Con una lunga esperienza alle spalle passata anche per alcune collaborazioni con produzioni tripla A, il game designer Richard Rouse III è ritornato alle sue origini indie sviluppando con Paranoid Productions The Church in the Darkness, titolo action con il quale ci si addentra in una missione a metà strada tra il salvataggio e l’investigazione. Il gioco è pubblicato da Fellow Traveler il 2 agosto 2019 su PlayStation 4, Xbox One, PC via Steam e Nintendo Switch. La versione che ho provato per questa recensione è quella per la console Sony. Tra fanatismo religioso, azioni furtive e tanti finali possibili, le potenzialità per una interessante produzione indipendente ci sono tutte.
The Church in the Darkness: Alla ricerca del parente addotto
In un Sud America degli anni settanta fatto di folta foresta amazzonica un gruppo di fanatici religiosi cerca di costruire lì la propria città. I due capi di questa setta religiosa hanno uno stuolo di seguaci, tra i quali c’è anche il nipote del nostro personaggio che avremo il compito iniziale di riportare a casa. Questo incipit si tramuta, dopo un tutorial lampo, in un’avventura che può prendere pieghe molto diverse, ma sorrette da un unico impianto narrativo fatto di pochi ma efficaci dialoghi e documenti da scovare e leggere per comprendere i complessi segreti che si nascondono in questa comunità religiosa. La setta nasconde dietro la fede armi, violenza e alcuni oscuri segreti con i quali faremo i conti ben presto.
L’uomo e le sue deviazioni mentali infiammate dal fervore estremista sono il cardine su cui si muovono i due capi di questa congrega, due figure complesse che offriranno alcuni interessanti spunti di riflessione sul senso distorto sulla decadenza dall’umanità. L’oscurità della narrativa di The Church in the Darkness non è soltanto una questione di sangue e crudeltà ma anche un senso di oppressione e prigionia di un’ambientazione costrittiva come la foresta: i grovigli di rami e i muri di vegetazione paiono essere una metafora degli ostacoli della vita incastrati in una civiltà che sembra ritornata ai suoi primordi. Purtroppo il titolo di Paranoid Productions non riesce a crescere in intensità narrativa e offre solo sprazzi di intensità intermittenti.
La giungla di opportunità
Complice anche la facilità con cui si muore e una visuale a volo d’uccello molto panoramica, ci si perde a tratti nella giungla tanto quanto nelle possibilità con cui divincolarsi attraverso la comunità, le sue strutture e le sentinelle che la proteggeranno. Si può agire in modalità stealth, cercando di evitare il più possibile il contatto ostile, oppure incrociare ad armi spianate ogni ostacolo che si trova davanti.
Oltre alle armi, comunque limitatissime sia nella differenziazione sia nel numero di munizioni, ci saranno anche altri oggetti da trovare e raccogliere per disattivare allarmi o curare eventuali ferite. L’inventario e la sua gestione è inevitabilmente indispensabile per perpetrare la propria idea di prosecuzione e raggiungere partita dopo partita tutti i numerosi finali disponibili. La brevità dell’avventura è infatti compensata dalla possibilità di rigiocarla più e più volte per riuscire a completare tutti gli achievement e capire a quali conseguenze porteranno via via le varie scelte fatte. The Church in the Darkness è un titolo espressamente action che ricorda vagamente per visuale e utilizzo delle armi Hotline Miami. Tuttavia le varie azioni di contorno, come lo stordimento o l’utilizzo di nascondigli temporanei, unita ad una semplicità e discreta responsività dei comandi, permettono di modificare anche in corsa il modo in cui avanzare. Non è difficile prendere confidenza con i comandi di gioco, il difficile è trovare la chiave giusta per usarli e trovare il proprio stile di approccio al gameplay. Peccato che sul lungo periodo e nelle sessioni più lunghe il gioco si imponga con una ripetitività a tratti fastidiosa che può essere evitata solo se giocato a piccole dosi.
Spigoli e stile
La palette cromatica usata ha tonalità molto cupe e rossastre tipiche del periodo degli anni settanta e mirano a creare un’atmosfera da thriller riuscendoci solo in parte e rendendo spesso i modelli e gli scenari troppo impastati tra di loro e difficilmente leggibili durante l’azione. Le scelte di character design offrono modelli molto spigolosi e robotici che tendono a dare una gistificata impersonalità ai personaggi come se fossero entità parte di un unico alveare. Ottima scelta che rende il gioco facilmente riconoscibile ma che allo stesso tempo spesso permette con difficoltà di avere empatia e trasporto durante l’azione di gioco. Si tratta pur sempre di un indie, ma è un peccato vedere l’ottimo lavoro sugli sprite ed elementi statici che appaiono a schermo scompensato da qualche animazione troppo accennata o artificiosa.
Addentrarsi nella foresta di estremismo religioso di The Church in the Darkness trasporta in un’atmosfera dal game design intenso pur con i suoi poligoni spigolosi e una sostanziale ridondanza dell’ambiente di gioco. La molteplicità di strade con le quali si può approcciare il gioco porta a più finali e una buona rigiocabilità soprattutto per la facilità con la quale si muore. Il gioco si definisce action e ha una visuale che ricorda Hotline Miami, ma con un percorso narrativo molto più complesso e ricamato quasi a voler ricordare un’avventura grafica di quelle vecchio stile, fatte di tanto testo e profili dei personaggi articolati. La ripetitività dell’azione potrebbe essere un limite, tanto quanto la difficoltà a conciliare l’azione di gioco con la lettura dei testi per comprendere la narrativa profondamente vincolata a una umanità devita dai radicalismi religiosi. Manca quel guizzo che lo riesce ad elevare a produzione di prestigio, ma è comunque un gioco solido che saprà farsi apprezzare.