Sono a Tokyo, è mezzanotte. Alle mie spalle, in un quartiere di Akihabara illuminato dai led, il palazzone dello Stadia Center. Il mio obiettivo, però, è un altro. Sotto la pioggia incessante di questo inizio di primavera, accompagnato dal mio amico Sakoto, mi infilo in un vicoletto e poi, veloce, all’interno di uno stabile diroccato. La pioggia scende incessante e batte, con forza, dalle finestre. Sakoto suona un citofono, risponde una voce metallica. Sakoto, ancora, pronuncia qualcosa. Una sorta di parola d’ordine: la porta si apre ed io, incappucciato come un ladro, entro in quel deposito. Tutto intorno a me, videogiochi della scorsa era, tutti su supporto fisico e muniti di custodia. Uno scatolame ormai “proibito”. Anche perché, mi ricorda Sakoto, “dobbiamo fare presto. Trova quello che cerchi e poi andiamo via. I giochi fisici sono vietati”. Infilo il corridoio dedicato a Playstation e, con addosso ancora il mio cappuccio bagnato, cerco il mio Sacro Graal.
“Presente”
Tutti allo Stadia
Un futuro possibile. Uno dei tanti, almeno. Vero, ardito comprendere quando, effettivamente, ci sarà la rivoluzione. Impossibile, invece, far finta che lo streaming non sia, in un modo o in un altro, il futuro dell’industria videoludica, per un nuovo modo di giocare e di acquistare. La conferenza Google non ha solo introdotto il nome e il logo di Stadia, ma anche, in forma più ampia, ha sdoganato, per prima, quello che i competitor storici del mercato non avevano ancora avuto il coraggio di fare. Il gioco via streaming, segnatevi queste parole, è destinato a soppiantare in toto il videogioco tradizionale. Il videogioco per come lo intendiamo noi. Non è un concetto, per come la vedo io, sindacabile. Si tratta, piuttosto, di capire il quando e il come. Soprattutto, il chi. L’annuncio di Stadia, infatti, non garantirà, non può farlo, il successo di Google. Anzi, per certi versi, al netto di una tecnologia sicuramente interessante, l’impressione è che in Sony e Microsoft, Nintendo per ora lasciamola stare, non siano certo rimasti sorpresi dalle parole e dai dati snocciolati dai vertici Google sul palco di San Francisco. Stadia, per certi versi, intesa come console “liquida”, non è un concetto così diverso rispetto a PS Now, fruibile, lo sappiamo bene, anche da PC. Non è un concetto così diverso, neppure, rispetto a Project X Cloud di Microsoft, su cui sapremo di più, c’è da scommetterci, nel giro di poche settimane.
“Futuro.”
Google Stadia reinventa il futuro
Qualcuno, schiacciato in questi anni dal peso inquietante di alcuni download, già esulta. Perché l’idea di accedere ad un catalogo e ritrovarsi, nel giro di un “click”, già all’interno del gioco è affascinante. Quasi “anacronistico” nella sua immediatezza, che ci riporta ai tempi delle cartucce ad 8 e 16 bit. Qualcun altro, invece, ha già alzato le barricate. Un po’ per paura, di fronte a connessioni, specie in Italia, tutt’altro che performanti. D’altro canto, vivere nella “provincia”, e quindi lontani, in tanti e troppi casi, dalla banda larga necessaria per raggiungere, sulla carta, le mirabolanti prestazioni promesse da Google, vuol dire partire in svantaggio sul resto del mondo, per quanto, immaginiamo, neppure le campagne del Maine, per come le conosciamo proprio grazie ai videogiochi, possano vantare numeri tanto importanti. Forconi affilati anche da chi, come il protagonista della nostra storia distopica, di abbandonare il supporto “fisico” non ha nessuna voglia.
Chiamateli collezionisti o, magari, feticisti della custodia, già messi a dura prova in questi anni di digital a tutti i costi, ché se vuoi la tua copia fisica, amico mio, comincia a rinunciare al libretto al suo interno. A loro, principalmente a loro, è dedicato questo articolo. Perché se è vero che il futuro è già scritto, restano dubbi grandi quanto grattacieli circa le tempistiche. Pensare che la prossima “generazione”, termine improprio, possa davvero basarsi sullo streaming e sull’only digital è utopistico. I tempi, probabilmente, saranno più lunghi, più dilatati. Cancellando questo “vantaggio” temporale creato da Google in un periodo più o meno lungo di assestamento, di ricerca e di sviluppo. Per ancora qualche anno, insomma, l’Ucronia in apertura resterà ai margini di un mercato nuovo, “male” necessario per il futuro dell’industria. Con il single player offline che, tutto sommato, resisterà agli attacchi delle nuove tecnologie. Per poi, entro dieci anni, soccombere e, chissà, sparire definitivamente. Lasciando ai feticisti sparsi in tutto il mondo il compito di preservare il “vecchio”, il “proibito”, il “prezioso”. Benvenuta, Google. Ci sentiamo tra qualche anno.
Attraverso i lunghi corridoi creati dagli scaffali concentrandomi sulle “fascette” dei vari titoli. Mentalmente, inciampo nelle varie epoche. C’è una cartuccia di Super Mario World, un’altra del primo Sonic. E poi, le custodie dei titoli Playstation, per un’era a 32 bit fieramente ancorata a Symphony of the Night piuttosto che a Metal Gear Solid. Poi, lo vedo. La custodia di The Last of Us 2 è in angolo buio del magazzino. La prendo, la tocco, la pago e, insieme a Sakoto, scappo via. La pioggia, incessante, divide con le luci dei neon specchiati nelle pozzanghere il cielo di Tokyo mentre io, guardingo, mi tengo stretta la rara copia dell’ultimo grande gioco di un’era passata. Scomparsa. Irripetibile.
Tokyo, 25 marzo 2025.