Fast and Furious Hobbs e Shaw Recensione

Fast and Furious Hobbs e Shaw

Fast and Furious Hobbs e Shaw Recensione | Avrà forse spiazzato un po’ la scelta di Universal di dedicare un intero spin-off agli acerrimi rivali Luke Hobbs e Deckard Shaw. Ma, tanto per dirne una, lo spiazzamento porta sempre con sé una buona dose di hype, e l’azzardo iniziale parrebbe quasi essere un all-in ben riuscito.

Fast and Furious Hobbs e Shaw

L’incontro tra Hobbs e Shaw

Fast and Furious Hobbs e Shaw: poli opposti si attraggono

Vista la natura dei due personaggi, l’excursus iniziale concepito da David Litch diventa di fondamentale importanza per immergersi nella natura di questo Fast and FuriousSplit screen a rimarcare la genetica diversità tra i due, che sembrano talmente antitetici da non poter mimimanente pensare ad una ipotetica collaborazione per salvare il mondo: a sinistra dello schermo un Luke Hobbs dall’orgoglio samoano tatuato sul petto, che mangia 12 uova a colazione e nei locali beve due shortini insieme perché uno sarebbe troppo poco; dall’altra un Deckard Shaw tutto self control ed english way. Sullo sfondo una Londra quanto mai frenetica,  i cui grattacieli della City diventano ben presto il baricentro su cui convergono una serie di forze determinate, rispettivamente, a distruggere il mondo o, come ovvio, a salvarlo.
Ed indovinate un po’ chi dovrà vegliare sulle sorti del globo? Esatto, la coppia più diversa ed eccentrica delle ultime saghe cinematografiche.

Fast and Furious Hobbs e Shaw

Una scena del film

Un film indipendente dal resto della saga

Verrebbe quasi un po’ di nostalgia se decidessimo di rievocare i primi titoli di Fast and Furious, quelli con Vin Diesel e Paul Walker intenti a correre su macchine cromate, dagli alettoni esagerati e le bombole del NOS pronte a far esplodere la lancetta del tachimetro. Il primo dei film veloci e furioisi usciva nel 2001. Praticamente un’era fa. E come per tutte le saghe uscite a distanza di molti anni, anche per questa uno dei fatti più interessanti resta quello della mutazione dell’immaginario filmico rispetto alle contingenze del reale. Così, una serie di lungometraggi nata per celebrare i motori e  l’adrenalina delle corse illegali (pratica esportata persino nel rigorosissimo Giappone con Tokyo Drift), negli anni è diventata qualcosa di diverso, lasciando addirittura in secondo piano la sua anima originale. Così, a partire da Solo parti originali (2009), l’amore per le corse iniziava ad essere contaminato da un’anima ancor più spaccona, che faceva dei film successivi un incontro tra i canonici film sulle corse ed i picchiaduro sulla scia di Bruce Lee. A distanza di un decennio possiamo allora dire che, con Hobbs & Shaw, si è deciso di cavalcare con definitiva insistenza questo secondo filone interpretativo, relegando le automobili a mero mezzo di trasporto, ad oggetto da collezione nella cantina di Shaw (il produttore del film è pur sempre Dwayne Johnson).
La sceneggiatura di Chris Morgan e Drew Pearce (quest’ultimo in questi giorni sarà nelle sale anche con l’esordio alla regia Hotel Artemis) riesce però a ben nascondere questa definitiva scelta interpretativa, sciorinando una storia che si svolge in ben tre set differenti (Londra, la Russia e l’isola di Samoa) e che fa della bulimia scenografica il suo tratto più avvincente.

Dunque questo discussissimo spin-off sembra tener bene e si porta a casa il risultato nonostante qualche clamoroso scivolone. La parte “russa”, nella seconda metà del film, non tiene il livello generale del lavoro. Forse per colpa di un villain poco e mal raccontato, che non riesce mai ad impensierire davvero la coppia di protagonisti. Nonostante questo però, Fast and Furious – Hobbs & Shaw convince e – soprattutto – diverte. Non era semplice. E forse avranno ragione quelli che ritengono questo spin off una deriva estranea rispetto agli altri film. E magar avranno pure ragione, perché questo lavoro di David Leitch sa vivere autonomamente di vita propria. Ma va benissimo così! In attesa dei prossimi capitoli

Gianluca la passione per il cinema la scopre a 4 anni, quando decide che il suo supereroe nella vita sarà sempre e solo Fantozzi. 
Poi però di quella passione sembra dimenticarla fin quando, un giorno, decide di vedere uno dietro l’altro La Dolce Vita di Fellini, Accattone di Pasolini e La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino. Da quel momento non c’è stato verso di farlo smettere di scrivere e parlare di cinema, in radio e su portali online e cartacei. 
Vive a Roma perché più che una città gli sembra un immenso set su cui sono stati girati chilometri e chilometri di pellicola. 
Odia le stampanti.