Brutal Deluxe: la leggenda dei Bitmap Brothers

Brutal Deluxe | Per molti, i Bitmap Brothers sono semplicemente quelli di Speedball 2, ma sarebbe a dir poco riduttivo ricordarli soltanto per via del successo registrato da questa leggendaria hit. Più che per l’evidente valore di opere complementari come Gods, Xenon 2 e The Chaos Engine, il team britannico si ĆØ tuttavia guadagnato il suo posto nella storia del gaming in virtù della rispettiva estetica: un’impronta inconfondibile, potente, che avrebbe reso i suoi prodotti immediatamente riconoscibili anche ad un occhio poco attento.

The Hand that Feeds: tanto essenziale quanto iconico il logo dei Bitmap Brothers ĆØ stato sempre sinonimo di assoluta qualitĆ .

Nel corso degli anni, decine di illustri esponenti della stampa specializzata hanno provato a definire lo stile delle produzioni targate BB con figure retoriche alquanto suggestive: tra le più efficaci, l’iperbolico sospetto che i ragazzi usassero il metallo al posto dei pixel resta in ogni caso la più calzante.

Brutal Deluxe: fratelli d’arme

Al contrario di quanto si potrebbe supporre, i Bitmap Brothers non nacquero dal progetto di veri consanguinei: fu difatti l’istituzione della compagnia a trasformare i suoi fondatori in ideali fratelli d’arme.

Il ā€œcore teamā€ dei Bitmap Brothers: da sinistra, Steve Kelly, Eric Matthews e Mike Montgomery.

Riunitisi in societĆ  nel 1987, Mike Montgomery, Steve Kelly ed Eric Matthews scelsero come base operativa il distretto di Wapping, area industriale nell’est-side londinese, e da qui avviarono una macchina produttiva assai prolifica, il cui scopo ultimo consisteva nel ridefinire i canoni estetici e strutturali caratterizzanti degli action game destinati ai Personal Computer. BenchĆ© sfrontate, dette ambizioni trovarono un certo fondamento giĆ  in occasione del debutto di Xenon (1988). Approcciando con disinvoltura un format di lunga tradizione quale quello dei top down vertical shooter, l’opera prima del team avrebbe difatti incontrato il favore pressochĆ© unanime del pubblico, tanto da ottenere un pronto sequel.

Diversamente dal suo predecessore, che presentava una solida struttura on-ground, Xenon 2: Megablast spostava il setting nello spazio profondo, andando cosƬ a sfidare i più blasonati vertical space shooter dell’epoca.

Anticipato di qualche mese dal lancio del promettente Speedball (1988), Xenon 2: Megablast (1989) si distinse come uno dei migliori titoli del suo genere, favorendo ai propri creatori la fama normalmente riservata ai più navigati esponenti del settore.

Brutal Deluxe: Ice Cream per tutti

Il clamore generatosi intorno al succitato trittico di hit rischiò paradossalmente di ostacolare la vertiginosa ascesa del brand. Caricato da aspettative eccessive, il titolo con cui i Bitmap Brothers salutarono l’avvento degli anni ’90 non riuscƬ difatti ad ottenere il riscontro sperato.

Arcade-adventure dalla spiccata profonditĆ  strutturale e le ardite isometrie prospettiche, Cadaver ci vedeva impersonare l’indomito Karadoc: un ladro determinato a saccheggiare i meandri di un castello zeppo di letali trabocchetti.

Ben lungi rivelarsi carente sotto gli aspetti tecnico o concettuale, Cadaver (1990) avrebbe pagato lo scotto di un format più riflessivo del previsto, in cui ritmi più esplorativi e le insolite isometrie prospettiche andavano sostituendosi alla scoppiettante immediatezza che aveva contraddistinto i suoi predecessori.Ā Prima che ingenerose critiche finissero per gettare un’ombra sul futuro del brand, i ā€œfratelliā€ avrebbero in ogni caso tirato fuori dal cilindro l’immenso Speedball 2: Brutal Deluxe, che si delineò come la più completa e spettacolare rappresentazione degli sport futuristici mai promossa in ambito videoludico.

Ice Cream! Ice Cream! Una partita a Speedball 2 poteva facilmente trasformarsi in uno spettacolo mozzafiato: a condire il tutto una serie di efficaci pop-up screenshot volte ad enfatizzare segnature ed eventuali infortuni. Semplicemente da applauso, l’impianto sonoro di supporto, con tanto di folla urlante e omino e gelataio strillone annesso!

Evidentemente ispirato al celebre film Rollerball (1975), il gioco proiettava i giocatori alla volta prossimo futuro in cui l’attenzione mediatica del monto intero era rivolta al nuovo omonimo sport: una violenta miscela di football americano, calcio e pallamano portata in scena da super-atleti disposti a tutto pur di ottenere la vittoria.

In qualitĆ  di coach dei Brutal Deluxe, un team emergente in cerca di gloria nella Speedball League, l’utente avrebbe dovuto gestire con cura gestendo la rosa degli atleti a sua disposizione, intervenendo anche sul mercato per individuare nuovi talenti.

Oltre ad favorire un deciso upgrade del comparto grafico in forza alĀ  predecessore, Speedball 2: Brutal Deluxe ne avrebbe sensibilmente arricchito il concept, abbinandoĀ  innesti di natura manageriale ad un gameplay tanto immediato quanto profondo.

Brutal Deluxe: Il martello degli dei

La straordinaria risonanza mediatica ottenuta da Speedball 2 si rivelò un propulsore determinate per le fortune dei Bitmap Brothers: laddove un team normale avrebbe magari ceduto alla tentazione di specializzarsi nel genere e abbandonarsi alla produzione di eventuali sequel, il team britannico scelse tuttavia di mettersi alla prova, cimentandosi col seducente mondo dei platform.

Pur conservando il granitico stile grafico di casa, Magic Pockets si proponeva come un platform pressochƩ tradizionale, con tanto di look super deformed annesso. Ad impreziosire il gameplay la possibilitƠ di utilizzare veicoli e power up del tutto particolari.

Da queste premesse emersero due prodotti di forte rilevanza come Magic Pockets e Gods, i quali vennero entrambi distribuiti nel 1991. Se il primo di essi si limitò a filtrare i classici dogmi di categoria attraverso il tipico stile grafico che aveva contraddistinto i suoi predecessori, Gods avrebbe ampliato sensibilmente la formula di base incamerando elementi concettuali cari alle più riuscite declinazioni della sfera action.

Gods disponeva di una IA molto evoluta per i suoi tempi: quest’ultima sarebbe stata difatti in grado di assimilare lo stile di gioco dell’utente, cosƬ da rendere l’esperienza di gioco meno prevedibile e più avvincente.

Ne derivò un titolo di incredibile spessore che, traendo ulteriore impatto dall’efficace setting mitologico e la straordinaria realizzazione tecnica, riuscƬ ad imporsi come uno dei protagonisti della rispettiva stagione videoludica.

Brutal Deluxe: In nome del Caos

Archiviato un 1991 da record, i vertici di una compagnia divenuta ormai un punto di riferimento non soltanto per l’universo Amiga, ma anche per il ramo delle console a 16Bit, scelsero di dedicarsi al consolidamento del proprio brand, varando una propria etichetta di distribuzione: la Renegade Software.

Il logo della Renegade Software in tutta la sua trucida essenza.

Attraverso di essa, il team avrebbe innanzitutto ridistribuito i propri classici, salvo poi occuparsi della produzione di videogame sviluppati da terzi, tra cui il leggendario episodio d’esordio di Sensible Soccer (1992, Sensible Software), il grazioso platform Fire and Ice (1992, Graftgold) ed il terzo, controverso capitolo di Turrican (1993, Factor 5). In parallelo, nelle fucine dell’azienda prendeva corpo un nuovo, ambiziosissimo progetto in-house destinato stavolta a piazzarne il vincente vessillo anche nel ramo dei top-down shooter di matrice bellica.

The Chaos Engine viene indicato da molti fan dei Bitmap Brothers come la rispettiva opera magna.

Rilasciato sul mercato nel 1993, The Chaos Engine si delineò per molti versi come l’opera più matura tra quelle realizzate dai Bitmap Brothers: ispirato al romanzo cyberpunk La Macchina della RealtĆ  (1990, The Difference Engine – William Gibson / Bruce Sterling) il gioco approcciava il genere reso celebre da Commando (Capcom, 1985) con nuova energia, imprimendo efficaci svolte tattiche al format di base e arricchendo l’esperienza globale mediante l’innesto di una solida modalitĆ  co-op.

Conosciuto negli States col nome di Soldiers of Fortune, The Chaos Engine venne distribuito su Amiga salvo poi approdare anche su SNES e Mega Drive. Nel 1994 ne fu realizzata anche una versione digitale destinata allo sfortunato Amiga CD 32.

Forte di un cast di pittoreschi anti-eroi e della consueta sontuositĆ  del comparto grafico, The Chaos Engine venne accolto con grande entusiasmo da stampa e pubblico, guadagnandosi il diritto ad un degno sequel. Peccato che quest’ultimo avrebbe visto la luce solo tre anni dopo, a seguito di una lunga serie di vicissitudini tecniche.

Brutal Deluxe: The Z Factor

I tre anni successivi al lancio di The Chaos Engine furono oltremodo complessi e non solo per i Bitmap Brothers: il tramonto dei sistemi a 16Bit, il definitivo exploit del PC quale piattaforma da gioco e l’avvento dei sistemi a supporto digitale avevano difatti alterato sensibilmente gli equilibri del mondo videoludico. Durante questo periodo, i vertici della compagnia preferirono dunque concentrarsi sul riassetto della stessa e, più nel dettaglio, sull’acquisizione degli strumenti tecnici per assecondare il cambiamento.

Strategico in tempo reale dalla marcata inclinazione gestionale, Z vedeva due schieramenti composti esclusivamente da spavaldi robot contendersi territorio e risorse annesse in un concitato testa a testa.

Detto processo si ripercosse sulla gestazione di The Chaos Engine 2 che vide la luce solo nel 1996 sui circuiti di un Amiga ormai ai margini dell’industria, ma favorƬ al contempo la produzione di Z, meglio noto come l’ultimo grande prodotto made in Bimap Brothers. Inizialmente distribuito in solo formato PC, e quindi convertito anche nei formati PSX e Sega Saturn, questo brillante RTS dal concept molto elaborato e il character design irresistibile, ci mostrò il lato più riflessivo dei ragazzi al soldo di Montgomery, andando a chiudere il cerchio intorno ad un team evidentemente in grado di cimentarsi con qualsiasi genere senza risultare mai in difficoltĆ .

Brutal Deluxe: La caduta

Come accaduto per molte alte altre coding star della 16Bit Era il declino produttivo dei Bitmap Brothers iniziò a materializzarsi in concomitanza col tramonto di quest’ultima: a fronte degli sforzi profusi per restare al passo coi tempi, essi non riuscirono probabilmente mai ad assorbire il radicale mutamento del contesto videoludico dell’epoca, nĆ© tanto meno a rottamare l’arte del pixel in virtù dell’ingegneria poligonale.

La fine dei Bitmap Brothers segnò per molti versi l’epilogo di un’intera epoca di meraviglie.: di fatto la Pixel Era non sarebbe stata mai più la stessa.

Archiviato il progetto Z, Montgomery e soci avrebbero pertanto rinunciato al varo di nuove IP per concentrarsi su iniziative prettamente antologiche dedicate ai pezzi più forti del proprio catalogo. Questa politica commerciale finƬ purtroppo per diluire rapidamente l’interesse del pubblico nei confronti del brand, relegandolo ai margini dell’industria. Ad eccezione di alcuni tentativi di riconversione aziendale volti a collocare la societĆ  in rami più tecnici, quali la produzione di asset, i Bitmap Brothers issarono infine bandiera bianca nel 2003, salvo disgregarsi in svariate realtĆ  del settore informatico.

Nato e cresciuto sulle pagine di Game Republic dove ha diretto per generazioni la sezione Time Warp, Gianpaolo Iglio ama il retrogaming e lo considera una seconda vita. O una seconda amante. Ha scritto un libro sulle avventure Sierra e insegna Game Journalism e Storia del Videogame alla VIGAMUS Academy con Metalmark.