In Sound Mind Provato dalla devcom 2019

In Sound Mind Cover

Raramente si ha la possibilità incredibile che abbiamo avuto oggi alla devcom, l’evento pre-gamescom dedicato agli sviluppatori, prevalentemente indie, e ai loro giochi. La possibilità non solo di provare i suddetti giochi in una kermesse d’eccezione, ma soprattutto quella di provarli di fronte a chi quei giochi li ha sognati, sudati, realizzati infine, anche se, come nel caso di In Sound Mind, il gioco in oggetto di questa anteprima, ancora in uno stadio non definitivo, di beta o anche di alpha in taluni casi specifici. Attratti da un feeling visivo familiare ma non banale, da un nome accattivante e promettente, considerando che già dai colori e dallo stile del booth che lo ospitava In Sound Mind si presenta come un horror “sensoriale”, abbiamo deciso di avvicinarci, dialogare con i simpaticissimi e precisissimi developer per un po’, e di cimentarci, infine, nella demo di un videogame ibrido, che nascondeva persino più sorprese di quelle preventivate.

In Sound Mind: un horror senza jumpscares e con le statistiche?

Salta immediatamente “all’occhio”, parola che per questa demo assume una notevole importanza, che il setting di In Sound Mind, o meglio, di questo specifico livello estrapolato da una demo abbastanza prematura, non sembra, inizialmente, troppo spaventoso o “horror”. Di certo le suggestioni evocate dai più classici corridoi bui con lampadine rotte incorporate già dalla costruzione, i suoni sinistri che possiamo avvertire muovendoci in foreste desolate e rinsecchite, insomma, quell’insieme di canoniche location in cui siamo soliti muovere passi tremolanti quando giochiamo ad un titolo horror, sono abbastanza distanti dalla pur evocativa fabbrica abbandonata che fa da sfondo alla nostra prova. Ma non c’è da stupirsi, dato che già nel paragrafo precedente abbiamo usato il termine “ibrido” per descrivere un videogame che nell’art direction, in alcune scelte di gameplay e nell’impostazione generale non nasconde i suoi natali di puro e ormai inflazionatissimo “horror in prima persona”. Eppure, se ne distanzia quasi immediatamente dando in mano al nostro personaggio una scheggia di specchio rotto come arma e la possibilità di correre e saltare in giro per l’ambientazione. Senza contare che, a detta degli sviluppatori, nel gioco completo saranno molteplici gli strumenti a nostra disposizione da utilizzare per sopravvivere o superare enigmi. Enigmi che, oltre alle classiche chiavi e serrature da scovare in giro per la mappa, coinvolgono anche la “tematica” di base del livello che stiamo affrontando.

Ognuno degli schemi che affronteremo nel gioco avrà assegnato un tema peculiare, legato al mondo dei sensi o delle sensazioni da essi evocate. La demo si basava sulla vista, ma, ci raccontano i ragazzi di We Create Stuff, ci sono in cantiere anche livelli dedicati all’udito, o allo sfruttamento dei colori bianco e nero per generare illusioni ottiche particolari e ingannarci, costringendoci a riflettere, o a cercare pagine di diario o altri testi che ci guidino nella risoluzione (anche se in questa demo, grazie alla guida dei developer, non è stato necessario). Risoluzione che dovrebbe poi essere anche legata a battaglie contro boss tutti divers, nonché essi stessi artisticamente curati per rievocare la tematica del livello. Nel caso specifico della demo, la ragazza-spettro che abbiamo affrontato odiava essere guardata direttamente, e ci avrebbe attaccato solo qualora la stessimo fissando. Giunti ad una stanza piena di televisori, abbiamo dovuto accenderli tutti direzionando quindi gli occhi in essi proiettati verso il boss, costringendolo a materializzarsi fisicamente e potendolo infine condurre ad una pirotecnica pace dei sensi. Peccato non aver potuto sfruttare gli strumenti raccolti in giro per migliorare le nostre statistiche di HP ed attacco, ma la loro effettiva presenza, unita alle descrizioni entusiaste degli sviluppatori di fianco a noi, fanno presagire l’intenzione di realizzare un titolo difforme dal “solito” horror game tutto jumpscares e indifendibilità dei nostri personaggi, ma al contrario suggeriscono una profondità che non vediamo l’ora di provare in uno stadio più completo dello sviluppo.

Fra manichini (di nome Dave) amichevoli e, una volta tanto, ben intenzionati, capaci di aiutare il protagonista a trovare strumenti, o a salire su alture troppo elevate per lui solo, fra enigmi ambientali ispirati, volutamente o meno, alla creme della creme dell’horror psicologico e ambientale (alla Layers of Fear per intenderci), tra statistiche da migliorare, boss fight da scoprire, un HUB centrale, un edificio “incomprensibile” e con oggetti e segreti da scoprire, ci dicono gli sviluppatori, dandoci a intendere che la sua natura e struttura di certo non saranno propriamente realizzate “a misura di umano”, In Sound Mind ha di fronte a sé una strada impervia da percorrere, lastricata di ottime intenzioni e idee originali, unite ad altre meno uniche, ma comunque solide e collaudate. In fondo al percorso, la meta finale, sogno di tutti gli sviluppatori indipendenti, che ben traspare dai loro sorrisi entusiasti e dalle loro vigorose ma emozionate strette di mano. Così come, in fondo alla nostra Demo, si celava invece una ulteriore sorpresa, suggerita a inizio articolo: un brano originale, uno di molti, tanto che insieme comporranno un disco, di The Living Tombstone, musicista digitale la cui fama non ha fatto che crescere grazie alle sue cover celebri dedicate a Five Nights at Freddy’s, ma anche a molti altri capolavori, indie o no che fossero, videoludici. Come “Memory”, brano cucito ad arte sulla trama di Kingdom Hearts: commovente.

Che dire: In Sound Mind ci ha promesso tanto, per un gioco indie ad opera di sviluppatori giovani ma volenterosi, simpatici, di cui speriamo di poter parlare ancora in futuro, e bene. La devcom prosegue, la gamescom è alle porte. E a noi piace pensare che, come e più di quest’anno, ogni edizione possa dedicare in futuro il giusto spazio a fatiche promettenti come In Sound Mind.

Vive in simbiosi con la sua Switch, segnato da un'infanzia vissuta solo sulle console Nintendo portatili. Persino la sua prima console Sony è stata la portatile PSP, il che è tutto dire. Monta video da quando erano ancora di moda gli AMV su Dragon Ball, e si usava Movie Maker pensando di essere i nuovi Spielberg. Malato di giochi competitivi ed E-sport, ma anche dal lato opposto dello spettro di GDR e Story Driven, pochi titoli si salvano dalle sue spire, e solo perchè ogni tanto deve anche nutrirsi e dormire. Ha scritto questo testo, ma di solito non parla di sè in terza persona. Così, per dire.