Charlie Says Recensione

Charlie Says

Charlie Says Recensione | Sembra essere un periodo d’oro per la figura di Charles Manson al cinema. Nel giro di meno di un mese lo si vedrà infatti apparire all’interno di C’era una volta a… Hollywood, di Quentin Tarantino e nella seconda stagione della serie Netflix Mindhunter. In ultimo, eccolo prendere vita in Charlie Says, dove a dargli corpo e voce è l’attore Matt Smith. Nel film diretto da Mary Harron, già regista di American Psycho, Manson è visto attraverso il ricordo di tre giovani ragazze appartenenti alla Manson Family. Gli omicidi di Cielo Drive, dove perse la vita anche l’attrice Sharon Tate, sono già avvenuti, e le tre ora rinchiuse in carcere raccontano quanto avvenuto ad una ricercatrice che tenta di decifrarne la psicologia.

Charlie Says

Charles Manson.

Charlie Says: il racconto di un comunità

Ciò che di interessante il film propone è l’ennesimo punto di vista alternativo su Charles Manson. Visto attraverso gli occhi delle ragazze che lo frequentarono, il film si snoda attraverso numerosi flashback che tentano di riconsegnare un quadro, per quanto romanzato ai fini cinematografici, di quello che davvero significava vivere nella comunità instaurata da Manson. Sono numerosi i quadri dove vediamo il carismatico leader diffondere il suo verbo, inneggiando tanto ai principi del credo hippie quanto a ben più drastiche idee di ristabilimento dell’ordine sociale. In ognuna di queste situazioni la regista aspira a farci sentire parte del gruppo, infiltrandosi tra i suoi membri e sporcando le inquadrature per restituirci più forte l’idea di vicinanza a quanto si osserva. Nonostante l’interessante soggetto, il film perde lentamente il suo fascino nel momento in cui viene riproposta senza grandi variazioni l’alternanza tra presente e passato, e senza che quest’ultimo davvero riesca a trovare una propria direzione. Assistiamo così più volte ad un magnetico Matt Smith mentre costruisce un Manson particolarmente credibile e inquietante, ma frenato dalla staticità di una messa in scena che non rivela veri e propri elementi di interesse. Il film sembra così basarsi interamente sul suo protagonista, cadendo però nella trappola della ripetitività. Ciò che fortunatamente riesce a catturare l’interesse è la rappresentazione di alcune pratiche vigenti all’interno di quella è a tutti gli effetti una vera e propria setta. Dal modo in cui i vari membri si autogestivano alle punizioni per chi disubbidiva ai comandamenti imposti da Charlie. Nonostante il suo sorriso ammaliante, ben presto questi si rivela infatti mostro da temere, imprevedibile nel suo agire.

Charlie Says

Atroci verità.

Charlie Says: Riflettere sull’atrocità

Come detto, contrapposto al ricordo di Charlie e dei suoi dettami, vi è il luogo in cui si svolge il presente narrativo del film: il carcere in cui sono rinchiuse tre ragazze membri della setta. Basandosi su delle vere indagini psichiatriche condotte in seguito agli omicidi di Cielo Drive, il film mira a mostrare quanto pericolosa possa essere l’influenza di un individuo come Manson su delle giovani menti. Le tre ragazze interrogate non sembrano provare alcun rimorso per quanto causato dalle loro mani, e dall’ordine altrui. La loro fermezza è probabilmente tra le cose più agghiaccianti del film, quasi al pari dei momenti più cupi con protagonista Manson. Nel loro progressivo percorso per liberarsi dal lavaggio del cervello subito, allo spettatore viene consegnata la possibilità di riflettere sulle atrocità avvenute, prendendo coscienza del loro impatto nel corso dei decenni e fino ad oggi. Con gli omicidi del 1969 sembrava infatti morire un’epoca e iniziarne una nuova, dominata però dalla paura.

Appare tuttavia frustrante come nonostante l’ottima materia tra le mani, la regista non sia riuscita a personalizzarla maggiormente, permettendo al film di distaccarsi da un semi anonimato nel quale invece cade più volte. Nonostante i molteplici punti di interesse narrativo, la forma non sembra così supportare quanto si guarda attraverso una messa in scena altrettanto accattivante. E se nel caso di David Fincher e Mindhunter l’invisibilità della mano autoriale è invece abilmente nascosta dietro una serie di espedienti che rendono particolarmente ipnotizzante la visione, altrettanto purtroppo non si può dire di questo Charlie Says, che sembra più che altro avere un valore quasi esclusivamente documentaristico, pur considerando che si tratta un film di fiction.

Gianmaria è sempre stato un grande appassionato di cinema e scrittura, tanto da volerne fare la sua professione. Studiando queste materie all'Università decide di fondere le sue passioni nella critica cinematografica e nella scrittura di sceneggiature. Tra i suoi autori preferiti vi sono Spike Jonze, Noah Baumbach e Richard Linklater.