenti o respingenti. Tutto ciò è inserito in un sistema vagamente simile al free-flow degli Arkham, dal quale però arriva a discostarsi non poco nelle fasi più avanzate e ne evolve diverse meccaniche, soprattutto grazie all’agilità sovrumana di Spider-Man. Il risultato (e credetemi, non sono parole da fanboy esaltato) è un fiume pressoché continuo di pura goduria, intenso e coinvolgente: vedersi attorniati da una marea di nemici disperati, armati o muniti di fruste e manganelli (“prendetelo!” “portatelo a terra!” ecc.), dai cui colpi sgusciare con agilità mentre li si mazzuola per benino è in generale una delle azioni più appaganti che mi sia capitato di eseguire in un videogioco, di recente e non solo. La stessa cura, peraltro, è riposta nelle battaglie contro i boss, che non sono tantissime, ma si lasciano comunque apprezzare: in alcune situazioni, ad esempio, è possibile sfruttare le classiche statue à la Batman Arkham per riprendere fiato qualche secondo, ma facendolo senza alcun suggerimento stampato sullo schermo e in maniera ben più dinamica e naturale.
Alla fine, quel che ci ritroviamo a fare in giro per la città è suddiviso fra missioni dove perlopiù si combatte, quest di analisi, indagine e raccolta oggetti e infine i classici inseguimenti, spesso successivi agli scontri stessi e gestiti tramite spettacolari QTE. Sia nelle quest principali che in alcuni compiti secondari, fra cui il ripulire i cantieri controllati dagli uomini di Kingpin (a mo’ di avamposti) è spesso possibile scegliere un approccio stealth: è qui che, però, si comincia ad avvertire qualche scricchiolio nell’intero sistema, anche per colpa di un’intelligenza artificiale totalmente deficitaria e spesso comicamente incapace di scoprirci, se non dopo un’enorme quantità di “punzecchiamenti”, anche alla massima difficoltà. Un vero peccato, se consideriamo che da questo punto di vista c’era ancora un certo margine di manovra per poter migliorare le cose, rendendo i nemici un filo più svegli o spingendo ancora di più sulla tecnicità degli scontri, che invece si risolvono spesso nell’evitare il continuo flusso di fuoco che ci viene vomitato addosso. Ciò non ne pregiudica eccessivamente la godibilità, ma in alcuni casi li rende forse un filo troppo facili, soprattutto se li si approccia nel modo giusto e si stendono i nemici più pericolosi (quasi sempre i cecchini) nelle fasi iniziali. Tant’è: pretendere la perfezione assoluta era impossibile, ma gli sviluppatori californiani hanno fatto il possibile per avvicinarvisi, quantomeno nell’intrattenimento “percepito” e non in quello effettivo. Globalmente, la pagnotta è stata comunque portata a casa: penalizzare un sistema nel complesso piacevole e spassoso per qualche lacuna sarebbe eccessivo, quasi avvilente. Anche sotto il profilo visivo, ricollegandomi a quanto detto in apertura, è difficile trovare note stonate, malgrado il – ridicolo – “pozzanghera-gate” scoppiato in questi giorni. Ciò che si vede all’E3, lo sappiamo, difficilmente rispecchia le effettive qualità del prodotto finale, e le scene mostrate riguardavano soprattutto missioni svolte in ambienti chiusi o semi-aperti: gestire quelli più ampi e complessi senza perdere qualche colpo, compito che anche una “vecchia” PlayStation 4 del 2013 è chiamata a svolgere, sarebbe stato semplicemente impossibile. Visivamente, nel suo complesso, Marvel’s Spider-Man riesce a convincere, pur non raggiungendo picchi di eccellenza, neppure nei (seppur buoni) primi piani e nelle animazioni facciali: a fare la differenza, in questo caso, è il quadro d’insieme, che raffigura una città che non dorme mai la quale, a sua volta, non è mai stata così palpitante e viva. Non con Spider-Man a svolazzare fra i suoi grattacieli, perlomeno.
Senza troppi fronzoli o giri di parole, Marvel’s Spider-Man rappresenta tutto quel che i fan dell’Uomo Ragno hanno sempre desiderato, e ha le potenzialità per poter piacere anche a chi magari ne ha seguito le gesta soltanto al cinema, fra interpreti come Tobey Maguire e Tom Holland, passando per Andrew Garfield. Il lavoro di Insomniac è puntuale e competente, ripieno di amore per l’universo plasmato da Steve Ditko e Stan Lee, ma anche solidissimo e dannatamente divertente quando serve. Non è un videogioco perfetto: cade malamente su un’IA eccessivamente deficitaria e presenta luci e ombre dal punto di vista tecnico, con un motore affidabile ma non più all’avanguardia. Nonostante ciò, però, quel che conta davvero in un videogioco simile è se riesca o meno a centrare l’obiettivo che si è prefissato, ed effettivamente Marvel’s Spider-Man riesce a essere il miglior titolo dedicato all’Uomo Ragno che si sia mai visto. Chapeau.