Remnant From The Ashes Recensione

Remnant From The Ashes RecensioneOggigiorno, proporre qualcosa di nuovo è indubbiamente difficile. Nel medium è praticamente stato fatto di tutto, tant’è vero che nella generazione attuale – ma anche nella scorsa – abbiamo assistito a titoli capaci di inglobare più generi al loro interno. In tanti hanno provato a cavalcare l’onda del successo, appoggiandosi a idee partorite da altri colleghi, i quali hanno dimostrato, ottenendo discreti successi, di non essersi affatto sbagliati. Uno dei generi più gettonati, al momento, è quello dei cosiddetti “SoulsLike”, ideato dalla geniale mente di Hidetaka Miyazaki, autore della serie Souls, di Bloodborne e Sekiro (tanto per citarne alcuni). Tra Lords of the Fallen, Salt and Sanctuary e tanti altri, è evidente l’enorme influenza del director giapponese, ma quanti di questi titoli riescono poi effettivamente a strappare buoni consensi da critica e pubblico? Pochi. Disponibile da qualche giorno per PlayStation 4, Xbox One e PC, Remnant: From the Ashes è quella produzione che potremmo agevolmente etichettare come “l’ennesimo tentativo di cavalcare la famosa onda”. I pregiudizi, lo sappiamo, sono una brutta bestia; saremmo degli ipocriti se non ammettessimo di esserci approcciati alla produzione dubbiosi, convinti di trovarci per le mani un titolo privo di carattere. Ecco, meglio metterlo in chiaro sin dal principio: la produzione di Gunfire Games si ispira assolutamente alle produzioni sopracitate, ma, a differenza di altri giochi, cerca di costruire attorno ad una struttura indubbiamente assai nota tanti elementi “inediti”, i quali, proposti in questo modo e in questo genere, risollevano la baracca.

Remnant From the Ashes

Artisticamente splendido.

Remnant: From the Ashes: una trama cupa ma a tratti poco attraente

Un incipit contraddistinto da toni decisamente misteriosi e cupi apre le vicende del gioco, ricalcando quanto fatto da Hidetaka Miyazaki con le opening delle sue produzioni. Qui, però, la regia e le scelte musicali non convincono alla stesso modo, facendo apparire il tutto come “un tentativo non andato a segno”. Finita la sequenza, la quale vi vede naufragare su di un’isola misteriosa, muoverete i primi passi, iniziando a familiarizzare con i comandi e le meccaniche di gioco. Le prime battute sono piuttosto ingannevoli, poiché donano alla produzione l’aspetto del gioco troppo facile e mal fornito ludicamente, quando invece bastano poche ore per scoprirne il reale contenuto, ma ci torniamo più tardi. Prima, eravamo brevemente entrati nei meriti della trama; a tal proposito, sappiate che Remnat non vi porrà grande affidamento, concentrandosi maggiormente sugli aspetti legati al gameplay. La progressione legata alla narrazione, infatti, talvolta rallenta, in altri casi, scompare quasi del tutto. Anche i personaggi faticano a brillare di luce propria; salvo qualcuno, come ad esempio Madre Root o Dente di Fango, i rimanenti non ci hanno minimamente conquistati. Il pezzo forte è l’ambientazione: una brutale terra abitata da un male antico, ormai ridotta agli sgoccioli. Seppur il setting fatichi un po’ a farsi notare, poiché costruito ispirandosi ad ambienti oramai consolidati, a causa di un’atmosfera d’impatto, riesce a spiccare il volo, avvicinandosi alle migliori riproposizioni Lovecraftiane. Non solo nelle location, ma anche nei nemici, l’influenza dell’autore statunitense risuona fortissima: i Root, questa antica specie che ha invaso le terre ove si ambienta il gioco, sono caratterizzati da un aspetto marcio, corrotto, che a tratti si tinge di horror. Loro, insieme ad altri documenti che troverete disseminati per gli ambienti, rappresentano l’elemento più convincente da un punto di vista strettamente narrativo.

Remnant From the Ashes

Il protagonista.

Remnant: From the Ashes: spietato crudele e talvolta frustrante

Prima, vi raccontavamo che l’introduzione è piuttosto ingannevole. Il titolo, inizialmente, vi concede solamente la possibilità di sferrare degli attacchi in corpo a corpo poco convincenti, afflitti da gravissimi problemi di hitbox e da un feedback che ad ogni colpo sferrato non garantisce un forte senso di appagamento. Fortunatamente, però, gli sviluppatori hanno pensato bene di aggiungere anche delle armi da fuoco. Per sbloccarle, occorre completare la prima ora, dopodiché verrete chiamati a compiere un’importante scelta: Attaccabrighe, Ex-accolito e Cacciatore. Queste, sono le classi che il gioco vi mette a disposizione e seppur non siano molto stratificate, offrendo poche possibilità di building, risultano abbastanza diverse l’una dall’altra quanto basta per variare a sufficienza il gameplay. La prima delle tre è incentrata sugli attacchi melee, pertanto è innegabilmente la più carente, a causa dei problemi sopracitati; Ex-accolito è invece una via di mezzo, possiede delle armi a corto raggio, le quali non permettono al giocatore di allontanarsi troppo dai nemici, prediligendo assalti diretti; l’ultima, il cacciatore, a nostro avviso è la migliore, si allontana bruscamente dagli scontri ravvicinati, concentrandosi esclusivamente sulle bocche da fuoco. A sorpresa, il gunplay messo in piedi dal team di sviluppo si è rivelato efficace, nonostante si tratti di una produzione caratterizzata da un budget minore. Sparare è piacevole e la varietà non manca, partendo dai fucili a pompa fino ad arrivare a quelli da caccia. Arricchiscono ulteriormente la produzione, alcuni elementi legati alla crescita del proprio avatar virtuale: recandosi al Ward 13 – l’hub centrale – è possibile potenziare il personaggio, sia per quanto riguarda il vestiario che le armi. Per farlo, serviranno dei materiali facilmente reperibili nelle location di gioco, oltre alla valuta in game ottenibile uccidendo i Root. Completano l’offerta legata ai potenziamenti, le mod, dei bonus da attaccare all’arma e attivare in battaglia. Ce ne sono di vario genere: da pozze vitali che consentono il recuperò della salute, ai classici danni aumentati (le più utili si ottengono sconfiggendo i boss); infine vi è la possibilità di accrescere le abilità (stamina, salute e percezione dei nemici) del personaggio spendendo dei punti ottenibili con l’esperienza.

Remnant From the Ashes

In pieno stile FromSoftware, Remnant From the Ashes è un gioco difficile. Inizialmente, il team aveva comunicato che la difficoltà sarebbe stata gestita dinamicamente, ma non è affatto così. Il viaggio che vi ritroverete ad intraprendere è malvagio, spietato, talvolta frustrante. Le aree di gioco non sono incredibilmente elaborate per quanto concerne il level design, ma sono rese particolarmente ostili dalla presenza di nemici veramente temibili. Qui, purtroppo, subentrano alcune fastidiose debolezze: l’IA nemica è parecchio deficitaria e ciò ha spinto gli sviluppatori a puntare maggiormente sul numero, piuttosto che sul singolo. Anche i loro attacchi non sono privi di debolezze; alle volte farete fatica a comprendere in che modo siete stati colpiti. Ottimo, invece, l’approccio quasi survival, sia le munizioni che le cure vanno gestite in maniera attenta e precisa. Il tutto si ricarica negli appositi “falò”, qui ribattezzati “posti di blocco” (ogni volta che riposerete in questi luoghi, tutti i nemici faranno nuovamente la loro comparsa, fatta eccezione per i mini boss). Essi, così come accade in un qualsiasi Souls, sono posizionati più o meno a metà zona; ogni volta che la morte avrà la meglio su di voi, ripartirete da quel punto. Va precisato che la morte, concettualmente è meno affascinante se paragonata alle produzioni di Hidetaka Miyazaki, finendo per avere un ruolo quasi ed esclusivamente legato al gameplay. Prima di raccontarvi il comparto tecnico, ci teniamo a precisare che l’avventura potrà essere affrontata anche in compagnia di alcuni amici. La modalità per giocatore singolo è chiaramente pensata per chi cerca esperienze davvero massacranti, in grado di mettere a dura prova la pazienza del giocatore; in coop le cose si fanno lievemente più semplici: insieme ad altri due giocatori, chiaramente ci si diverte di più e si soffre un po’ meno, anche se non sarà affatto una passeggiata. La difficoltà, infatti, tiene conto del numero di partecipanti e si regola di conseguenza, impedendo al gioco di diventare facile.

Comparto tecnico

Remnant From the Ashes, su PlayStation 4 Pro è afflitto da numerosi cali di frame e da un input lag – soprattutto legato alla schivata – avvertibile, pur rimanendo accettabile. In generale, l’intera veste grafica della produzione non ci ha soddisfatti: la maggior parte delle texture sono in bassa risoluzione e la modellazione poligonale dei volti è al di sotto degli standard odierni. Convince di più, il lavoro svolto nella direzione artistica, grazie a mondi (sono procedurali) ben ispirati e capaci di trasmettere ottime sensazioni al giocatore, una su tutte: la desolazione. Chiudiamo, menzionando il comparto audio, il quale non brilla particolarmente e non riesce ad esaltare gli scontri con i boss. A sorpresa, il gioco è doppiato in italiano, anche se il lavoro svolto è al quanto discutibile, ma almeno impedirà a tutti coloro i quali non sono molto ferrati con l’inglese, di non godersi la produzione.

Remnant From the Ashes, nel bene e nel male verrà ricordato. Gunfire Games propone un’esperienza riconoscibile a tutti gli amanti dei titoli “SoulsLike”, senza dimenticarsi di impreziosirla con alcune idee partorite ed uscite nel loro studio. Una su tutte, le bocche da fuoco: garantire al giocatore un approccio differente, qualora non si trovasse a proprio agio con le armi bianche, oltre a variare notevolmente il gameplay, lo impreziosisce; per tanto, è un valore aggiunto. Purtroppo, a livello narrativo le cose non sono andate nel verso giusto, ma del resto, il titolo non sembra mai averci puntato molto. Il focus è assolutamente il gameplay, il quale, in cooperativa, riesce a dare il meglio di sé, senza abbassare drasticamente la difficoltà, che rimane sempre molto alta è stimolante. Alcuni difetti sono un po’ pesanti, è innegabile, ma è pur sempre “una produzione minore”. Quindi, se quella che cercate è un’esperienza capace di impegnare in gruppo e apprezzate il genere dei Souls, non dovete andare oltre.

Antonio è un appassionato di cinema, serie TV, ma soprattutto di videogiochi. Li ha scoperti alla tenera età di 4 anni e non li ha più mollati. Tra i suoi preferiti ci sono la saga di Metal Gear ed il videogioco The Last of Us. Infine, segue con molto interesse l'intera industria videoludica ed attende con molta trepidazione l’arrivo della prossima generazione di console.