Outward Recensione

Outward

Outward | Gioco di ruolo. Un gioco nel quale si vive nei panni di un altro “noi”, una trasposizione virtuale, nel caso dei videogiochi GDR, della nostra persona. Ci troviamo improvvisamente catapultati in una realtà, in una storia, in un mondo con regole tutte sue, che variano in base al sottogenere di videogioco GDR nel quale abbiamo deciso di immergerci, spaziando dai giochi con combattimenti a turni, a quelli con battaglie in tempo reale. Un mondo sconosciuto, da esplorare, se ancor più nello specifico parliamo di videogiochi GDR Open World o al limite Sandbox, ricco di segreti da scoprire e nemici da affrontare, dai piccoli minion che ci insegneranno i rudimenti della lotta, fino a Boss e avversari in genere dalle capacità e dalla pericolosità sempre crescente. Che ci siano livelli da aumentare oppure no, armamenti e vestiario da comprare e/o craftare, o alleati con cui spalleggiarsi poi, il GDR diventa sempre anche la narrazione della crescita, sia psicologica e/o fisica, dei nostri personaggi nel gioco.

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Non è difficile quanto sembra ottenere equip così belli in fretta!

Outward è IL gioco di ruolo

Insomma, tutto questo per definire una volta per tutte che il gioco di ruolo è forse il videogioco più “all inclusive” di tutti, che per sua natura include una quantità di contenuti di un certo rilievo e prevede un impegno da parte del giocatore che non termina nell’atto pratico di combattere o esplorare, ma si ramifica nella pianificazione e nella gestione del nostro alter ego virtuale: delle sue abilità, dei suoi equipaggiamenti, della sua storia. Che diventa la nostra storia (se il gioco fa il suo dovere, certo). Outward è un gioco di ruolo. Di più, Outward è IL gioco di ruolo, rappresentato nella sua essenza più classica e onnicomprensiva possibile, con tutti i pregi, ma anche tutti i difetti, che il genere si porta appresso da sempre. Più qualche altro dovuto alla derivazione survival, pure trattata con estrema classicità.

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L’illuminazione è il punto forte della resa grafica di Outward

Outward: Prescelti per non essere Prescelti

Unica vera violazione alla purezza del genere GDR che alberga nel gameplay di Outward, ecco che si manifesta “l’eccezione che conferma la regola”: il protagonista. Se nei GDR più classici, quelli storici, siamo sempre dei “prescelti”, difensori della luce, rappresentanti della legge cosmica, ultimi sopravvissuti del clan che fu un tempo al vertice della catena alimentare del paese di -inserire nome fantasy-, in Outward siamo invece dei nessuno sconosciuti, o forse anche peggio che sconosciuti. Sopravvissuti, quello sì, ad un naufragio non si sa come, non si sa perché, non si sa nemmeno troppo bene dove all’inizio, siamo catapultati da tre righe (letteralmente) di testo, senza cutscene, senza dialoghi, abbastanza brutalmente a dire il vero, al contesto e alla trama. E al gameplay. Postilla: Outward è un GDR in terza persona con visuale gestibile a nostro piacimento con la levetta analogica sinistra, un comando per attaccare, uno per rotolare, un altro per assumere una posa furtiva, più i dorsali con cui gestire due schermate da quattro slot ciascuna in cui inserire collegamenti rapidi a oggetti, equipaggiamenti, come scudi, torce o lanterne, o le abilità sbloccabili. Tutto qua, semplice da capire e anche da padroneggiare, almeno per quanto concerne il comparto “azioni” vere e proprie. E questo dalle prime battute fino a… tutto il resto del gioco. Anche quando avremo a disposizione diverse armi ed abilità, i comandi di attacco restano semplici e immediati e non richiedono “abilità meccaniche” da parte nostra per essere utilizzati, ma bensì una buona “pianificazione” per gestirli ed ottenerli.

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Quella freccia non avrà grandi effetti  su quel cervo sai?

E proprio “pianificazione” è la parola chiave di Outward, già a partire dal post naufragio, quando veniamo trasportati dal luogo del misfatto alla nostra abitazione: il faro del nostro villaggio natio.  Scopriamo ben presto infatti che no, non siamo i famosi figli del capo del villaggio con la sacra missione di -inserire azione eroica-, ma discendenti di una stirpe malfamata che ha accumulato, a causa delle azioni sconsiderate di una ormai deceduta parente, un debito con l’intero villaggio, tanto grande da condizionare persino le generazioni successive della famiglia, ovvero noi. Estinguere una rata di tale debito è la prima missione che ci viene affidata, pretesto per farci prendere confidenza con il villaggio e i suoi abitanti prima, e con il mondo esterno e i suoi pericoli poi. Il resto della storia è francamente poco più di un pretesto per spingerci ad esplorare le quattro regioni in cerca di dungeon e segreti nascosti in cima a montagne fredde e altissime, o fra le dune di un deserto caldo e spietato, facendo tappa nei pochi centri abitati non ostili a disposizione in ognuna delle quattro macroaree del mondo. E sapete cosa? Va bene così. Perché non giocherete ad Outward per scoprire come si evolvono le quest di questo o quel NPC, non vi arrischierete a passare notti all’addiaccio in balia degli assalti dei predoni solo per scoprire che Pincopallo vuole diventare un vattelapesca: lo farete perché l’equilibrio perfettamente imperfetto di questo sposalizio GDR-Survival di nome Outward sarà riuscito a far breccia e conquistarvi (poveri voi).

Cierzo è la città da cui inizierete la vostra avventura.

Outward: Un GDR destrutturato

Prendiamo un qualsiasi gioco di ruolo classico, vanno bene anche quelli con le battaglie a turni. Per addentrarci nell’esplorazione dell’overworld, uscendo quindi da una qualunque città, è necessario procurarsi qualche pozione, verificare gli armamenti del nostro personaggio, magari prendere anche un paio di strumenti curativi specifici per gli effetti di stato come “veleno” o “sonno”. A questo punto, senza star troppo tempo dentro l’inventario, l’attenzione si sposta sul gameplay, e potete uscire sereni e pronti per qualunque cosa il gioco voglia tirarvi contro. In Outward, a ben pensarci, il risultato finale è lo stesso, e vede voi, con l’inventario rimpinguato di strumenti utili, armi sguainate e armatura fresca fresca, uscire dagli avamposti per andare a cacciarvi in chissà quale profonda grotta sperduta. La differenza sta tutta nella prima fase, quella di preparazione, che, come detto precedentemente, richiede una pianificazione molto più articolata di quella a cui potreste essere abituati. A meno che, certo, non siate dei fanatici dei GDR più intricati e complessi, o meglio ancora, di alcuni titoli, dello scenario Indie recente principalmente, Survival, dove tutto va realizzato “from scratch”, dalla base, dal niente quasi, affidandosi alla conoscenza delle materie prime e della loro combinazione, o crafting, per essere più tecnici. Se state pensando a Minecraft, potreste non essere troppo lontani dalla realtà, con la differenza che in Outward esiste, ed è ottimamente strutturata, la componente GDR fantasy citata poc’anzi (e non si costruisce un bel niente). Potete raccogliere legna e bacche, ottenere del lino sfilacciando un vestito che non vi serve (rubato ai cadaveri di sfortunati viandanti in un Dungeon magari), o bollire dell’acqua di mare raccolta in una bisaccia, versandola in un pentolone poggiato su un falò appena uscito dal vostro menù di crafting, tutto per ricavarne acqua dolce da bere e del sale per cucinare un pesce, appena cacciato con un arpione, insieme con delle alghe raccolte su una spiaggia, in modo da ottenere un piatto più complesso che ripristina salute, stamina e mana tutti insieme, e tenere da parte quella pozione acquistata dall’alchimista nel villaggio (perché non avevate voglia di portare con voi nello zaino anche il set per distillare le pozioni). Tutto chiaro? Uhm… ok, forse siamo andati un po’ troppo spediti: facciamo marcia indietro.

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Non volete essere mai in situazioni come questa, posti in netta inferiorità numerica.

Il presupposto di base che regola Outward è riassumibile nella parola “destrutturazione”, che permea il gioco proponendoci temi già visti in altri titoli GDR più o meno recenti… smontandoli. Ovvero, “destrutturandoli”, come farebbe un Survival qualunque, e mettendoci quindi nella condizione di non dover più cercare necessariamente il prodotto finito (comunque spesso disponibile a un prezzo esagerato nei negozi), ma le materie prime che lo compongono. E non solo per quanto riguarda il sistema di oggetti e di crafting, ma per ogni singola attività o aspetto di gameplay. Di poter scegliere se vivere il titolo come avventurieri semplici, che basano le loro attività su combattimenti, ottenimento di oggetti rari nei dungeon, vendita, e acquisto di nuovi ninnoli e strumenti con i soldi ottenuti: un approccio che Outward permette, mettendoci tutti i paletti del caso, certo; oppure, di addentrarci nel profondo in un soddisfacente sistema di trasformazione di materie prime, apparentemente senza valore, in pozioni dagli effetti miracolosi, armi elementali più efficaci, vestiti o armature più resistenti, e tanto altro. E sapete qual è il bello? Che entrambi gli approcci alla fin fine intrattengono, regalando ore ed ore di caccia, combattimenti, esplorazione e ansia, tanta ansia di non riuscire a portarci dietro tutto quello che ci serve, qualora avessimo fatto male i conti e avessimo portato con noi uno zaino troppo poco capiente. Già perché persino l’inventario in Outward viene destrutturato e reso parte di quel processo di pianificazione totale e totalizzante, costringendoci a scegliere fra un inventario ampio e la possibilità di portare molti oggetti, al costo di velocità di corsa e di un affaticamento più rapido, o uno più risicato, ma che non penalizza la rotolata in combattimento magari, o stanca di meno durante le lunghe passeggiate di collegamento fra un nostro accampamento e il dungeon di turno.

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La notte porta consiglio… e panorami!

E non appena vi sembrerà che la destrutturazione sia terminata, Outward vi sorprende mostrandovi che c’è altro da imparare, giocando ovviamente, dato che nulla vi viene imboccato e non esistono tutorial specifici veri e propri, sostituiti (destrutturando ancora) da domande che voi porrete ai vari NPC, sperando di ottenere una risposta utile a capire come raggiungere un determinato risultato, una ricetta per un oggetto da craftare, carpire un indizio per terminare una quest specifica o su come proseguire nella storia principale. E poi ancora, più giù, entrando nelle statistiche del nostro protagonista, che possono essere modificate allenandosi presso determinati NPC in cambio di denaro, o soddisfacendo dei requisiti, magari con un dialogo a scelta multipla che deve seguire un certo ordine per le frasi da usare. E non sempre l’ottenimento di una abilità o di un aumento di statistica porta ad un vero “level up” del personaggio, con un prezzo da pagare in termini di HP nella barra della vita al posto di MP in quella del mana, o di punti in quella della stamina. In pieno stile survival quindi, ma anche e soprattutto rispettando la canonicità di determinati punti fermi dell’universo GDR, Outward vi trascinerà, prima ancora che possiate vivere davvero il mondo di gioco e i suoi pericoli, in un percorso a ostacoli dove dovrete sudarvi ogni conquista, ragionare su ogni scelta e comprendere non solo “cosa” fare, ma anche e soprattutto “come” farlo, e riflettere se quel “come” fosse il migliore possibile prendendolo da una selezione di “come” che, al primissimo approccio con il gioco, le prime ore, spiazza. Arrendersi, a questo punto, è un’opzione più che valida. Decidere che no, come lo si gira lo si gira questo Outward non è il gioco che fa per voi, che è troppo complesso o che, semplicemente, richiede troppo studio e attenzione prima di menar le mani. Superato questo enorme scoglio, però, i più tenaci (o forse i più compulsivi, chissà) scopriranno che forse ne vale la pena, per avere in cambio sessioni esplorative soddisfacenti e dall’alto tasso di assuefazione. Ovviamente… non meno “destrutturate” o complesse di quanto sperimentato fino ad ora (ti pareva)!

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Hai messo l’armatura bianca per camminare nel fango? Contento te.

Outward: Mi sono perso?

Diciamo che siete giocatori metodici e organizzati, dei survivalist con i fiocchi che non si fanno scoraggiare dal sistema di crafting, dalla nebulosità delle informazioni fornite dal gioco (ripetiamo, nebulosità chiaramente voluta, per spingere il giocatore a sperimentare, o al limite a chiedere aiuto agli NPC in game piuttosto che a guide al di fuori), e diciamo anche che vi sentite pronti a vagare per le terre incantate di Outward. La prima cosa che noterete sarà un sistema giorno-notte davvero suggestivo, sia in termini di resa grafica dell’illuminazione di albe e tramonti che (e qui Outward sarà la gioia di molti) per il buio pesto che ammanta tutto e tutti intorno a voi durante la notte, o anche dentro alle svariate grotte e Dungeon (rigorosamente istanziati, ma di questo parliamo dopo, prima le cose belle). E se in questi ultimi funghi fosforescenti (per dire) possono “fungere” (ah ha!) da fonti di luce, niente altro che una torcia nelle vostre mani, o una lanterna appesa al vostro zaino saranno in grado di guidarvi nelle tenebre dell’overworld notturno. Un incentivo, se non altro, a sfruttare fuochi da campo e sacchi a pelo per realizzare accampamenti provvisori dove rifocillarsi e riposare, ristabilire la barra della stamina (che camminando si restringerà in base al peso che trasportate o alla foga con cui correte o lottate) e anche ristabilendo la “salute” delle vostre armi, a costo di alcune ore di sonno in game passate all’addiaccio. Se lo steste pensando, avreste ragione: siamo su Outward, e così sembra tutto troppo semplice. E infatti, un indicatore nel menù del sacco a pelo ci mostrerà la probabilità di essere assaliti durante la notte da banditi o animali, in base a fattori come la presenza di un falò acceso vicino a voi (indispensabile se volete dormire in aree innevate senza congelare, ma che vi farà notare nel buio sopracitato della notte) o la presenza di strutture nelle vicinanze che offrano copertura visiva tutto intorno, per esempio, nascondendovi mentre dormite. Ma tranquilli: a dispetto delle asperità sopracitate, e di alcuni Boss che vi faranno sudare (se siete mal equipaggiati) in Outward non si muore. Si sviene, per poi venir trasportati, a seconda della vostra fortuna, da comuni NPC nella città più vicina, o da predoni o mostri in un avamposto come prigionieri, o in un Dungeon come “cibo di riserva”. No, non siamo su Dark Souls: non perderete inventario o oggetti (ci mancava solo quello).

Le architetture in Outward sono tutte molto curate.

Diciamo adesso che siete riusciti persino a sopravvivere ad una notte nell’overworld, e volete ritrovare quel dungeon che la mattina prima avevate scovato seguendo una fila di statue brutte, ma davvero brutte eh. Dungeon che non avevate affrontato perchè a corto di stamina, e bisognosi di sonno. Avete segnato la sua posizione con un pin sulla cartina, che sarà mai raggiungerlo! Allora, aprite la mappa del mondo per vedere dove vi troviate, e orientarvi: ragionevole. Dunque, partite dal villaggio, triangolate la posizione usando il monte che vedete sulla vostra sinistra e quell’accampamento in lontananza laggiù, di fronte a voi, come riferimenti. Approssimativamente dovreste trovarvi… sì, più o meno in questo punto! Ah già, non vi avevamo avvisato: in Outward la mappa non è dotata di segnaposto per la posizione attuale, e non saprete mai esattamente dove siete a meno di ricorrere all’osservazione di punti notevoli come montagne o accampamenti segnati sulla cartina, al netto delle necessarie approssimazioni da fare, visto che la carta non sembra essere in scala perfetta (ma potremmo sbagliare): la bussola sempre visibile a schermo è lo strumento più preciso che avrete. Elemento da un lato galvanizzante, dall’altro frustrante, perché la mappa, come anticipato, non è proprio la più adatta per una restrizione simile. Comunque: ora che sentiamo di avervi dato una panoramica soddisfacente sulle possibilità offerte dall’overworld, leviamoci finalmente un dente abbastanza doloroso. Sappiate che la resa grafica è molto, molto datata.

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Un falò, una tenda, e un po’ di carne cotta: cosa chiedere di più?

Outward: In che anno siamo?

A salvare in corner gli scorci più suggestivi, e ce ne sono eccome, è l’ottimo sistema di illuminazione, unico “faro” (passateci la battuta) di una grafica fatta altrimenti di texture di medio-bassa qualità, alternate solo saltuariamente da altre più valide, ma comunque in minoranza. Il colpo d’occhio dalla distanza è sempre molto azzeccato, e vale anche per capi di vestiario e armi varie, ma avvicinandosi anche di poco i dettagli e le imprecisioni saltano all’occhio e fanno male alle retine, tanto male. Lasciamo perdere l’editor del personaggio all’inizio del gioco: tanto le armature migliori coprono tutto, e meno male. Rimanendo in ambito “tecnico”, però, altri aspetti sono risultati invece più curati, come le animazioni di combattimento o di movimento varie ed assortite, le musiche, che benché ripetitive hanno un certo nonsoche di fiabesco e originale, e in generale un’art direction molto buona, la cui unica colpa è quella di venir rappresentata dalle altalenanti texture di cui sopra, ma che altrimenti si presenta alquanto varia e piacevole da guardare, e da vivere in-game. I dungeon tematici e in generale tutte le aree e gli avversari, umani, bestiali o mostroidi più peculiari, vi faranno respirare un’atmosfera che non ci azzardiamo a definire “originale”, specie nel panorama sconfinato di GDR di valore, ma che senza dubbio si può dire piacevole e azzeccata. L’overworld più “di connessione” però, sentieri e praterie principalmente, ma anche alcuni avamposti o scagnozzi umani e animali, ritenuti evidentemente meno importanti dagli sviluppatori, sono molto meno ispirati. Parlando degli ambienti, risultano vuoti, o riempiti in maniera posticcia da elementi accessori. Espedienti tipici dei giochi indipendenti, che non ledono di certo la qualità delle aree più dettagliate di cui sopra, ma che spiccano nella loro mediocrità al confronto. Dispiace, vedendo la precisione con cui determinate zone sono state abbellite, accorgersi che altre hanno sofferto di una certa fretta nella finalizzazione.

I dungeon sono spesso strutturati in corridoi tortuosi intervallati da ampi saloni.

Similmente, anche altri elementi sono stati apparentemente relegati a secondari nell’economia della realizzazione del gioco. Ad animazioni e feeling di combattimento più che decenti, con colpi che si sentono, a differenza di altri giochi di simile fattura, dove sembra sempre di star colpendo dei fantasmi, il gioco alterna poi movimenti degli NPC tanto innaturali e ingessati da dare fastidio se ci si fa troppo caso. Sempre con FPS granitici, ma comunque legnosi: un’impresa difficile da raggiungere (no, non è un complimento). Proprio quando si supera, perciò, il primo altissimo scoglio del gameplay destrutturato misto GDR-Survival (in questo ordine, necessariamente, per la natura del gioco) e dell’intricatezza delle mansioni da svolgere, un nuovo, per alcuni elevato, per altri facilmente sorpassabile, masso rischia di minare la permanenza in Outworld: il suo apparire datato, tratteggiato a volte con pennellate precise e distinte, e a volte con rozze passate di vernice volte a coprire frettolosamente l’infrastruttura. Con i suoi caricamenti infiniti fra aree istanziate (i Dungeon e i centri abitati) e overworld, che fanno tanto vintage, ma grazie, anche no. E con tutte le potenzialità di cui sopra che, soffermandosi troppo a lungo sui difetti, tangibili e reali purtroppo, rischiano di passare in secondo piano. Ed è davvero un peccato.

Abbiamo cercato di raccontare tutto l’oro che Outward nasconde, sotto una patina opaca dallo spessore variabile fatta di imprecisioni e frettolosità, nella maniera più indolore possibile, ma sarebbe stato scorretto non puntualizzare che il gioco si presenta alla primissima occhiata del giocatore come un prodotto “di altri tempi”: graficamente, concettualmente, e, alla fine, pure praticamente. Consentendo persino di giocare con un amico non solo online, ma anche in locale, con lo split screen: più vintage di così, si muore. Un vintage attualizzato, quello sì, con alcune meccaniche originali e interessanti quali il peculiare uso del mana e delle magia (che meriterebbe una recensione unica a parte tanto è profondo e stratificato), o il permetterci di posare lo zaino, e il relativo inventario contenuto, per combattere più agevolmente senza il peso aggiunto. Eccitante anche la libertà esplorativa, che non preclude nessuna area del mondo a prescindere a patto di capire criticamente cosa ci serve per uscirne indenni, o perire tentando. Il muro di complessità, infine, che fin da subito separa i neofiti dalla comprensione completa dei menù di gioco, la salita da affrontare tipica dei giochi survival nelle prime istanze, voluta per farci costruire pezzo a pezzo un bagaglio di esperienze e oggetti combinabili fra loro, si trasformano alla bisogna nel valore aggiunto, o nella zavorra di Outward, a seconda del palato del giocatore. Destrutturazione dopo destrutturazione Outward finisce per appesantire la struttura di un gameplay fin troppo saturo già nel suo stadio da puro GDR, e ingrana a partire da circa metà playthrough solo a patto che si accettino i suoi ritmi, e i suoi schemi, tanto particolari. Se vi sentite, però, parte di quella fetta di giocatori ostinati, calcolatori, programmatori, amanti del gioco di ruolo più classico ma anche un po’ survivalist, se state cercando insomma un’esperienza che complica, per voi in senso positivo, un genere già in partenza non adatto a tutti, non rinunciando nemmeno a momenti avventurosi e combattimenti solidi… fatevi avanti. Outward sarà una piacevole sorpresa capace di sottrarvi alle vostre vite “reali” per molto, molto tempo. Outward, IL gioco di ruolo. Puro e “semplice”. Oddio, si fa per dire.

Vive in simbiosi con la sua Switch, segnato da un'infanzia vissuta solo sulle console Nintendo portatili. Persino la sua prima console Sony è stata la portatile PSP, il che è tutto dire. Monta video da quando erano ancora di moda gli AMV su Dragon Ball, e si usava Movie Maker pensando di essere i nuovi Spielberg. Malato di giochi competitivi ed E-sport, ma anche dal lato opposto dello spettro di GDR e Story Driven, pochi titoli si salvano dalle sue spire, e solo perchè ogni tanto deve anche nutrirsi e dormire. Ha scritto questo testo, ma di solito non parla di sè in terza persona. Così, per dire.