Superhot Recensione | Superhot resta un piccolo capolavoro, anche su Switch. Su Hardware Nintendo il gioco approda dopo oltre tre anni dalla pubblicazione originale, privo di novità vere e proprie che non siano, al solito, concettualmente legate alla portabilità. Superhot è un piccolo capolavoro perché, in un mercato abile principalmente a riciclare, ha proposto qualcosa di realmente fresco e originale, lontano da qualsiasi cosa vista prima e, col senno di poi, persino dopo. Quasi che la sua unicità, cristallizzata nel tempo, sia irripetibile, inimitabile. Superhot è un piccolo capolavoro perché, qualunque sia la spiaggia di approdo, intrattiene, stupisce, diverte. Non è questo che dovrebbe fare ogni videogioco?
Stile grafico unico.
Superhot : Il tempo che si ferma
Per comprendere cosa sia e cosa faccia Superhot bisogna giocarci. Eppure, proviamo a spiegare, ancora una volta, alcune caratteristiche chiave di un’esperienza particolare in termini assoluti. Superhot, infatti, non è un FPS, non è un puzzle game e, neanche, un action. Eppure, è sicuramente tutte e tre le cose, mascherate e poi rimescolate dalla manipolazione temporale al servizio dell’utente. In estrema sintesi, in un contesto in prima persona, bisogna tenere a mente che, se ti muovi, si muove anche il tempo. Se si muove il tempo, si muovono anche i nemici, le loro pallottole, le loro spade e i loro bastoni. Se non ti muovi, al contrario, il tempo resta fermo. Proprio come il tuo corpo, ma non la tua mente, chiamata ad elaborare ogni strategia, ogni movimento, ogni singolo passo. Qualsiasi percezione, insomma, utile allo scopo: quello di uccidere tutti i nemici e raggiungere il livello successivo. Bisogna sempre ricordare, pure, che l’azione frenetica non paga, in Superhot. Prima di muovere un passo in avanti, meglio girarsi intorno “da fermo”, magari sfruttando la nuova funzione legata al giroscopio di Switch, per capire cosa fare. Bisogna studiare l’ambiente, eventuali accessi, il posizionamento di armi ed oggetti prima ancora che dei nemici. Il tempo, sempre lui, può essere amico o nemico, in Superhot, in una sorta di danza astratta e meccanica, capace di riacquisire vera fluidità solo durante la visione dei replay, quando un po’ di incredulità si mescola ad orgoglio ed esaltazione.
Ogni schema, in Superhot, parte da una situazione di stallo, con il FOW incapace di restituire l’ampiezza di un’area nella sua interezza. Ogni schema prevede, quindi, la presenza di un determinato numero di nemici, pure loro non sempre visibili sin da subito. Sono misteriosi uomini rossi, privi di volto e con pochi e spigolosi poligoni. Sono minacciosi, vogliono ucciderti. E tu, vuoi uccidere loro, brandendo di volta in volta armi da fuoco e bianche. Non sarebbe sbagliato pensare ad ogni schema come ad un dipinto in perenne e impercettibile movimento. Un movimento, però, legato sempre all’interazione sul controller trasformato, si permetta un’altra figura, nella leva di un carrilon. Alla fine, nonostante le prime impressioni e volendo a tutti i costi etichettare l’esperienza su binari canonici, potremmo definire Superhot come una sorta di rompicapo 3D sui generis, legato al pensiero e alla strategia piuttosto che all’azione.
Eliminare i nemici con gioia!
Superhot : Il tempo che scorre
La campagna di Superhot non dura molto, ma dura il giusto: la prima volta, circa tre ore. Le volte successive, acquisite regole e situazioni, molto meno. Eppure, sono ore particolarmente intense. Merito del level design sopraffino e, pure, di una metanarrativa dalla qualità insospettabile. C’è una trama, in Superhot, abile nel contestualizzare quanto accade a schermo, per quanto l’esperienza, strutturalmente, si esaurisca nella sequela di schemi proposti. Il gioco, è spiazzante, termina poco dopo aver appreso una delle abilità più estreme. Una scelta che si spiega nella possibilità offerta al giocatore, una volta ammirati scorrere i titoli di coda, di lanciarsi in nuove sfide. Paradossalmente, Superhot tira fuori il meglio del meglio proprio alla fine dei giochi, esaltando definitivamente il level design e quella stessa, geniale idea di fondo. In questo contesto di eccellenza, restano le considerazioni sulla qualità del porting. Detto della portabilità, l’unica novità è legata ai sensori di movimento dei Joycon che, alla bisogna, possono essere alternati all’analogico destro. A qualcuno piacerà, nessun dubbio. Tecnicamente, invece, non cambia nulla. Il particolare stile grafico, quasi monocromatico, è stato trasportato senza particolari rinunce anche su hardware Nintendo dove, anzi, le schermate DOS dei menu sembrano ancora più belle, ancora più vere. Proprio come un piccolo capolavoro per cui il tempo, che paradosso, sembra davvero non passare mai.
Superhot resta una gemma preziosa, icona della vittoria della sostanza sulla forma. Simbolo, pure, di quel sottobosco Indie che non scimmiotta grandi produzioni e, neppure, ripesca dal passato. L’opera di Piotr Iwanicki è ancora, dopo più di tre anni, quella splendida idea di design nata su Kickstarter e poi esportata, in ogni forma, su tutte le piattaforme di gioco. Finalmente, anche su Switch dove guadagna in portabilità per non perdere nulla, ma proprio nulla, della sua intrinseca bellezza.