RAD Recensione

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RAD Recensione | Avete presente quei titoletti di nicchia, magari nati per caso e per gioco, che si basano su qualche buona idea su carta, non sempre trasformata in qualcosa di ludicamente soddisfacente? Bene, RAD non ĆØ uno di quelli, anche perchĆ© alla base di questo curioso roguelike, giĆ  ampiamente visto nel corso di quest’anno, ci sono i Double Fine. Non esattamente gente con poca esperienza o con le idee poco chiare, anzi. Prima di mettersi seriamente al lavoro sul sequel di Psychonauts – o forse in parallelo, chissĆ  – il team di Tim Schafer, neoacquisto degli Xbox Game Studios, ha voluto pubblicare, insieme a Bandai Namco, quello che a conti fatti rappresenta il suo personale omaggio a una tipologia di videogiochi che, negli ultimi anni, ha avuto un incredibile picco di popolaritĆ  e subƬto valanghe di ibridazioni. Il progetto, ĆØ bene precisarlo, non ha coinvolto l’intera squadra, bensƬ una costola diretta da Lee Petty: ĆØ proprio dalle sue idee e dai suoi ricordi giovanili, legati agli anni ’80, che RAD ĆØ nato e ha preso una sua precisa forma. Attenti, però, a bollarlo come ā€œprogetto minoreā€: sarebbe un madornale sbaglio.

RAD

Ā Queste strutture hanno un ruolo chiave nel gioco.

RAD: un omaggio in salsa roguelike agli anni ’80

Di fronte a un titolo dichiaratamente immerso fino al collo in un periodo che ha avuto un impatto a dir poco ciclopico sulla cultura popolare non si può rimanere indifferenti, anche perchĆ©, senza timore di smentita (e pian piano vedremo perchĆ©), fino ad oggi non ĆØ mai esistito un videogioco in grado di combinare cosƬ bene un oceano di riferimenti a un periodo storico aureo per la game industry e un genere videoludico che tutto sommato si ĆØ sempre dimostrato funzionale e di rado, in passato, ĆØ incappato in qualche incertezza. Immaginate la classica post-apocalisse con un mondo da riconquistare, cittĆ  decadenti e squarciate da disastri di ogni tipo, con la natura che, in forme mutate e bizzarre, torna nel tempo a reclamare quel che ĆØ suo, il tutto inondato dell’accecante luce di un sole al tramonto e un sottofondo musicale che esplora in lungo e in largo la musica pop, dance ed elettronica anni ā€˜80, con dosi massicce di sintetizzatori e nostalgia. Senza nemmeno dimenticare una generosa quantitĆ  di dilagante autoironia. Fatto ciò, avrete stampato in mente un quadro accettabile e veritiero del contesto che fa da sfondo a RAD, il quale si prende in giro e rimanda a quel periodo anche nel nome stesso: non tanto, se non alla comune origine culturale, all’omonimo film del 1986, quanto al rimando, abbreviato, alle radiazioni che ne infestano il mondo e al significato gergale della parola stessa, che indica qualcosa di nuovo, di stimolante e fico da provare, specie in uno scenario di continua evoluzione tecnologica. In effetti, l’obiettivo di Double Fine era proprio quello di regalare al pubblico un videogioco con cui divertirsi, in barba a tutti gli orpelli e le convenzioni ludiche che vanno di moda al giorno d’oggi, e stamparsi in faccia un sorriso ebete all’individuazione di ogni possibile riferimento storico.

Oltre che eliminando nemici, le mutazioni possono essere accelerate interagendo con determinati oggetti.

Prima di lasciarci prendere dall’entusiasmo, però, facciamo brevemente un po’ d’ordine. Voi siete uno dei sopravvissuti, persone che, seguendo l’esempio dei Guaritori, esseri misteriosamente scomparsi dalla faccia della Terra e ormai mitizzati, devono riportare la vita sul pianeta, scacciando le aberranti mostruositĆ  provocate da un’immane catastrofe biochimica. L’incipit perfetto, insomma, per lanciarvi nella mischia, armi in pugno, senza una minima idea di quel che dovete fare: run dopo run (ogni volta si impersona un nuovo sopravvissuto, scelto fra dieci skin diverse) il gioco vi invoglia a sperimentare e osare quanto basta per poter morire un po’ più in lĆ  e comprenderne più a fondo le meccaniche. Dopo un paio di morti e ripartenze diventa piuttosto chiaro che la strutturazione dei livelli, pur con le dovute differenze, ĆØ concettualmente simile a The Binding of Isaac nella sua proceduralitĆ  e sequenzialitĆ . Ogni mappa ĆØ generata casualmente, e contiene al suo interno diversi elementi comuni che impareremo presto a riconoscere per poter andare avanti: diverse statue da attivare per passare allo scontro con il boss e quindi al livello successivo, venditori ambulanti di oggetti utili come pozioni e ā€œchiaviā€ per aprire forzieri sparsi nel livello, e cosƬ via.

Nei tunnel ĆØ possibile trovare diversi oggetti vitali per proseguire: esplorare dappertutto, quindi, ĆØ fondamentale.

RAD ha una progressione più ordinata e meglio strutturata dei lontani cugini

La ā€œvalutaā€ di gioco, peraltro, ĆØ espressa in cassette e floppy disk, segni inequivocabili di un decennio incuneato pressochĆ© in ogni pixel, dagli effetti sonori dei cabinati di Pac-Man nell’insediamento iniziale, che funge da hub, ai televisori CRT disseminati in ogni dove. Proprio quel particolare credito, gestito in maniera molto ā€œliberaā€ e senza le tante restrizioni a cui invece The Binding of Isaac e altri cugini obbligano a sottostare, ĆØ il primo segno di un sistema roguelike piuttosto permissivo, capace in più di un’occasione di perdonare gli sbagli commessi grazie a una generosa quantitĆ  di oggetti di cura – spesso, però, disseminati in maniera un po’ troppo casuale – e a potenziamenti che, se trovati nel giusto ordine, permettono di diventare vere e proprie divinitĆ  ambulanti nelle fasi avanzate del gioco, denotando un bilanciamento non perfetto fra questi ultimi e i pericoli che ci troviamo di fronte. Come in altri “parenti” più o meno lontani, basta avere un minimo di fortuna nelle prime fasi per poter sopravvivere molto a lungo e avere ragione di un campionario di mostri e amenitĆ  varie spesso gestibili con grande facilitĆ  – a volte troppa –Ā rimanendo a debita distanza. Le mosse a disposizione, inizialmente limitate a un semplice attacco normale o caricato con la mazza in dotazione, variano a seconda del potenziamento trovato, con una barra di energia “radioattiva”, accumulabile eliminando nemici o in corrispondenza di specifiche radici viola, che scandisce l’ottenimento di nuove mutazioni. Queste ultime possono a loro volta essere acquistate o, se si ĆØ fortunati, trovate: a loro volta, i power up possono rendere più facile o meno dispendioso l’acquisto di nuovi poteri, elemento vitale per diventare più forti ed affrontare i nemici più potenti.

Non mi vedete e non vi è chiaro il perché? Semplice: sono sotto terra!

Man mano che si prosegue tra i vari mondi, le mappe tendono a diventare più ampie e articolate: fortunatamente, gli sviluppatori hanno inserito un elemento che fin da subito ĆØ la chiave di volta per rendere l’esplorazione meno tediosa, anzi, addirittura piacevole: le metropolitane. Queste ultime sono veri e propri tunnel, anch’essi generati casualmente, che connettono varie parti di livello e contengono al loro interno nemici temibili e potenti power-up, il cui recupero ĆØ di enorme aiuto per arrivare più forti allo scenario successivo. Percorrerle serve anche per raggiungere parti di mappa isolate, talvolta contenenti ulteriori segreti o una fra le statue, la cui attivazione ĆØ un requisito fondamentale per aprire l’enorme ā€œboccaā€ di quella centrale e concludere il livello. Man mano che si prosegue, sopravvivere diventa sempre più complicato: la costante crescita della difficoltĆ  ĆØ però esso stesso un elemento studiato per legarsi a doppio filo alla progressione nel gioco, che, partita dopo partita, ci aiuta sbloccando via via diversi bonus, fra cui mazze extra con diversi perk, oltre ai tratti (ad esempio la trasformazione di un cuore in uno scudo ricaricabile contro il fuoco o contro la tossicitĆ , e cosƬ via), che, in pieno stile roguelike, aiutano a rendere l’esperienza se non più facile, quantomeno più malleabile. Se i tratti, in RAD, possono essere decisi a inizio partita, lo stesso non si può dire dei power-up stessi, che comprensibilmente vanno recuperati: le mutazioni passive sono cumulabili per un bel po’, tanto che noi stessi non siamo arrivati a vedere il fondo degli slot disponibili, mentre quelle attive hanno sfortunatamente un limite ben definito: nelle fasi avanzate del gioco può capitare molto spesso di distrarsi un attimo e sostituirle con altre molto meno efficaci.

Soffermarsi sulla bellezza di certi colori ĆØ un’esperienza totalizzante.

Nell’insediamento centrale, in cui ĆØ possibile fare ritorno anche fra un livello e l’altro, si può poi dar vita a una piccola coltivazione di piante, le drupe, recuperate singolarmente nella zona devastata, che fungono da veri e propri kit medici recuperabili alla bisogna, oppure immagazzinare le proprie cassette – prima di morire e perderle – all’interno di una banca, evidente (ed ennesimo) riferimento ai computer Macintosh dell’epoca che, con una certa dose di ironia, si vanta di essere ā€œinhackerabileā€. Proprio da qui, fermandosi ad ammirare il tramonto e beandosi sulle note dell’azzeccatissima colonna sonora, si può iniziare ad apprezzare la bellezza di un videogioco con due anime come RAD, prima ancora di iniziare la prima partita. Potete crederci se vi diciamo che ĆØ talmente ā€œbelloā€ (nel senso più arcaico della parola) che ci ĆØ passato più volte per l’anticamera del cervello di consigliarlo anche a chi, almeno inizialmente, vuole ignorare la sua componente più hardcore da roguelike (comprensiva, come extra, delle classiche sfide giornaliere, per ora semplici corse contro il tempo al completamento più veloce di un singolo livello) e lasciarsi invece trasportare da un’atmosfera raramente cosƬ ben curata nel suo genere. Tutto il resto, poi, verrĆ  a tempo debito, e saprĆ  regalarvi ore ed ore di puro piacere all’insegna del synthwave ammazza-mostri.

Annunciato a Marzo di quest’anno e con reazioni a metĆ  fra il vagamente sorpreso e l’indifferente, RAD si ĆØ invece rivelato una piacevolissima sorpresa, forte di uno stile visivo impareggiabile e di un gameplay divertente, che fonde le basi del roguelike con una struttura simile a quella delle opere di Edmund McMillen, aggiungendo di per sĆ© una progressione più strutturata e una struttura dei livelli più ordinata e geometrica.Ā Peccato solamente per l’assenza della modalitĆ  cooperativa, per cui, però, non ci sentiamo di penalizzarlo più di tanto, tanto da parlarvene solamente in queste conclusioni finali, per uno sbilanciamento del sistemaĀ  (ormai quasi fisiologico per titoli simili) che privilegia determinati potenziamenti rispetto ad altri e infine per una gestione degli stessi un po’ troppo casuale. Per il resto, il titolo di Double Fine ĆØ destinato senz’ombra di dubbio a imporsi fin da subito come uno fra i colossi nel suo genere, a suon di scorci e musiche mozzafiato e con un’intrinseca ripetitivitĆ  che, dopo poche decine di minuti, rischia di generare la più dolce delle dipendenze.

Nato nello scorso millennio con una console fra le mani e rimasto per molti anni confinato nel mondo distopico della Los Angeles del 2019, ha infine deciso di uscirne per divulgare al mondo intero le sue più grandi passioni: il videogioco in tutte le sue forme, il cinema (quello vero) e Dylan Dog.