Death Stranding è il geniale e diabolico giocattolo di Hideo Kojima

Death Stranding 2

Chissà come se la starà ridacchiando quel mattacchione di Kojima, a migliaia di chilometri da noi e al sicuro negli uffici dello studio che ha fondato tre anni e mezzo fa. Anche con il quinto trailer di Death Stranding (il QUINTO!) il buon Hideo è riuscito a fregarci un’altra, stramaledettissima volta, dapprima costringendoci a rimanere, come in preda a una nevrosi collettiva, sintonizzati sulle frequenze del canale Twitch di PlayStation per quasi ventiquattr’ore, e poi mostrandoci ancora una volta esattamente quel che voleva farci guardare, lanciando il sasso e ritirando all’ultimo la mano con una sonora e irridente pernacchia.

Visto e considerato il suo passato e l’incredibile tela che è riuscito a tessere per tenere a bada l’ultima follia a metà fra il lynchiano, il manga horror e i miti antichi partorita dalla sua mente visionaria, in modo da far comprendere il meno possibile del gioco fino al giorno prima dell’uscita, non è difficile considerare Hideo-san come un genio della comunicazione. I mezzi (carta stampata, social network, canali in streaming) a sua disposizione si evolvono, ma la sua capacità di solleticare e giocare con il suo pubblico, in maniera strascicata, cantilenante e al tempo stesso ipnotica, come solo un genio potrebbe fare, è sempre la stessa. Ed è proprio così che si viene a creare la magia dietro i suoi videogiochi, perché una grande opera non è nulla senza un grande autore, e noi, povere vittime della sua enorme macchina mediatica, dobbiamo ringraziare proprio quest’assunto se Death Stranding esiste oggi come lo conosciamo.

Death Stranding: Un autore geniale, un videogioco ancor più geniale

Chi, come il sottoscritto, conosce molto bene vita, morte e miracoli di Hideo-san, non esiterà a considerare Death Stranding come un vero e proprio regalo che il geniale designer giapponese sta facendo ai suoi fan, anche perché in questo videogioco sembra essere contenuto praticamente tutto quanto abbiamo sempre ammirato e odiato, capito e mal sopportato dell’uomo Kojima. Dal primo momento in cui l’ho visto, ho compreso subito che si sarebbe trattato di un’opera fortemente biografica: dentro non ci sono soltanto decenni di conoscenze di cinema e di game design, ma molto più di questo: ci sono posizioni politiche, idee sociali, ambientaliste, temi legati alla guerra e alla pace, c’è il Kojima designer e il ragazzo cresciuto nell’isolata Kawanishi, il geniale comunicatore e il creativo brillante e solitario. Death Stranding è un immenso poutpurri di tutto quel che Kojima vuol comunicare al mondo, del suo vissuto personale e del modo, particolarissimo e sopra le righe, in cui vede i videogiochi.

Lui stesso, non a caso, lo aveva definito un progetto “da tutto o niente”, che, se fosse fallito, avrebbe comportato il suo definitivo ritiro dall’industria. E, proprio perché così speciale, ci ha permesso di capirlo solamente a spizzichi e bocconi, non contento di aver partorito un’opera già di per sé quasi indecifrabile. L’ultimo, lungo trailer, che mostra spezzoni di gioco montati ad arte e dura oltre otto minuti, non aggiunge più di tanto a un mosaico ancora piuttosto confuso, ma perlomeno elenca finalmente tutti i personaggi principali, introducendo un paio di novità che noi abbiamo accolto con somma gioia: da menzionare, ad esempio, la presenza del regista Nicolas Winding Refn, molto amico – come Guillermo Del Toro, anche lui presente – di Hideo Kojima e autore di capolavori come Drive e la serie TV Viking (la quale, a sua volta, ha sicuramente avuto una qualche influenza su Death Stranding). Su tutti, però, spicca una Margaret Qualley con una carriera in rampa di lancio, appena uscita dal set di C’era una volta a Hollywood e che sembra un’unione non propriamente convenzionale fra Stefanie Joosten (la Quiet di Metal Gear Solid V) e Nico di Devil May Cry 5. Il suo personaggio è stato reso visivamente in maniera splendida da Yoji Shinkawa ed anche per questo ha riscosso da subito un enorme successo, addirittura arrivando a doppiare gli altri character poster per numero di like sul profilo Instagram di Kojima. E la presentazione del cast non è che l’inizio, uno dei tantissimi, microscopici tasselli inseriti dal buon Koji nel suo trailer (diciamo “suo” perché è proprio lui che li realizza) e di cui potremmo stare qui a parlare per ore.

Con qualche panoramica sul personaggio di Mads Mikkelsen, ma al tempo stesso frenato dal timore di scoperchiare un vaso di Pandora ancora semichiuso, ieri Death Stranding ha cominciato piano piano a concederci l’onore di carpire qualcosa a livello giocoso (perché si, si gioca anche), come la meccanica legata a quel concetto di game over che, secondo Kojima, non dovrebbe esistere nel suo videogioco. Si è visto uno scenario di guerra, definito “gli inferi”, una sorta di aldilà nel quale, apparentemente, combattere per riprendersi ciò che si è perso al momento della morte, ma che, a quanto pare, non dovrebbe essere legato al multiplayer asincrono: quest’ultima è una componente di cui si è tanto discusso e che dovrebbe riprendere ed evolvere alcuni concetti di The Phantom Pain. Morti e personaggi a parte, tutto il resto è ancora lasciato alla libera interpretazione dei giocatori, proprio come nei piani di un disegno comunicativo diabolico e al tempo stesso perfetto. Diversi elementi mostrati nel trailer sono ancora ben lontani dall’essere chiari e cristallini: in che modo il concetto degli “Strand”, delle connessioni, si legherà al gameplay? Come vengono creati i neonati, e chi sono le entità misteriose? Cos’è successo davvero al mondo nel quale si muove Sam? Che ruolo interpretano davvero i personaggi? Ma anche, banalmente, come saranno strutturati narrazione e esplorazione? Tutte domande destinate, per ora, a rimanere volutamente senza risposta: saziare la curiosità degli appassionati non era lo scopo di questo trailer, e se ci pensiamo non è mai stato un onore che Hideo ha concesso facilmente nella sua carriera. Del resto non si può certo pretendere di intuire così facilmente cosa frulli per la testa di un uomo che ha partorito i Metal Gear Solid, una serie che, anche a distanza di anni, vede nascere nuove teorie per spiegare determinati avvenimenti nella sua intricatissima timeline. Per quanto ne sappiamo, nella mente criptologica di Kojima Death Stranding potrebbe benissimo essere Silent Hill Zero, senza che ce lo dica mai esplicitamente.

A soli sei mesi di distanza dall’uscita nei negozi di Death Stranding, insomma, siamo ancora in alto mare. Esaltatissimi per l’ultimo trailer, ma ancora terribilmente confusi. Facendoci annusare il profumo di un nuovo capolavoro, Kojima ci ha attirato ancora una volta nella sua trappola perfetta, pensata per catturare nelle sue spire chiunque tenti di star dietro a ogni informazione e rimettere insieme i pezzi di un puzzle che solo lui, finché non decide di divulgarlo al mondo intero, può conoscere. Il suo stile e la sua poetica, per certi versi, sono assimilabili alla casetta di marzapane di Hansel e Gretel; noi, a questo punto della storia, ci troviamo già chiusi nel forno della vecchia strega, in attesa che sia lei a decidere di farci uscire, il prossimo 8 novembre. Impegnati come siamo nelle nostre analisi e a crogiolarci in un’esaltazione quasi mistica, non ci siamo mai neanche accorti di essere sempre stati, in questi anni, il pupazzo preferito di un geniale giocattolaio come Hideo Kojima.

Nato nello scorso millennio con una console fra le mani e rimasto per molti anni confinato nel mondo distopico della Los Angeles del 2019, ha infine deciso di uscirne per divulgare al mondo intero le sue più grandi passioni: il videogioco in tutte le sue forme, il cinema (quello vero) e Dylan Dog.