N.D.R. l’articolo dà chiaramente per scontato che chi leggerà queste righe abbia già giocato Le Fantastiche Avventure di Captain Spirit e il primo episodio di Life is Strange 2, Roads. Non ci saranno pesanti spoiler, ma qualche riferimento sarà inevitabile. Siete avvisati!
Nei mesi successivi alla sua prima presentazione, lo scorso anno a Colonia, intuire la direzione verso cui Life is Strange 2 stava e sta cercando di andare a parare è stato veramente problematico, e il primo episodio, sottotitolato “Roads”, non ha fatto poi molto per renderci le cose più semplici. Dobbiamo ammetterlo, abbiamo faticato molto per innamorarci a pelle del nuovo microcosmo narrativo proposto da Dontnod Entertainment, tragicamente lasciato un po’ a sé stesso, a doversi confrontare con un’eredità davvero difficile, ma anche molto timido, al momento del suo esordio, nel volersi svelare appieno ai giocatori e nel far quindi scoccare il più classico dei colpi di fulmine. Rules, secondo dei (soliti) cinque episodi che tornano a comporre anche la seconda stagione, si ritrova quindi suo malgrado sulle spalle un compito difficile e ingrato, dovendo finalmente svelare il contenuto di un vaso di Pandora il cui coperchio comincia, però, a farsi un po’ pesante. Troppo, forse? Chissà.
Come comincia, quindi, questo Rules? Fortunatamente, meglio del suo predecessore. O meglio, riparte da dove Roads si era interrotto, dandoci finalmente (eh si, finalmente!) un’idea reale delle problematiche e dei tormenti che i due giovani protagonisti, Sean e Daniel Diaz, devono affrontare. Il contesto non è cambiato più di tanto: i due fratellini si ritrovano ancora sulla strada, in perenne fuga dal tragico incidente che li ha coinvolti e che ha distrutto le loro vite e le loro amicizie, accompagnati dalla piccola Mushroom, la cagnolina adottata da Daniel a metà del precedente episodio, in una stazione di servizio. Tutto, nei primi istanti, sembra in verità essere ancora fermo al tragico immobilismo di quattro mesi fa, senza scossoni, senza sviluppi, senza un’emotività e un’animosità di fondo a permeare le vicende. Anche Rules comincia molto lentamente, ma per sua fortuna impiega poco ad entrare nel vivo della storia, distaccandosi con forza e con un vero coup de théâtre (ma d’altronde è sempre di Dontnod che stiamo parlando) dal grigiore del primo episodio. Non vogliamo spoilerarvi nulla della storia e dei personaggi che la popolano, e non lo faremo: sappiate soltanto che Sean e Daniel avranno finalmente modo di avere a che fare con qualcheduno di ben più importante dei classici “perfetti sconosciuti”. L’incontro con questi personaggi, tra i quali i nonni materni (non è uno spoiler, tranquilli), permette loro di cominciare ad evolvere il loro rapporto ad un livello superiore, mentre ognuno dei due va delineandosi in maniera sempre più marcata a livello caratteriale. Le loro personalità cominciano infatti a emergere in maniera prorompente, svelando sfaccettature inaspettate nel modo in cui entrambi si confrontano con gli affetti più cari, Sean più distaccato, Daniel più sentimentale, ma anche più titubante. In questo caso, bisogna dirlo, Dontnod sembra essersi improvvisamente ricordata di recuperare il proprio tocco di Mida, che, nel suo genere, rende speciale ogni avventura e ogni storia, anche la più insignificante.
Il corso degli eventi, insomma, sebbene non muti più di tanto il contesto e il significato generale delle vicende messe in scena, cerca di rimettere un po’ a posto le cose dal punto di vista più importante, quello dell’empatia e dell’immedesimazione nei personaggi principali. Mentiremmo se vi dicessimo che ci siamo innamorati di Sean e Daniel dalla prima volta che li abbiamo visti, anzi, a onor del vero fino ad oggi ci erano sempre sembrati i classici “ragazzi della porta accanto”, abbastanza anonimi e quasi del tutto privi dello spessore caratteriale che caratterizzava una Max, una Chloe o una Rachel a caso, tutte e tre (in quei casi) personaggi scritti in maniera superba. Siamo perciò felici di essere stati smentiti: è soprattutto attraverso le loro azioni, infatti, che Sean e Daniel riconquistano pian piano anche la fiducia dei più scettici, ancora generalmente legati alle eroine dei precedenti Life is Strange, specie se, al tempo, li hanno vissuti ed apprezzati. Pur – forse – in modo diverso e – sicuramente – con diverse tempistiche, arriverete a legare anche con Sean e Daniel, interessandovi sempre di più non solo alle traversie su cui si trovano ad inciampare, ma soprattutto al modo in cui le affrontano, imparando a farsi forza l’uno con l’altro, come due lupacchiotti feriti. Rules, infatti, vive inaspettatamente anche di simbolismi: il parallelo con due cuccioli di lupo ai quali è stata sottratta la propria tana e che devono trovare il loro posto nel mondo ci è parso a onor del vero un po’ forzato, ma anche chiaramente destinato a evolversi in maniera ulteriore nei prossimi episodi. La carta vincente che Dontnod ha saputo giocare con grande maestria in questa seconda parte della storia sta nel riuscire a ricollegarla in maniera del tutto organica e naturale, a partire dal file di salvataggio, con Le Fantastiche Avventure di Captain Spirit. Se la scorsa estate siete stati per un paio d’ore in compagnia di Chris Eriksen, non dovrebbe essere difficile per voi intuire come e quando le due avventure vanno a riunirsi, ricomponendo i puntini di una storia semplice, ma, nella sua innocenza giovanile, caratterizzata da tinte sempre più malinconiche.
Anche nel gameplay, in Rules emerge qualche novità: i dialoghi contestuali tra Sean e Daniel, ad esempio, si arricchiscono della possibilità di chiedere al fratellino di utilizzare i propri poteri per interagire con un oggetto o per fornire un’alternativa al completamento di un semplice enigma, come l’apertura di una porta chiusa a chiave. Proprio Daniel, peraltro, è la chiave che muove l’intera avventura: dal punto di vista di Sean, dobbiamo fargli in un certo senso da mentore, aiutandolo dapprima ad esercitarsi (magari sollevando oggetti sempre più grandi), ma poi anche scegliendo, posti di fronte ai maggiori bivi narrativi, in che modo plasmare il suo carattere, suggerendogli di mantenere il segreto riguardo al suo “dono” o al contrario ad essere onesto e parlarne liberamente. Per il resto, abbiamo trovato molto furba l’idea di inserire più dialoghi, al fine di allungare la longevità per chi vorrà mettersi ad ascoltare proprio tutto tutto: correndo, infatti, Rules si può finire in circa due ore, ma quasi nel doppio del tempo se invece si sceglie di prendersela comoda ed esplorare da cima a fondo ogni ambientazione, tutte disegnate a tenui tinte pastello dai bravissimi artisti di Dontnod. Nulla da dire sull’accompagnamento visivo, che fa il suo in maniera tutto sommato dignitosa, se si esclude qualche sporadico problema con le cutscene legato principalmente alla temporanea – e comica – sparizione di corpi animati dallo schermo (ci è successo in una sequenza in auto, con un guidatore fantasma: vi lasciamo immaginare le risate). Dal punto di vista sonoro, invece, siamo su livelli come sempre eccezionali, al punto che, come accadeva già per l’originale, è addirittura possibile innamorarsi del romanzo di formazione di Dontnod a partire dalle musiche di Jonathan Morali, dei Syd Matters (a proposito, recuperateli su Spotify).
Dopo un primo capitolo piatto e sostanzialmente immobile dal punto di vista narrativo, Rules è stata una piacevole sorpresa, un’inaspettata inversione di marcia rispetto a pochi mesi fa, che ci ha permesso di cominciare a capire la direzione in cui questa seconda stagione si sta muovendo e a seguirne finalmente i binari narrativi. Certo, i dubbi rimangono: in generale, la storia e la caratterizzazione generale continuano a mantenersi su livelli un po’ meno convincenti delle vicende dell’originale Life is Strange e di Before the Storm, che dipingevano un microcosmo, quello di Arcadia Bay, coinvolgente ed emotivamente impareggiabile per qualità e quantità di scene e personaggi in gioco. Eppure, dobbiamo essere onesti: anche il viaggio “on the road” di Sean e Daniel Diaz, fra rivelazioni più o meno scioccanti e momenti ben gestiti, comincia ad avere il suo perché. Ci auguriamo solo che non smetta.