Midsommar Il villaggio dei dannati Recensione

Midsommar Il villaggio dei dannati

Una giovane ragazza traumatizzata da un tragico evento, un fidanzato non così tanto innamorato, un viaggio rigenerante e una comunità apparentemente amorevole in piena festività. Sono questi gli elementi che Ari Aster sceglie per il suo secondo lungometraggio: Midsommar Il villaggio dei dannati. Reduce dal successo di Hereditary – Le radici del male, il giovane regista torna a raccontare della nostra società attraverso la maschera dell’horror. Un genere che sempre più Aster aspira a trattare con originalità, non seguendo le orme di altri ma imprimendone di proprie. Con il nuovo film, interpretato da Florence Pugh, il regista segue i suoi protagonisti all’interno di un villaggio svedese, che in occasione del solstizio d’estate prevede delle usanze uniche nel loro genere. E se tutto appare in un modo, la realtà dei fatti non tarderà a mostrarsi.

Midsommar Il villaggio dei dannati: dove l’orrore si manifesta in pieno giorno

La prima particolarità del film è certamente la costante presenza di scene diurne, con colori accesi, quasi abbaglianti, fotografati da Pawel Pogorzelski. Un’ambientazione insolita per un horror, e che Aster riesce a utilizzare per dar vita a un nuovo tipo di paura. Non più una paura che nasce, cresce e si muove nell’oscurità, ma che invece è già tra noi, nella nostra quotidianità, nei rapporti che stringiamo ogni giorno. L’orrore che Aster ci pone davanti agli occhi non è scaturito da una creatura fantastica, ma si nutre invece di radici ben più concrete. La sua messa in scena è totalmente finalizzata al raggiungimento di questo punto di vista. A una fotografia così risplendente, Aster associa inquadrature simmetriche al limite del maniacale, all’interno delle quali è possibile sin da subito ritrovare, in modo quasi taciuto, gli elementi dell’orrore che esploderà solo più avanti. La sua narrazione lentamente diventa più rarefatta, perché ciò che vuole narrare è già tutto lì nelle immagini e nella loro composizione. A poco servono i dialoghi, che diventano sempre più superflui. La luce così ricorrente diventa così un evidente segnale d’allarme, che indica come spesso le atrocità più perverse della nostra società avvengano in piena luce del sole, quando tutti possono vedere e scegliere di far finta di nulla.

Midsommar Il villaggio dei dannati

Le apparenze ingannano.

Un film costruito come un’esperienza sensoriale

In abbinamento alla sua luminosa estetica, Aster studia il film affinché la rarefazione della narrazione possa essere sostituita da quella che diventa una vera e propria esperienza sensoriale, favorita da colori e suoni. Con i primi che arricchiscono le immagini non solo di significato, ma anche di un loro peso emotivo, il sonoro si dimostra come sempre un prezioso valore aggiunto. È tramite questi che si viene traghettati da un contesto apparentemente piacevole, dove ciò che udiamo rimanda a sensazioni di tranquillità, a un contesto invece sconvolgente, dove le urla e ben altri tipi di suoni danno vita a un vortice di malessere che getta lo spettatore in un sempre più profondo sconforto. Aster costruisce così il suo film attraverso un’estetica che da ogni parte punta a minare le certezze dello spettatore, lasciandolo disarmato nei confronti dell’irreversibile deteriorarsi degli eventi. Si genera così una vera e propria atmosfera malsana, dove si viene messi a confronto con il marcio interiore dell’essere umano. I contrasti continuamente ricorrenti nel film, tra ciò che appare e ciò che è, e tra la luce e l’orrore, contribuiscono a caricare di inquietudine un film che conferma il talento visivo del suo autore. Certo non mancano alcune sbavature, e l’intero terzo atto risulta debole rispetto al resto del film, portando con sé una conclusione che di tale ha ben poco. Ciò tuttavia non mina particolarmente il livello di quanto il regista ha saputo portare avanti con particolare incisività.

Un autore che sembra utilizzare il genere come pretesto per raccontare qualcos’altro, qualcosa di molto più vicino a noi, e proprio per questo terrificante. Ponendosi su di una strada che potrebbe per certi aspetti farlo associare a Jordan Peel, autore con Scappa – Get Out e Noi di brillanti e lucide riflessioni sulla società americana contemporanea, Aster porta avanti il suo percorso con Midsommar Il villaggio dei dannati, spostandosi ora dalla famiglia alla relazione sentimentale, rintracciando in essa gli orrori dai quali, specialmente dopo la visione del film, sarà difficile non guardarsi.

Gianmaria è sempre stato un grande appassionato di cinema e scrittura, tanto da volerne fare la sua professione. Studiando queste materie all'Università decide di fondere le sue passioni nella critica cinematografica e nella scrittura di sceneggiature. Tra i suoi autori preferiti vi sono Spike Jonze, Noah Baumbach e Richard Linklater.

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