I videogiochi in Francia stanno osservando una crescita fenomenale. La cosa non dovrebbe stupire: del resto, stiamo parlando della patria di Ubisoft, ma anche di recenti fenomeni mediatici come Life is Strange, per non parlare della storia ultraventennale di Quantic Dream. Ma al di là dell’osservazione empirica, un recente rapporto ci dimostra, con i numeri, che la situazione della gaming industry d’oltralpe è assolutamente florida e da prendere a esempio, soprattutto per un Paese come l’Italia che ambisce a posizionarsi a livello internazionale nel settore del game development.
SNJV, l’associazione di categoria dell’industria videoludica francese, in collaborazione con IDATE Digiworld hanno pubblicato il quinto Video Game Industry Barometer for France, un vero e proprio “barometro” per indicare lo stato di salute del gaming in quel della Francia. Si tratta di un documento molto importante, dal momento che sarà sottoposto a un membro del Parlamento, Mr Masséglia, a capo di un gruppo di lavoro dedicato specificatamente ai videogiochi composto da attori istituzionali di livello ed esponenti dell’industria gaming.
Un settore giovane ma sorprendente
Una delle prime caratteristiche che il barometro fa emergere, riguardo alla gaming industry francese, è che si tratta di un settore incredibilmente giovane. I sondaggi hanno infatti rilevato che il 56% degli studi di videogiochi francesi è in attività da meno di cinque anni, mentre ben il 20% è attivo da oltre 10 anni. La situazione probabilmente riflette la tendenza del resto del mondo, dove l’apertura dei tool di sviluppo ai creatori indipendenti ha permesso una varietà di voci molto più ampia, fenomeno che si è verificato d’altronde anche nella nostra Italia.
Quella francese, sempre stando al barometro, è un’industria principalmente di sviluppatori, che rappresentano una fetta pari al 58% delle aziende intervistate; il 39% di queste, tuttavia, si è affidata alle operazioni di un publisher per posizionare i propri prodotti sul mercato.
Crescita e varietà della produzione
A ulteriore testimonianza dello stato di salute della gaming industry francese, estremamente positivo, abbiamo anche la crescita del numero di produzioni, un altro dato che è in effetti sincronizzato con il resto del mondo, dove abbiamo assistito a un aumento vertiginoso nel numero di prodotti lanciati sul mercato. In Francia, solo nel 2018, oltre 1200 giochi si trovano in fase di produzione; 2 su 3 di questi, peraltro, sono nuove proprietà intellettuali.
Altro dato, del resto, che trova dei timidi eco nella situazione italiana. L’entità delle produzioni, d’altro canto, è incredibilmente eterogenea e frammentaria nei budget: nel 2018, più del 50% degli studi ha un budget maggiore di 100000 €, laddove il 10% delle produzioni ha un budget di oltre un milione di euro. Dato, francamente, sbalorditivo. Altrettanto interessante è la provenienza di tali budget, derivante per il 55,4% dall’autofinanziamento, mentre il 15.7% dei fondi degli studi viene attinto dai publisher, il cui ruolo continua a essere a tutt’oggi decisivo nelle dinamiche industriali.
L’importanza delle istituzioni è naturalmente capitale in questo settore, con il 62% delle compagnie che cercano il supporto del governo, attraverso il Video Game Support Fund (FAVJ), il Video Game Tax Credit e il supporto regionale. La Francia è stato uno dei primi Paesi a garantire fondi per gli sviluppatori di videogiochi, e dando uno sguardo ai dati è abbastanza evidente come questo fattore abbia influito in maniera evidente sulla crescita dell’industry d’oltralpe
Una crescita dirompente ed esplosiva… ma poca “diversity”
In generale, quello che emerge dal “barometro” è che gli studi di videogiochi stanno crescendo, e questo provoca anche effetti virtuosi sul mercato del lavoro. Cresce il numero di persone impiegate full-time negli studi, mentre l’86% degli impiegati ha un contratto a tempo indeterminato.
Evidente, anche all’osservatore distratto, come i videogiochi possano rappresentare una vera e propria boccata d’ossigeno per quanto riguarda la crisi occupazionale: usare i videogiochi per creare posti di lavoro è una soluzione tanto semplice da poter sembrare l’Uovo di Colombo, eppure, numeri alla mano, funziona. Il settore è alla ricerca di nuovi impiegati nel 2018, e si stima che nel 2018 si siano creati tra i 1200 e i 1500 posti full time, di cui 650/850 nel settore specifico dello sviluppo. Nel 2019, più del 59% delle compagnie intendono assumere nuovo personale. Unica nota dolente: solo il 14% degli studi è composti da donne
Gli incassi stanno crescendo in maniera sensibile, in Francia: il 17% degli studi guadagna più di un milione di dollari all’anno, con livelli di profitto che crescono di anno in anno, e manager fiduciosi nel fatto che i giochi francesi abbiano un appeal al di fuori del Paese d’origine: si proietta, infatti, un 40% di vendite in tutto il mondo. In generale, l’ottimismo è un attitudine diffusa nell’industry francese: l’85% delle compagnie si ritiene molto o abbastanza ottimista, mentre il 76% crede che la Francia sia una nazione con una grande attrattiva per quanto riguarda lo sviluppo di videogiochi.
E in Italia?
La situazione italiana, come accennavamo nel corso dell’articolo, vive di riflesso una condizione di estremo benessere del videogioco a livello mondiale. In piccolo, nella crescita italiana si ravvisano gli inizi di quello che potrebbe rivelarsi, tra qualche anno, uno sviluppo simile a quello francese, a patto che il settore dello sviluppo venga adeguatamente supportato da misure istituzionali, come agevolazioni di tipo fiscale, e operazioni di valorizzazione commerciali e culturali.
I numeri sono, del resto, ancora embrionali: si parla di 120 studi di sviluppo, perlopiù molto giovani (in effetti, un’analogia con il territorio francese). Una media di imprenditori di età pari a 33 anni capitana una piccola rivoluzione che cresce giorno dopo giorno, e che porta già i suoi piccoli, ma significativi, frutti. Come una notevole internazionalizzazione: il 93% degli sviluppatori italiani esporta in Europa, l’ 83% in Nord America, il 64% in Asia e il 58% in Sud America.