Nel corso del QuakeCon Europe di Londra si sono svolti anche diversi panel, i più interessanti fra i quali erano quelli che coinvolgevano gli sviluppatori di MachineGames e Arkane Studios: dopo aver partecipato ad una discussione su Wolfenstein Youngblood, Andreas Öjerfors, Alyssa Hägglund, Dinga Bakaba e Daniel Todd si sono nuovamente seduti insieme per quello che è stato probabilmente il panel più interessante in assoluto, ovvero“MachineGames and Arkane Studios in discussion: What makes a great game?”
Arkane Studios e Machine Games condividono la loro filosofia nello sviluppo di videogiochi
Se nel precedente c’è stato più spazio per MachineGames, questo panel è stato largamente incentrato proprio su Arkane. Il modo di sviluppare videogiochi dello studio transalpino, secondo il game director Dinga Bakaba e il level designer Daniel Todd, non è un processo lineare, ma somiglia a una sorta di contenitore nel quale “gli estremi” a livello di design non vengono considerati, perché impossibili da raggiungere per la maggior parte dei giocatori, e si pensa in particolare a curare la “zona possibile”, ossia quella in cui i personaggi possono muoversi e interagire fattivamente con l’ambiente. Ogni volta che i giocatori decidono di uscire da questa “comfort zone” è come se rompessero il design dei giochi, generando meccaniche nuove: in parte, secondo Bakaba, il segreto del loro successo sta anche qui.
Ogni volta che il team crea qualcosa di nuovo, si impegna a pensare ad esperienze diverse dalle precedenti: così è stato per Dishonored, il cui concept è cambiato parecchio negli anni. Inizialmente doveva essere un videogioco sui ninja, che nulla aveva a che fare con l’età vittoriana che conosciamo nel prodotto finale, un titolo il cui marchio di fabbrica è il cosiddetto “fast-stealth”, che all’epoca ha rivoluzionato il modo di intendere esperienze simili, rendendole più action e meno ragionate.
Todd ha poi aggiunto che, ogni volta che Arkane realizza un nuovo videogioco, lui e gli altri level designer si mettono al lavoro su nuovi prototipi ogni settimana, migliorando e rifinendo ogni cosa fatta in precedenza e cercando, con ogni build del gioco, di superare le aspettative precedenti e arrivare pian piano alla versione finale, anche senza avere quest’ultima in testa fin dalle prime fasi. In linea di massima, quel che fa Arkane a livello di design è trovare un punto d’incontro fra quel che loro vogliono realizzare e quel che il giocatore, utente finale, dovrà poi fare all’interno del loro videogioco. MachineGames, invece, ha un approccio leggermente differente, e spesso tende a legare di più i singoli livelli alla storia. Il processo di creazione, in questo caso, vede diverse figure lavorare a strettissimo contatto le une con le altre: i concept artist, gli sceneggiatori, i level designer e così via. L’importante, in particolare con Wolfenstein, è che l’insieme non diventi “troppo surreale” per via degli elementi inseriti; al contrario, bisogna mantenere sempre un equilibrio fra tutto quel che si vorrebbe includere e quel che invece è necessario tagliare fuori.
Dalla Francia alla Svezia, due software house complementari e ugualmente meticolose
I componenti dei due studi, aiutati non poco dalla loro quasi complementarità, hanno poi parlato a vicenda dei loro pregi e di quel che “ruberebbero” agli altri: per Öjerfors e la Hägglund, Arkane è maestra nel character e nel level design, oltre che nella loro abilità nel risolvere brillantemente ogni problema durante lo sviluppo. Al contrario, secondo Todd e Bakaba, MachineGames ha sviluppato tecnologie migliori (soprattutto legate alle animazioni) e i suoi giochi hanno sempre un gunplay fenomenale.
I quattro hanno poi parlato delle loro speranze e attese per il futuro dei videogiochi: secondo la Hägglund, gli sviluppatori indipendenti non dovranno mai smettere di fare quel che fanno, perché sono loro il vero motore creativo dell’industria e possono ispirare anche gli studi più grandi con le loro idee. Per Öjerfors, sarà importante per i team di sviluppo capire a cosa vorranno giocare le nuove generazioni: nei prossimi anni, tutti dovranno confrontarsi con schiere di “cresciuti con Minecraft”, che potrebbero avere un modo di pensare completamente opposto agli “ex-giovani” degli anni ’80 e ’90. Secondo Bakaba, l’importante è innanzitutto che ogni creativo sappia trovare una propria identità: il pubblico giusto, poi, verrà da sé.
Infine, in relazione a “cosa tenere e cosa tagliare” nei loro videogiochi, per Machine Games il modo migliore di scoprire cosa funziona e cosa no è quello di testare continuamente ogni cosa: lo studio, in Svezia, ha una intera stanza dedicata al provare le armi, come sparano e come suonano. I ragazzi di Arkane, invece, partono con un’idea in mente che viene sviluppata, anche in maniera non lineare. Bakaba ha tranquillamente ammesso che lui e il team “sbagliano” più volte di quante riescano a far andare tutto per il verso giusto: quando succede, secondo lui, è meglio avere il coraggio di cambiare piuttosto che scendere a pesanti compromessi per mantenere inalterata la propria visione.
Todd ha poi aggiunto che il processo creativo, per gli sviluppatori, non ha un vero e proprio inizio e fine, anche perché spesso si può anche riuscire a “far funzionare” qualcosa, ma non si avrà mai la sensazione di aver fatto tutto in maniera perfetta. Per questo esistono gli aggiornamenti post-lancio, che permettono di correggere elementi talvolta anche importanti: per esempio il New Game Plus in Dishonored 2, elemento cruciale per come è strutturato il gioco, è stato aggiunto soltanto in seguito, malgrado si sia provato fino all’ultimo a inserirlo al lancio.