Trentadue anni fa, nel bel mezzo del colorato 1986, nell’affollata e frenetica metropoli di Tokyo venivano registrate e impresse su carta digitale e di filigrana, due semplici parole: Final / Fantasy. Un nome che nascondeva un malinconico e disincantato significato, perché se il progetto che Hironobu Sakaguchi espose a Shigeru Miyamoto si fosse rivelato un fallimento, quella sarebbe stata la sua “Ultima Fantasia“. Una mentalità così lontana da quella a noi più familiare del creativo e dell’artista-tipo del nostro continente, oggi come allora. Pochi giorni fa, infatti, Hajime Tabata, il volto di Final Fantasy di quest’ultima generazione di console, ha abbandonato la casa di Cloud, Sephiroth, Squall, Lightning, Noctis e compagnia bella, lasciando alle sue spalle una trafila di DLC cancellati, promesse infrante e una storia maledetta e incompiuta. Dal 2006 al 2016, per dieci lunghi inverni, l’ultimo capitolo della saga J-RPG più famosa di tutti i tempi ha infestato sogni e incubi dei creativi giapponesi di una delle più importanti e storiche softco del Sol Levante, cambiando nome, aspetto, anima, sostanza, genitori e genitrici. E adesso, dopo due anni dall’uscita, la “maledizione” continua.
Perché dovrebbe sollevare un vespaio di fiamme e ceneri nei forum di tutto il mondo, spargendo fan in preda a convulsioni e prese strette su forconi e tizzoni ardenti? Beh, perché nonostante l’aver già assistito a uno dei più rinviati videogiochi della storia, attraverso una struggente (e a volte insensata) metamorfosi, in questi ultimi due anni Tabata aveva fatto breccia pian piano nel cuore del suo popolo sognante di Chocobo, piume dorate, Bahamut, mondi verdi, oscuri ma anche luminosi a un passo dall’apocalisse. Tra un’espansione e un’intervista, rivelando l’enorme spessore e le difficoltà incalzanti di un progetto nato capovolto nel caldo ventre della sua mamma cosparsa di piume di Fenice, Tabata-san aveva infatti raggiunto il più difficile e agognato dei traguardi: la fiducia della oramai “sua” Community, o seconda famiglia. Grazie a una frase ben scelta e un sorriso smagliante, avvolto da una calda coperta composta dai suoi stessi annunci e il polso delle pesanti decisioni intraprese, una volta al timone di quel Final Fantasy XIII: Versus che diventò poi, semplicemente, Final Fantasy XV.
Un vero e proprio Steve Jobs del gioco di ruolo giapponese, capace di lanciare Summon e usare pozioni Mana, che tagliando interi pezzi di gameplay, storia e personaggi, riuscì a far arrivare sugli scaffali un titolo completamente diverso dalla sua “fantasia finale” originale, e senza coda (e forse anche testa). Eppure, Tabata fu subito acclamato dalla critica e, soprattutto, dalle vendite sui mercati di tutto il mondo. Il nuovo Salvatore di quell’Ultima Fantasia del 1986, è diventato invece nelle ultime ore il suo stesso boia. Una testa tranciata di netto, all’improvviso, sull’altare di “nuovi, importanti e inediti progetti personali”. E non sembrano affatto casuale, a questo punto, le perdite di oltre 33 milioni di dollari dichiarate soltanto dieci giorni addietro da Square Enix stessa. Personali progetti? Parole per nulla socialmente accettabili, nella terra dell’harakiri e del seppuku, e in un’azienda “vecchia scuola” come Square Enix. Una società con una cassettiera di sogni per adolescenti e troppo cresciuti otaku di tutto il mondo, che l’aveva proprio recentemente posto al capo di Luminous Productions, il nuovo studio di sviluppo incaricato di creare nuove e inedite saghe, nell’ottica un rinnovamento di una società fossilizzata da decenni e decenni sulle stesse, blasonate serie. Marzo, dicevamo. Marzo, 2018. Pochi mesi sono bastati quindi all’uomo abbronzato e dal sorriso statuario, anche durante i periodi più bui del taglia e cuci di Versus/XV, per fare le valigie e andare il più lontano possibile dalla balconata del suo castello, da quel cornicione dove poteva affacciarsi ogni mattina per salutare i suoi riconoscenti ammiratori di Noctis.
E ora? Ora è stato crocifisso, come capitava di sognare a Sakaguchi nei suoi peggiori incubi, che lo accompagnarono fino all’uscita del suo primo “FF“. Martoriato sotto gli occhi di ogni donna, uomo e bambino. Frustato e lapidato, sotto i sassi dei suoi stessi “successi”: buona parte di colleghi e uomini e donne del settore, e ancor più tra i suoi stessi e accaniti videogiocatori e videogiocatrici, hanno decretato Tabata come il capro espiatorio del fallimento e della fine di una Saga passata già da padre a figlio in ogni angolo del mondo che videogioca, nel corso di questi ultimi trent’anni. E l’hanno decretato per direttissima, nel giro di una manciata di ore, in una lunga sequela di sentenze senza appello o speranze. Tabata-san, da miracoloso veterinario di stramazzanti Chocobo, incarna ora il volto Materia Nera; della fine del mondo come noi lo conosciamo, del prosciugamento dell’energia Mako che scorre in ogni linfa vitale della galassia di Sakaguchi. Un mondo dove non si aspetterà più il “nuovo” annuncio, del “nuovo” e sempre più spettacolare Final Fantasy (quello “nuovo”). Un mondo buio e tempestoso, il cui cuore è stato sbranato nelle insanguinate mani di un uomo che ebbe l’ardito coraggio di riempire, dopo anni di tentennamenti, un mondo ricco di cinematografiche e dettagliate cantine, soffitte e terrazze, svuotandole da pagine e pagine di sceneggiature incompiute e bozzetti di character design mutilate. Il fine giustifica il mezzo… ma soltanto quando la direzione intrapresa è un unico e incontestabile comandamento: quella del volere della sua Community. Quello del fan-service, dell’happy ending, del comodo, rilassante e caloroso ambiente familiare.
Quindi, se oggi quello stesso Tabata-san che annunciò una manciata di nuovi DLC per i personaggi cardine della storia più incompleta (e reinventata) dell’impresa fondata da Fukushima nel lontano 1975, superando persino i tragici trascorsi di un certo Xenogears (lampi e fulmini), prende nuove ma tutto sommato simili decisioni radicali per il suo bene e, allo stesso tempo, per quella sua seconda “famiglia”, perde l’aureola per indossare in cambio un paio di rosse, inconfondibili corna rossastre. Eccolo, il carnefice dei nostri mondi sospesi, sotterranei, capovolti, che navigano da cartucce, a pile di CD-ROM a spessi gigabyte pronti per il download dai server del Giappone. Non lo riconoscete? Come fate anche solo a dubitare che sia stato lui, l’aguzzino della vostra infanzia e gioventù! Un singolo uomo, nel mezzo di un fiume in piena di artisti e sognatori ad occhi aperti, che ci hanno regalato sogni e speranze per oltre trent’anni, si. Tabata-san, ha ucciso Final Fantasy (e già sento una edulcorata cover degli 883 nelle cuffie del mio Walkman). Non un sistema che vive alla finestra, cibandosi di vite altrui. Non un’azienda intera che non ha saputo leggere il cuore della SUA Community. Non la sua stessa Community, quando non ha saputo fare nient’altro che chiedere more-of-the-same, e ha premiato con i suoi portafogli ogni “espansione” che nella sua massima espressione riduceva lo spessore di questi ultimi. Il fallimento di un uomo, piuttosto che di una squadra che un tempo si definiva “team”. Ma quello di Tabata-san, agli occhi di chi vi scrive non può essere nient’altro che l’estremo tentativo di salvare innanzitutto la sua, di anima creativa e di sognatore. Nonché di non disonorare la stessa casata leggendaria che ha servito per tutti questi anni, messa in ginocchio da un business che, nonostante i metacritic del caso, si ritrova oggi inesorabilmente in rosso? E ancor più di mettere al sicuro quel bambino di nome Hajime… un bambino ancora in grado di vederle ad occhi aperti le “Fantasie Finali”. Le stesse che magari sotto l’erba e la terra, si facevano tristemente strada da ben più di dieci anni. Non è quindi proprio possibile per tutti noi, che con quelle due F ci siamo in qualche modo cresciuti, aspettare qualche tempo prima di ergerci a insindacabili Giudici di una Storia che avrebbe sicuramente tanto, tanto da raccontare con i suoi movimentati dieci anni di dietro le quinte?
Forse, dovremmo fermarci tutti un attimo a riflettere, prima che i social network stessi altro non diventino che un’enorme piazza di paese circondata da tavolini del bar, dove gli esperti e gli addetti ai lavori di un’Industria che può oggi concretamente contribuire al benessere economico di un’intera nazione, si siedano tra i due partiti e improvvisati spettatori, per dire poi la propria senza cognizione di causa e spesso della sana educazione. Perché se questa volta la Fantasia sarà davvero l’ultima, forse lo scopriremo presto. Ma quello che è davvero chiaro fino a questo momento, è che a tavola con il popolo che videogioca, risulta fin troppo spesso facile e naturale, con modi imbarazzanti, ritrovarsi con lo sputare, di gusto, nello stesso piatto dove si è appena concluso l’ultimo, acclamato e sbandierato pasto. Forse sarà perché il nostro settore è affollato da bambini che indossano ancora i vestiti di mamma e papà. Forse, la storia Tabata-san dovrebbe soltanto farci crescere tutti, per continuare a sognare come un tempo. Forse, piuttosto che vestire i panni del Biscardi dell’intrattenimento elettronico con la t-shirt di Facebook, dovremmo analizzare quanto successo nel mercato del Sol Levante e dell’Occidente del Videogioco negli ultimi dieci anni, e capire realmente perché alle nuove generazioni di storie come quella di Cloud e Zack, oggi non importerà mai di più delle nuove, microscopiche aggiunte alla modalità Zombie di Call of Duty. Piuttosto che trovare un comodo, rassicurante capro espiatorio responsabile della fine delle nostre Fantasie, di un adolescenza che fu.