First Man – Il Primo Uomo racconta una storia fondamentale per l’umanità stessa, con protagonisti gli Stati Uniti e uno dei loro simboli più importanti, ovvero la ricerca spaziale, la Luna; un satellite privo di vita ma che ha fatto sognare poeti e scrittori per tutta la storia umana. Solo nel 1969 l’uomo ha posato per la prima volta il piede su questo deserto grigio spettrale ma ipnotico. Oggi un film racconta questa epopea eroica e in particolare quella dal punto di vista umano, con la vita personale di Neil Armstrong.
“Sono convinto che ogni essere umano abbia un numero finito di battiti cardiaci. Non intendo sprecare i miei correndo in giro a fare esercizi.” (Neil Armstrong)
First Man – Il Primo Uomo è un film molto atteso dal grande pubblico, dopo il precedente successo dello stesso autore. Si tratta infatti della nuova fatica cinematografica di Damien Chazelle un giovane regista decisamente talentuoso che, appena trentenne, è arrivato nell’Olimpo dei migliori artisti del grande schermo. Al cineasta statunitense, classe 1985, si devono pellicole oggi molto apprezzate come Whiplash del 2014, con protagonista un musicista jazz, altro grande amore dell’autore, prodotto da Jason Blum (fondatore tra l’altro della leggendaria casa di produzione Blumhouse), che è stato candidato all’Oscar. Di due anni successiva la sua opera più nota, ovvero La La Land del 2016. Un musical, quest’ultimo, dove il regista mette tutta la sua passione per le sette note e che, dopo poco, è stato già considerato un cult e ha portato a casa un Oscar. Le aspettative, dunque, non potevano essere che decisamente alte. Nel cast troviamo confermato anche l’attore protagonista del musical, ovvero il poliedrico Ryan Gosling, che però appare forse poco adatto al ruolo. Vero veterano del settore, l’artista canadese cerca di fare del suo meglio, ma decisamente alcune volte sembra davvero un pesce fuor d’acqua. Colpisce invece parecchio la recitazione di Claire Foy, nel ruolo non facile della moglie dell’astronauta. Una interpretazione intensa che delinea perfettamente la psicologia di un personaggio fondamentale nella storia personale di Neil Armstrong. L’affascinante attrice britannica dagli occhi di ghiaccio è ricordata dal grande pubblico per essere stata protagonista nel 2011 del film d’avventura L’ultimo dei Templari , della serie TV The Crown (2016) e del recente horror Unsane, in cui lotta con uno stalker psicopatico. Non meno importante il ruolo di Jason Clarke, attore australiano giunto alla notorietà grazie al film Zero Dark Thirty (2012), in cui interpretava un agente segreto. Tra le location del film troviamo delle realistiche cittadine statunitensi, con in primo luogo Atlanta, in Georgia, e la nota località di Roswell, nella cui Rounsaville Road al numero 690 si trova il set della casa di Neil Armstrong, luogo iconico e fondamentale per l’intera pellicola. Spicca però, com’è facile immaginare, sopratutto la ricostruzione della Luna, decisamente evocativa e ben realizzata. Del resto, diciamolo francamente, in un film silenzioso e senza musica jazz, gli scenari che lo spettatore si aspetta sono proprio gli affascinanti crateri lunari.
La contestualizzazione storica del 1969
L’uomo bianco va sulla Luna, e intanto le minoranze muoiono di fame. Questo è uno dei concetti che si sente dire molto spesso nel film, perché, ricordiamolo, il periodo della fine degli anni sessanta è stato storicamente molto caldo e complesso. E non solo per la controversa Guerra del Vietnam. Per molti opinionisti, ma anche per l’uomo comune della strada, spendere così tanti soldi per mandare degli astronauti sulla Luna è stata una impresa inutile e sconsiderata. Si parla molto poco, ricordando il 1969, delle tante questioni morali ed economiche irrisolte. Le proteste sociali vertevano sopratutto sul fatto che, realmente, negli Stati Uniti e in tutto il mondo più o meno civile e filo statunitense, ci fossero letteralmente dei cittadini che morivano di fame ed erano preda degli stenti economici. Pensiamo ai ghetti neri, ebraici e di tante altre realtà. I milioni di dollari spesi per fare un piccolo e tutto sommato discutibile passo sulla Luna, quante persone avrebbero potuto sfamare? Una questione che il regista Damien Chazelle non manca di evidenziare all’interno della pellicola, con interessanti approfondimenti che danno spunto a discussioni di tipo sociologico e morale. Fortunatamente, nessuna citazione al fatto che l’evento possa essere un falso storico, teoria portata avanti da diversi complottisti, e che vedrebbe coinvolto nella regia persino un nome noto come Stanley Kubrick. Nel film Shining, il visionario e geniale cineasta avrebbe persino confessato il falso, secondo le stesse teorie, cambiando il numero della stanza rispetto al romanzo originale di Stephen King. Ne parla l’interessante documentario Room 237 di Rodney Ascher.
Lo spettacolo delle emozioni e dei sentimenti
Com’era facile aspettarsi da un grande regista come Damien Chazelle, ecco che il film va a puntare sul lato più intimo e sentimentale della storia e al posto dello spettacolo puro preferisce il lato più nascosto dell’intimità dei personaggi. Un grande eroe Neil Armstrong, certo, ma dietro il personaggio pubblico c’è sopratutto un uomo da scoprire, la sua famiglia, le sue fragilità e il suo rapporto giornaliero con i figli. Ogni pioniere dello spazio e dei luoghi inesplorati in genere può essere vittima di un incidente mortale, e questo lo mette in conto, ma come reagiscono i figli dell’eroe alla notizia che questi potrebbe non fare mai ritorno a casa? Ecco, su simili momenti emozionali è basata gran parte della storia. Quelli che stanno andando sulla Luna non sono impavidi eroi spaziali, ma semplici uomini con il loro bagaglio di paure più o meno grandi. Impossibile ignorare i dubbi che tutti prima o poi si pongono all’alba di una grande impresa. Un evento traumatico spinge un uomo amante della vita bucolica e tranquilla a rischiare tutto pur di andare sulla Luna. Un eroe dietro il quale si nasconde un uomo ferito. Una severa lezione di umiltà per chi, precedentemente, ha raccontato la stessa storia al cinema puntando invece sullo spettacolo puro.
“Nel volare la probabilità di sopravvivenza è inversamente proporzionale all’angolo di arrivo.” (Neil Armstrong)
Una buona storia, come abbiamo detto, con un cast di attori ben calati nei personaggi, a parte purtroppo il protagonista, è bene ribadirlo. Interessanti senza dubbio anche gli excursus storici sulla questione dello spreco di denaro da parte del governo statunitense che, secondo gran parte dell’opinione pubblica, stava letteralmente buttando nel cestino dei rifiuti delle risorse economiche imponenti, mentre la povera gente, magari, moriva di fame. Un quadro quasi del tutto positivo, dunque? Non proprio. A convincere meno dell’intero film è, paradossalmente, proprio il comparto tecnico. Alcune scelte registiche appaiono quantomeno discutibili e, sopratutto, il continuo uso di telecamere mobili e movimenti bruschi della scena è a tratti disturbante. Ed è un vero peccato, perché la ricostruzione storica di ambienti e costumi è decisamente convincente. A cosa vale mettere la moquette originale del 1969 nell’appartamento della famiglia Armstrong o far indossare a Claire Foy deliziosi vestitini d’epoca quando poi si riprende il tutto con una traballante e incerta telecamera a mano degna del peggior film amatoriale? Una scelta d’autore, certo, lo capiamo. Ma permetteteci di non condividerla, calati nel ruolo di semplici spettatori. Per contro, ricordiamo che la tecnica della steady-cam e trovate registiche collegate danno decisamente realismo alla scena, e sono quello che fa la differenza in pellicole oggi di culto come Cloverfield o Rec del regista spagnolo Jaume Balagueró. L’utilizzo di soggettive continue, primi piani stretti e altre trovate simili sembra davvero poco adatto a quella che, in fin dei conti, è una semplice biografia di un personaggio fin troppo noto. Un film racconto in cui emozioni e vicende personali si mescolano a importanti eventi storici. Il film ha il gran merito di scavare nel lato umano di grandi eroi dell’esplorazione spaziale, svelando gli uomini semplici dietro i personaggi, con le loro piccole e grandi paure.
“Questo è solo un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l’umanità.” (Neil Armstrong)
Realizzare il sogno di millenni di storia, conquistare la Luna cantata da poeti come Dante Alighieri, Giacomo Leopardi, autore di Alla Luna o Charles Baudelaire, con la sua Tristezza della Luna, di suonatori come Glenn Miller Orchestra, che hanno composto Moonlight Serenade o Mike Oldfield con Moonlight Shadow, per non citare le infinite opere d’arte pittorica in cui la Luna appare protagonista, tra cui a esempio la decorazione del Salone delle stelle nel palazzo della Regina della Notte realizzato da Karl Friedrich Schinkel nel 1815. L’utopia più sfrenata nella mente dei sognatori diventa reale grazie alla scienza. E un artista a tutto tondo come il regista Damien Chazelle non poteva che soffermarsi sul sacrificio estremo degli uomini che hanno permesso questo. Sì, la Luna sarà nostra, a costo di perdere tutto quello che abbiamo, tra cui la famiglia e gli affetti più cari, pur di realizzare l’impresa più grande che l’uomo abbia mai sognato. Conquisteremo l’obiettivo, o moriremo eroicamente, cercando di farlo! In questo, il film centra perfettamente l’obiettivo, facendoci sognare ancora una volta.
Stupisce il fatto che un appassionato di jazz come il regista Damien Chazelle decida di dedicare un film all’altro Armstrong più noto della storia, e non al suo collega musicista Louis. Lasciati da parte gli strumenti musicali protagonisti di Whiplash e La La Land, stavolta il regista ci catapulta in uno strano dramma biografico dal setting storico e spaziale, dove i sogni bucolici di tranquillità familiare di un uomo lo portano, quasi per caso, nel mare della tranquillità lunare, per diventare un eroe indimenticabile della storia umana.