A meno che non abbiate iniziato a videogiocare giusto l’altro ieri, prima o poi vi sarete avvicinati ad un qualsiasi Dynasty Warriors, che fosse il primo capitolo in assoluto su PlayStation, unico ad implementare la formula di picchiaduro uno contro uno sulla falsariga di Tekken o Soul Edge, oppure una delle migliaia di iterazioni successive in terza persona, è impossibile non aver mai avuto a che fare con il longevo franchise di Koei e Omega Force, dal quale si sono originati anche numerosi spin-off con protagonisti diversi dai classici personaggi legati al tumultuoso periodo dei Tre Regni. La natura stessa dei vari Warriors Orochi è quella di giganteschi crossover che accomunano le due saghe principali (Dynasty Warriors e Samurai Warriors, spin-off divenuto poi una vera e propria serie, che traspone i medesimi elementi di gameplay nel contesto storico degli stati belligeranti in Giappone) per farle convergere in un unico, gigantesco conflitto contro una singola entità, la formidabile incarnazione del leggendario drago a otto teste Yamata no Orochi liberata dai proverbiali malvagi che ambiscono a gettare il mondo conosciuto in un vortice di caos e distruzione: tale nefandezza non lascia indifferenti nemmeno le divinità, che scendono in campo assieme agli eroi mortali per ripristinare l’ordine, perciò il roster si espande per includere una moltitudine di figure tratte dalla mitologia e dal folklore orientale ai quali, nel terzo episodio, si sono aggiunti anche un discreto numero di “immigrati” da altri titoli Tecmo e Koei, come Ryu Hayabusa da Ninja Gaiden e Jeanne D’Arc da Bladestorm: The Hundred Years’ War, per la gioia di quanti apprezzano la più ampia varietà di scelta possibile nel distribuire mazzate a destra e a manca.
Dopo l’apocalittico scontro finale al termine di quest’ultimo, e la breve parentesi alternativa di Warriors All-Stars che aveva posto qualche dubbio circa l’effettiva volontà degli sviluppatori di portare avanti il multiverso di Orochi, il mondo è stato convenientemente resettato e tutti gli eroi trasportati di nuovo nelle rispettive epoche dopo aver subito un altrettanto pratico lavaggio del cervello che ha rimosso qualsivoglia memoria della guerra appena conclusa. Tuttavia, il potente Zeus, padre degli dei ellenici, ha assistito con interesse all’intera vicenda e decide pertanto di riaccendere i fuochi della belligeranza stralciando di nuovo il velo sottile che divide la storia dal mito per il proprio, esclusivo divertimento, mentre i numi tutelari norreni tramano nell’ombra. Sebbene esistano videogiochi che utilizzano l’elemento interattivo del mezzo per veicolare riflessioni esistenziali e messaggi densi di significato, Warriors Orochi 4 non contiene nulla di tutto ciò (con buona pace della supervisione di Yoshitaka Murayama, sceneggiatore dell’indimenticabile Suikoden) e sfrutta i dialoghi d’intermezzo e le sequenze animate come puro e semplice pretesto per introdurre nuovi elementi del cast, ma d’altronde non è per la narrazione profonda che gli appassionati continuano a dare fiducia ai ragazzi di Omega Force uscita dopo uscita: quel che conta è ritrovare un buon equilibrio tra familiarità e innovazione senza cambiamenti troppo drastici per evitare reazioni negative, come quelle che l’impostazione open world di Dynasty Warriors 9 ha generato. Basterà un ritorno alle origini per decretare il successo di questo nuovo mash-up?
Unire le forze inizia a sembrarmi una buona idea
Il titolo si apre con un manipolo di soldati al seguito del possente Tadakatsu Honda, fedele servitore dello shogun Tokugawa, affiancato dal giovane Naomasa Ii e dalla madre adottiva di quest’ultimo, Naotora Ii, quando le macchinazioni di Zeus e il presunto voltafaccia di Perseo, che trafuga i braccialetti magici concepiti dal sovrano dell’Olimpo per radunare i guerrieri che ne hanno attirato l’attenzione, fa percepire loro qualcosa di strano. Di lì a poco, nuovi alleati, vecchi rancori e insoliti capovolgimenti di fronte ci porteranno a vestire i panni di ben 170 personaggi giocabili che, come già visto in Warriors Orochi 3 Ultimate, possono essere schierati in formazioni di tre più ulteriori compagni a supporto per avere ragione delle copiose ondate di avversari che ogni livello ci riverserà contro senza sosta, utilizzando la catartica formula hack and slash composta da sequenze di colpi leggeri e veloci, bordate violente oppure affondi letali, a seconda della provenienza ludica del campione selezionato (Dynasty oppure Samurai Warriors) ed i classici attacchi speciali ad area per sbarazzarsi di un gran numero di nemici in una volta sola. Warriors Orochi 4 aggiunge un ingrediente inedito nel calderone allo scopo di spezzare la monotonia dei combattimenti corpo a corpo: durante le primissime battute ci viene infatti fornita l’opportunità di scagliare potenti sortilegi mediante la pressione di un tasto dorsale e uno dei quattro pulsanti standard, che vanno ad intaccare il quantitativo di energia magica disponibile a seconda della loro potenza. Gli effetti variano dall’evocazione di una cavalcatura, opzione quantomai valida considerato che negli ultimi Samurai eravamo costretti ad inseguire fisicamente gli equini in giro per le mappe se volevamo usufruire della loro elevata mobilità, a letali raffiche di ghiaccio e fiamme, fino a devastanti tecniche individuali che consumano in un colpo solo sia la barra della magia che quella degli attacchi musou.
Gli alleati possono anche combinare la loro potenza in un assalto collettivo che sfrutta le truppe sotto il nostro comando, onde ribaltare le sorti di una missione che non sta volgendo a nostro favore, mentre determinati personaggi sono anche in grado di entrare in risonanza con i succitati braccialetti per avviare un processo di “deificazione” che li trasfigura in entità ultraterrene e conferisce loro una riserva di incantesimi virtualmente illimitata. Insomma, gli sforzi profusi per differenziare il gameplay dal classico button mashing infinito che ha da sempre caratterizzato la serie questa volta sono tangibili e la magia, che ha fatto storcere il naso a più di un purista all’epoca della sua rivelazione, rappresenta la novità più intrigante del mazzo che non mi dispiacerebbe ritrovare in qualche altro sequel. La durata media dei livelli, suddivisi fra i cinque capitoli della storia principale, si attesta intorno ai 20 minuti cadauno, un buon compromesso che riesce a bilanciare la ripetitività dell’azione con gli obiettivi da raggiungere per completare le missioni. A questi si aggiungono brevi scenari paralleli e autoconclusivi che non approfondiscono il complotto ordito dalle divinità olimpiche ma, piuttosto, servono a reclutare altri guerrieri per la nostra causa, in particolar modo tutti i volti noti già apparsi in passato ma non inseriti direttamente nel racconto per esigenze di trama.
Conduciamoli tutti verso uno splendido inferno
Come di consueto, è necessario accumulare esperienza, acquisire capacità speciali e potenziare le armi brandite dai nostri guerrieri per avere ragione della difficoltà che aumenta con il prosieguo della storia, e tale scopo viene raggiunto sia sgominando in prima persona le orde di nemici che spendendo punti crescita e punti abilità durante le fasi di intermezzo, in modo da permettere anche ai nuovi arrivi di tenere il passo con quanti ci hanno accompagnato fino a quel momento. Ai personaggi che non prendono parte alle battaglie possono essere anche affidati incarichi simultanei che permettono loro di raccogliere materiali per migliorare l’equipaggiamento e guadagnare livelli, facilitando ancora di più il compito di gestire il vasto esercito ai nostri ordini senza dover obbligatoriamente ripetere più e più volte le missioni già completate con altri subordinati. Infine, le gemme di cui entriamo in possesso rappresentano un modo per ottenere benefici di gruppo quali aumentare l’esperienza ottenuta o la probabilità di rinvenire oggetti speciali. La storia può essere affrontata sia in solitaria che assieme ad un amico in split screen, mentre l’online viene reso disponibile una volta completato ciascun livello almeno una volta: il motore grafico non mostra incertezze significative nemmeno durante le sessioni in coppia, ma gli effetti speciali più onerosi talvolta provocano qualche rallentamento ben visibile. La seconda e, purtroppo, ultima modalità di gioco messa a disposizione da Warriors Orochi 4 è un’arena 3 contro 3 pensata sempre per il multiplayer che si traduce nella semplice conquista e difesa di un punto specifico di ogni mappa, inserita quasi per dovere più che per reale volontà di offrire un’esperienza online degna di tale nome. Naturalmente, è lecito aspettarsi un carico di opzioni aggiuntive nella versione aggiornata che uscirà di sicuro fra qualche mese, ma sarebbe stato apprezzabile anche un piccolo sforzo per l’edizione base.
L’ultimo esponente della mini saga di Orochi abbraccia di nuovo l’impostazione classica della serie, introducendo un buon numero di varianti che rappresentano il modo migliore per evolvere la caratteristica formula dei Warriors senza distaccarsi troppo da quest’ultima. La campagna principale ha un ragguardevole quantitativo di missioni da completare, sia principali che secondarie, ma l’assenza di incentivi nel proseguire il gioco una volta completata la storia potrebbe limitarne severamente la longevità, a meno di non volersi cimentare nei medesimi livelli con un gruppo di amici. Ad ogni modo, Warriors Orochi 4 sembra proprio un passo nella direzione giusta per il longevo picchiaduro firmato Koei Tecmo, e l’espansione della narrativa verso altre mitologie al di fuori dei confini della tradizione asiatica, come del resto già accaduto con il suddetto Bladestorm e con Warriors: Legends of Troy, potrebbe rappresentare uno sviluppo accattivante per tutti i titoli futuri.