Final Fantasy VII è uno di quei videogiochi che, nel bene e nel male, hanno fatto la storia degli ultimi vent’anni di game industry. Sembra incredibile che dal suo primo arrivo nei negozi siano trascorse oltre due decadi, ma il tempo, tiranno, passa in fretta. Talmente in fretta che anch’io, troppo giovane per giocarlo all’epoca, fui costretto a recuperarlo più avanti, per poi rimpiangere, ancor più in là nel tempo, di non aver mai potuto veicolare tutte quelle emozioni attraverso una delle cose che so fare meglio, ossia la scrittura. Come diceva un poco onorevole colonnello nazista in un film di Tarantino, però, “nelle pagine della storia, di tanto in tanto, il fato si ferma a guardarti e ti tende la mano”. E quindi, in una sorta di mistica esaltazione mista a ragionevole prudenza (visti i precedenti), eccomi qui vent’anni dopo a parlarvi di Final Fantasy VII Remake, che, dopo le conferme di Nomura, si è lasciato giocare sullo showfloor dell’E3 in una prova a porte chiuse, della cui esistenza noi non sapevamo nulla fino a pochi minuti prima. Vi lascio immaginare la reazione del sottoscritto nel momento in cui ho scorto da lontano il blindatissimo e inequivocabile booth, costruito a mo’ di capannone industriale; al momento di essere accompagnato dentro da un addetto di Square Enix, poi, l’emozione era talmente palpabile da poter essere raccolta con un cucchiaino.
Final Fantasy VII Remake avrà un focus particolare sul combat system
Prima di poter mettere le mani sul gioco per un test diretto, però, ho assistito con diversi altri colleghi ad una breve presentazione, condotta da una Jessie che non si è fatta problemi a rompere la quarta parete per spiegare le basi del combat system, in una sorta di “briefing” di quel che sarebbe avvenuto dopo. Fin dal primo momento è stato facile intuire la direzione che Tetsuya Nomura (ex character designer, ora director) e Yoshinori Kitase (ex director, ora diventato producer) hanno voluto imprimere a Final Fantasy VII Remake, virando verso un maggior tatticismo e controllo del campo di battaglia rispetto al modo un po’ più “all’acqua di rose” in cui era stato progettato Final Fantasy XV. Innanzitutto, dall’originale settimo capitolo sono state recuperate le barre dell’ATB e del Limit, che fungono da veri e propri catalizzatori per gestire l’intero sistema di combattimento. La prima può essere riempita attaccando i nemici e consente a Cloud e compagni di utilizzare le loro abilità tattiche, fondamentali per ribaltare a proprio favore determinate lotte. La seconda, invece, viene caricata in automatico subendo danni, e può permettere, di tanto in tanto, di scatenare un attacco potentissimo, il cui utilizzo va però ponderato in base al nemico che ci si trova di fronte e conservato per le situazioni di emergenza. Entrambe le barre si accompagnano ai comandi di movimento di base: tutti i personaggi possono muoversi nello scenario durante lo scontro, senza un eccessivo dinamismo o la possibilità di proiettarsi in giro per evadere o attaccare, ma rimanendo sempre ben focalizzati sul nemico di turno. Cloud, ad esempio, ha una combo base – non ci è dato sapere se avanzando se ne sbloccheranno altre – assegnata al tasto quadrato, con cui può attaccare con la spada; può poi bloccare gli attacchi nemici o effettuare una schivata in modo da subire meno danni, possibilità che a quanto pare dovrebbero essere concesse ad ogni personaggio.
Un occhio al futuro, uno al passato
Conclusa la presentazione iniziale con un propiziatorio in bocca al lupo, abbiamo potuto provare con mano Final Fantasy VII Remake in una delle tante postazioni presenti: nello specifico, ci è stato concesso di rivivere la primissima missione del gioco, quella in cui, seguendo le indicazioni di Jessie (da qui l’idea di far condurre a lei le spiegazioni preliminari), Cloud e Barret devono raggiungere il reattore all’interno di una fabbrica della Shinra Electric Power Company e distruggerlo con una bomba, per poi scappare all’impazzata verso l’uscita. Accolti dalle familiari note del Prelude di Nobuo Uematsu e dalla dicitura “design by Tetsuya Nomura e Roberto Ferrari”, che conferma l’importante coinvolgimento dell’artista italiano, abbiamo cominciato a giocare poco dopo la celeberrima scena dell’uscita dal treno, con la possibilità di saggiare quasi subito la bontà di quanto spiegato durante il precedente briefing. Ai comandi di Cloud ci siamo trovati subito a nostro agio: affrontate le prime battaglie in compagnia di Barret, poi, ci siamo immediatamente resi conto della decisa virata verso un’azione dai connotati marcatamente strategici e dai ritmi più compassati. In Final Fantasy VII Remake la gestione del movimento e del posizionamento sul campo, unita all’uso ponderato delle abilità o delle magie (che consumano una o entrambe le barre ATB a disposizione), è fondamentale per non soccombere in breve tempo, nell’ambito di un sistema studiato per essere giocato in maniera tattica e non lanciandosi alla bersagliera anche contro i nemici più coriacei.
Per permettere di raggiungere questo risultato, nel remake è stata implementata una pausa tattica che blocca completamente l’azione ogniqualvolta si preme il tasto X sul DualShock 4 per selezionare un’abilità, castare una magia o utilizzare un oggetto curativo (come una coda di fenice) su sé stessi o su un alleato. La pausa, però, ci è parsa ancora passabile di qualche aggiustamento, specie nella gestione della telecamera e di effetti come i particellari e il motion blur, che in quei frangenti basterebbe ridurre o eliminare in via temporanea in modo da avere una visione più nitida della situazione circostante. La tactical mode è fondamentale non solo per gestire e imparare a padroneggiare le abilità di ogni singolo personaggio, ma anche e soprattutto per entrare in sintonia con l’intero party, passando da Cloud a Barret a seconda delle esigenze e così via; con la pressione di un tasto, è poi possibile ordinare agli altri quali abilità o magie eseguire senza per questo passare a controllarli direttamente. Barret, ad esempio, è il cecchino del gruppo e, in maniera complementare rispetto al biondo eroe, può colpire bersagli ostili – come torrette o simili – che Cloud non è in grado di raggiungere con la sua spada, in un’interessante gioco di combinazioni che giocoforza si estenderà anche agli altri coprotagonisti dell’avventura. I due compagni possono poi aiutarsi vicendevolmente, scegliendo gli attacchi giusti, per riempire la barra del focus di ogni nemico, che consente di staggerarlo e infliggergli così una quantità di danni aumentata per breve tempo: questa meccanica è stata vitale contro il primo boss, il Guard Scorpion, protagonista della seconda parte della nostra prova.
Dopo qualche combattimento volto perlopiù a prendere confidenza con le basi, alternato a blande esplorazioni di un ambiente perlopiù lineare (quasi nulla è cambiato, da questo punto di vista), ci siamo infatti trovati faccia a faccia con l’enorme mostro di metallo, con l’obiettivo di sconfiggerlo per concludere la demo; se però nel titolo originale questa sequenza si risolveva nel blando alternarsi di pochi turni, nel remake si respira ben altra aria. La prima fase è piuttosto lineare, ma una volta tolta una certa quantità di punti vita al nemico lo scontro acquisisce un certo dinamismo: quest’ultimo, in maniera del tutto casuale, può decidere se arrampicarsi sulle pareti, obbligando quindi Barret a eseguire colpi precisi per continuare a danneggiarlo, oppure colpire con il suo devastante attacco laser sparato dalla coda, dal quale è possibile salvarsi solamente trovando riparo dietro coperture improvvisate. Più che un blitz lampo, quella contro il Guard Scorpion è una vera e propria guerra di logoramento: i danni inflitti da ambo le parti (se si esclude il già menzionato tail laser) sono pochi, e per evitare di protrarla per le lunghe è necessario ricorrere alle giuste combinazioni per arrivare a stordire il nemico, oltre che, magari, all’uso accorto del Limit.
Per quanto riguarda invece il profilo estetico e del design dei personaggi, ci è stato paradossalmente più semplice farci un’idea di cosa troveremo grazie agli ultimi trailer, che mettono in mostra un registro stilistico ben più variegato dei venti minuti di prova all’interno dell’enorme fabbrica. Personaggi come Tifa Lockhart e Aerith Gainsborough, del resto, li abbiamo già ampiamente visti, anche ci sarà comunque tempo per esprimersi meglio e in maniera approfondita sul quadro generale: certo è che, ispirandosi fedelmente ai bozzetti dell’epoca, Nomura, Ferrari e il team di artisti di Square Enix hanno fatto centro, riproponendo in chiave moderna lo stesso design che due decadi fa poteva essere solamente abbozzato. Tecnicamente, invece, la build provata ci è sembrata ancora un po’ traballante, con un uso eccessivo di effetti di post-processing per coprire artefatti visivi e un frame rate non sempre stabilissimo: si tratta, però, di magagne comprensibili, specie se si considera che il titolo deve ancora entrare nel vivo della sua fase di rifinitura, che si concluderà solamente fra diversi mesi, in preparazione al lancio che avverrà il 3 marzo 2020.
Pur avendolo provato per poco tempo e in un contesto abbastanza limitato come quello dei primi istanti di gioco, abbiamo già avuto modo di intuire la strada che Final Fantasy VII Remake intende percorrere: non tanto quella dell’innovazione e della ricerca di nuove soluzioni che possano servire da fondamenta per delineare il futuro della serie, quanto la più adatta a riproporre in chiave moderna la stessa esperienza di vent’anni fa. Le incognite restano tante: non sappiamo, ad esempio, in che modo il team deciderà di riproporre sequenze ben più impegnative della prima missione (di per sé piuttosto lineare), come i repentini passaggi sul treno o le camminate sui tetti di Midgar, ed è difficile fare congetture sul modo in cui l’intera esperienza verrà divisa in capitoli, in maniera, pare, simile a Final Fantasy XIII. Il nucleo ludico del gioco, però, c’è e funziona già piuttosto bene, con il giusto mix fra azione e tattica, senza sacrificare eccessivamente il livello di sfida. Quasi nessun dubbio sulla sceneggiatura, una fra le più belle mai scritte, mentre il modo praticamente perfetto in cui è stata adattata la prima boss fight ci fa ben sperare anche per la gestione della regia. Ci auguriamo soltanto che Nomura riesca ad amalgamare questa nuova “interpretazione” di una storia indimenticabile con le sue componenti più tradizionali, affini all’anima da JRPG duro e puro che FF VII aveva all’epoca: nel caso in cui il compito non gli riuscisse del tutto, le pur buone premesse potrebbero crollare come un castello di carte, mandando in frantumi i sogni e le speranze di due, frementi generazioni cresciute a pane e Final Fantasy.