Life is Strange 2, Recensione dell’Episodio 3 “Wastelands”

Dopo aver giocato il terzo episodio di Life is Strange 2 mi sento anche un po’ in dovere di chiedere scusa a Dontnod Entertainment. Almeno temporaneamente. Se Roads e Rules, all’epoca, erano volati via come granelli di sabbia (il primo più del secondo), questo terzo episodio, sottotitolato Wastelands, fa esattamente il contrario: più che mai fiero del nome che porta, si lascia apprezzare senza esporre il fianco a troppe critiche e, preso come avventura a sé stante, riesce a tenere con il fiato sospeso dall’inizio alla fine. Quell’alchimia (im)perfetta che caratterizza così bene tutti i Life is Strange, insomma, è tornata a bussare alla porta quando meno ce l’aspettavamo e quando, forse, avevamo anche iniziato a perdere le speranze.

Le introspezioni psicologiche e i discorsi senza filtri attorno al fuoco sono una delle carte vincenti di questo terzo episodio.

Grazie a Wastelands, Life is Strange 2 ricorda di avere un glorioso passato

In verità, la possibilità che la narrativa potesse definitivamente decollare in questo terzo episodio era già individuabile negli ultimi strascichi lasciati dal predecessore, tre mesi fa. Rules, oltre ad essere già di suo parecchio più convincente del debutto iniziale di questa seconda stagione, poneva le basi per una futura esplosione del racconto, troncando definitivamente ogni possibile legame dei fratelli Sean e Daniel Diaz con il loro passato e mettendoli, come lupacchiotti alla deriva (il parallelo coi lupi è una delle poche cose che continuano a non convincere del tutto, in verità), in mezzo alla strada e alla continua ricerca di loro stessi. Wastelands dà un seguito inaspettato a questo concept, rinunciando per un attimo alla narrativa “on the road” e concentrandosi quasi nella sua interezza sul gruppo di ragazzi di strada del quale Finn e Cassidy, i due ragazzi vagabondi già conosciuti in precedenza, fanno parte. Come e anche più dell’episodio precedente, Wastelands convince appieno nel modo in cui è strutturata la narrazione, anche perché accantona momentaneamente le rocambolesche fughe e la corsa verso il Messico dei due fratelli Diaz, concedendosi un perentorio rallentamento nel ritmo per concentrarsi quasi interamente sull’introspezione psicologica dei personaggi, principali e secondari. Proprio in questo aspetto, finalmente, si rivede l’anima più ancestrale che ha sempre contraddistinto Life is Strange, capace di parlare al cuore dei giocatori più che alla loro testa e di mettere al centro di tutto l’incontrollabile empatia che si prova al solo assistere a certi momenti, ascoltando alcune parole particolarmente significative o, più banalmente, godendosi una canzone alla radio. Si finisce, così, per affezionarsi non solo ai due protagonisti, ma all’intero cast, qui diventato quasi corale, apprezzando questo o quel personaggio per un semplice aneddoto raccontato attorno al fuoco e per la loro naturale diversità, dettata dall’essere ragazzi e ragazze diversi con vissuti differenti, accomunati da un unico, temporaneo destino. Se qualche stereotipo rimane comunque presente, è pur vero che da questo punto di vista sono stati fatti enormi passi in avanti rispetto a un passato in cui Dontnod ricorreva spesso e volentieri a questo espediente per etichettare questo o quel compagno della Blackwell Academy.

Wastelands riesce a colpire sotto il profilo visivo, e non solo quello.

Coraggio (videoludico) da vendere, finalmente

Ed è anche il modo in cui certi temi vengono trattati a colpire, profondamente. Wastelands, ad esempio, parla di sesso e sessualità con grandissima maturità, osando, per la prima volta nella serie, mostrare scene di nudo e sfatando – finalmente! – un tabù che fino ad oggi era stato una vera e propria croce per Life is Strange. E’ vero, in Before the Storm Chloe e Rachel potevano baciarsi, e come dimenticare il rapporto quasi “saffico” che Maxine e la stessa Chloe avevano nel primo capitolo. Eppure, siamo onesti: in quei casi si aveva sempre fortissima la sensazione che gli sviluppatori stessi si fossero autoimposti un limite da non superare, ed entro il quale erano comunque riusciti a giostrarsi piuttosto bene; ecco, quel limite, riguardo certi argomenti “da non trattare perché si” è stato completamente spazzato via. E non solo per quanto concerne la sfera erotica, anzi, è un discorso che può allargarsi ed ampliarsi pressoché a qualsiasi cosa, ed arriva a ridefinire il “tono” generale del racconto: guardandosi indietro, sembra quasi che Life is Strange 2 stia crescendo e maturando insieme ai suoi due giovani eroi e che, sopratutto, abbia capito che non c’è più bisogno di imboccare i giocatori col cucchiaino per quanto riguarda certe tematiche. La parola d’ordine, giunti al giro di boa, è “a ruota libera”: oltre ad averla smossa da un sostanziale immobilismo, del quale era caduta preda soprattutto nell’episodio iniziale, Dontnod ha finalmente tolto ogni freno inibitore alla sua storia. Quest’ultima è dunque liberissima di galoppare e di mostrarsi ai giocatori come più preferisce e non più come “si conviene” a un videogioco di questo tipo, lasciandoci finalmente padroni di quel che giochiamo e di apprezzare ciò che vediamo per come ci viene proposto, senza filtri. L’ingrediente segreto dei Life is Strange, infatti, è sempre stata la loro capacità di rimuovere ogni filtro o renderlo quasi invisibile rispetto al contesto generale, almeno finché non sono subentrati i primi due episodi della seconda stagione, i cui tentennamenti, per fortuna, sono ormai soltanto un lontano ricordo.

La vita in campeggio non è poi così male…

Just looking out on the day of another dream

Funzionalmente, invece, Life is Strange 2 è sempre andato di pari passo con la narrazione, e qui le cose non sono certo cambiate. Se avete già giocato Captain Spirit la scorsa estate e i precedenti Roads e Rules, vi sarete già fatti una vaga idea di com’è questo Wastelands, che, malgrado la straga già tracciata, non manca di riservare qualche sorpresa anche da questo punto di vista. L’intera mini avventura, completabile nell’arco di circa tre ore, si snoda – escluso il prologo – attorno al campeggio del gruppo di ragazzi, senza muoversi quasi per niente da lì e al massimo concedendosi qualche breve excursus nel lago adiacente e in un altro paio di zone. Se da un lato questa scelta registica potrebbe suggerire una certa pigrizia nell’esplorare nuove location e vivere nuove avventure, dall’altro si rivela assolutamente vincente: in Wastelands, in effetti, l’ambientazione e determinate interazioni contestuali legate all’esplorazione passano del tutto in secondo piano rispetto ai personaggi, che diventano, finalmente, le vere star. E che, piuttosto che favolette costruite ad arte per incastrarsi in un universo immaginario, raccontano di temi veri, propri di tutti i giorni e davvero appassionanti. Alcuni personaggi secondari sono così ben scritti da rubare quasi la scena, e non è difficile empatizzare con le loro storie di disagio ed emarginazione, spesso legate vicendevolmente all’interno del gruppo. Al centro di tutto, però, ci sono sempre Sean e Daniel, il cui rapporto fraterno si fa sempre più complicato a causa dell’età (17 e 9 anni) e di alcune incomprensioni, che si trascinano per tutto l’episodio e in parte prendono le briglie della narrativa stessa fino all’inevitabile cliffhanger finale, che, con ogni probabilità, vi lascerà con un groppo in gola a cercare di metabolizzare quanto appena accaduto. E lì, probabilmente, comincerete ad andare a ritroso e a cercare il filo conduttore di questa seconda stagione, finalmente sbocciata. Qualche considerazione, infine, bisogna riservarla anche per il comparto audiovisivo, che a sua volta offre altre piacevoli sorprese. Al di là degli splendidi scorci offerti dalle matite degli artisti francesi, che continuano a migliorare mese dopo mese, è impossibile non menzionare le splendide musiche che accompagnano questa terza parte della storia. Del resto (e mi scuserete lo spoiler sonoro, ma dovevo) quando le vicende si aprono con le note di On Melancholy Hill dei Gorillaz nelle cuffie di Sean, non si può che giocare i successivi cinque-dieci minuti (almeno) con un sorriso ebete stampato in volto. Postilla a margine: se non apprezzate certi generi musicali vi conviene prendere un po’ con le pinze quel che vi ho appena detto, perché riconosco che dal punto di vista sonoro, quando si tirano in ballo certi artisti, difetto un po’ di imparzialità.

Life is Strange 2: Wastelands è un episodio che fa un deciso balzo rispetto ai due predecessori, e rappresenta proprio quel che serviva per non far rimpiangere il passato. Dontnod si riscopre improvvisamente capace di narrare una storia attenta, ritmata alla perfezione, ricca di discorsi e dialoghi introspettivi ed emotivi che toccano temi sociali, spesso difficili e impegnativi, ma ben trattati. Ed è proprio da qui che la narrativa di Wasteland si decide a prendere il volo, dopo il relativo mutismo di Roads e l’eccessiva lentezza (comunque meno agrodolce) di Rules. Nessuno si sarebbe aspettato una svolta del genere, con un micro universo che improvvisamente è riuscito a mettere in mostra le sue scintille creative più potenti, anche grazie alla totale libertà concessa agli sceneggiatori. Ci auguriamo soltanto che la magia non finisca troppo presto.

Nato nello scorso millennio con una console fra le mani e rimasto per molti anni confinato nel mondo distopico della Los Angeles del 2019, ha infine deciso di uscirne per divulgare al mondo intero le sue più grandi passioni: il videogioco in tutte le sue forme, il cinema (quello vero) e Dylan Dog.

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