Daymare 1998 Recensione

Daymare 1998

Daymare 1998 Recensione | Cosa è successo nel 1998 nel panorama videoludico globale? Esatto, è stato pubblicato il Resident Evil 2 originale (quella del remake è un’altra storia). Bravissimi tutti quelli che hanno saputo rispondere correttamente, rimandati a settembre gli altri: dovranno recuperare giocando molti survival horror in terza persona. È vero, è vero: se togliamo dal conteggio le edizioni rimasterizzate e i prodotti mediocri, non è che nell’ultimo periodo questo genere abbia donato chissà quali titoli di rilievo. Ecco allora che Daymare 1998 arriva proprio al momento giusto, frutto del mastodontico lavoro del piccolo team italiano noto come Invader Studios. Non li avete mai sentiti prima? Allora sedetevi e leggete questa recensione di Daymare 1998 (segue l’omonimo provato dei mesi scorsi), perché probabilmente ve li appunterete come i vostri sviluppatori di fiducia nel prossimo futuro.

Daymare 1998 è arrivato, erede di Resident Evil

Annunciato da ormai troppo tempo, parzialmente rimandato, riproposto in una piccola demo nelle ultime settimane, Daymare 1998 è finalmente qui. Almeno su PC, dove la data di lancio corrisponde al 17 settembre 2019; ma nel prossimo futuro non abbiamo alcun dubbio, lo vedremo anche su console. Daymare 1998 è un survival horror in terza persona con prospettiva alle spalle e a mezzobusto. Dove avete già visto una visuale simile? Nel franchise di Capcom già citato ovviamente, Resident Evil. E Invader Studios non si è mai fatta alcun problema sulla questione, anzi: sin dall’inizio ha proposto, presentato e insistito sul collegamento tra Residet Evil e Daymare 1998. Potremmo, semplificando un po’, definire la produzione un mix tra atmosfere e idee dei primi due capitoli della serie, ma con la prospettiva/visuale, il gameplay e il ritmo dei più recenti, a partire da Resident Evil 4.

Daymare: 1998

È un male aver presente questa linea di contatto così precisa? Tutt’altro: se apprezzate questo specifico genere videoludico, saprete benissimo come negli ultimi anni siano mancati esponenti di rilievo. Ora, Invader Studios è un team italiano, dove il settore sviluppo va come va, e sicuramente non aveva a disposizione un milione di euro per realizzare il suo videogioco. Ma vogliamo lanciarvi una sfida: installare Daymare 1998, dopo averlo acquistato naturalmente. Superate il video di presentazione iniziale, e cominciata ad avanzare nel tutorial. Vi sembra davvero una produzione indie? Vi sembra un prodotto di fascia media? Notate qualche differenza con produzioni ben più blasonate e dalle risorse incredibili dei Tripla A? No. Perché non ci sono. Né visivamente né tecnicamente; a tradire la realtà del lavoro italiano sono semmai gli ambienti di gioco contenuti e piuttosto lineari. Ma Daymare 1998, per questi ed altri motivi, è un gioco di qualità che dovete provare.

Daymare 1998: Trama

Daymare 1998, dicevamo, è un survival horror in terza persona che attinge a piene mani a Resident Evil, e cita continuamente la produzione degli anni ’90 del settore. Su questa linea, la trama non brilla per l’originalità, ma si riprende con una suddivisione per capitoli e protagonisti differenti. Tutto comincia quando un esperimento governativo non va a buon fine, forse (raccogliete i documenti e lo saprete, noi non vi diremo nulla) anche per un intervento vendicativo da parte dei Giapponesi. Una sostanza letale, un’arma chimica, si libera in un laboratorio di ricerca isolato. Tutte le porte si chiudono: nessuno entra nella struttura, nessuno esce. E i pochi sopravvissuti… non sono più così tanto “vivi”. Diventano dei mostri aggressivi e molto resistenti, zombi se proprio vi serve un’etichetta. Quanto Liev arriva al laboratorio è già troppo tardi, e lui lo sa, perché fa parte di quell’”impresa di pulizie” che il governo americano manda sul posto a ripulire le zone in cui si sono verificati dei problemi.

Daymare 1998

Dopo un tutorial piuttosto benevolo nei confronti del giocatore, le cose si complicano. Si complicano in qualsiasi modalità di gioco abbiate scelto di godervi Daymare 1998, perché il livello di difficoltà (anche qui, in linea con i titoli del genere dei decenni passati) è tarato verso l’altro. Poche munizioni, poca salute, pochi oggetti curativi, e tanti, troppi nemici da tenere a bada. Di hangar in hangar Liev deve recuperare del materiale e mettersi in salvo, prima che il capitolo iniziale dell’avventura sia terminato. Questa offerta grossomodo viene ripetuta anche nei capitoli successivi con minime variazioni, soprattutto nell’ambientazione: quando la palla passa a Sam, per esempio, siamo nella cittadina limitrofa dove il gas letale ha già diffuso l’altrettanto letale epidemia che porta alla nascita degli zombi. In tutto questo, chiaramente il giocatore deve proseguire e portare a termine obiettivi di volta in volta diversi, massacrando tutto ciò che vede sulla propria strada. Proseguire non sempre è facile, anche se un basilare sistema di progressione sufficientemente intuitivo aiuta nell’orientamento. Di tanto in tanto noterete dei puzzle ambientali da portare a termine, e qui servirà spremersi le meningi. È un bene, abituati da tanti enigmi guidati da un autocompletamento di fondo che a conti fatti lasciano il protagonista insoddisfatto. In Daymare 1998 dovrete davvero tenere a mente ciò che avete visto fino a quel momento, leggere i documenti, studiare gli ambienti, e poi (solo poi) intervenire su un determinato meccanismo. Per esempio su una serie di pulsati con cui interagire in sequenza per attivare una porta. O un minigioco che permette di regolare le temperature di celle criogeniche, affinché soddisfino determinati requisiti.

Gameplay

Il gameplay di Daymare 1998 è studiato con rara intelligenza. Al menù principale, estremamente minimalista, si accompagna un palmare con cui il giocatore può interagire in ogni momento, ma che non mette in pausa l’azione di gioco. Da qui è possibile accedere a tutti gli oggetti presenti nell’inventario, curarsi, studiare la quantità di munizioni disponibili e anche i documenti raccolti fino a quel momento, in una sorta di mini enciclopedia. Ancora, più avanti sbloccherete l’abilità di combinare gli oggetti per crearne di nuovi, più potenti e funzionali. Un sistema di scorciatoie permette di assegnare ad alcuni tasti e comandi specifici oggetti, e qui ovviamente i più utili sono le armi, la torcia e forse un consumabile da utilizzare in volata se soverchiati dai nemici. Estremamente interessante la gestione delle ricariche delle armi, suddivisa in rapida e completa: la seconda è più lenta, ma permette di risparmiare risorse. La prima è più rapida, ma vi costringe a gettare a terra un caricatore vuoto, che comunque vi servirà più avanti, e quindi di volta in volta dovrete raccoglierlo da terra senza dimenticarlo lì.

I nemici sono sufficientemente letali da garantire un perenne stato di ansia e angoscia. Le varie specie di mostri e zombi si moltiplicano (ma senza esagerare) con il proseguire della narrazione: i primi zombi sembrano davvero dei bambini in confronto a quelli che troverete più avanti. Non sempre fare fuoco è la scelta giusta: a volte è meglio risparmiare i proiettili e scappare chiudendosi le porte alle spalle. Ma quando deciderete di sparare, mirate alla testa: i danni sono più letali, e ciò vi permette di fare secchi i nemici risparmiando preziose munizioni. Davvero notevole e curato il comparto grafico/tecnico della produzione, al netto di qualche compenetrazione dei nemici con l’ambiente circostante (ma mai, ci è sembrato, del protagonista). Avremmo gradito avere anche un doppiaggio italiano, anche di media qualità: è lecito attenderlo in un secondo momento?

C’è un pizzico di orgoglio nostrano nell’affermare che Daymare 1998 è probabilmente il videogioco italiano più curato e ambizioso di sempre, capace di competere ad armi pari anche con produzioni dello stesso genere realizzate all’estero. Ci auguriamo che Invader Studios ci riesca ad avere successo con il suo survival horror; e soprattutto che il pubblico riconosca la cura per i dettagli messa in atto dal team di sviluppo. Qualche difettuccio c’è: linearità di fondo, poca voglia di innovare davvero, leggerissime compenetrazioni dei nemici. Ma non ve ne accorgerete neppure, presi da tutto il resto. E poi, comunque, non sono aspetti invalidanti in un survival horror di questo tipo.

La formazione del buon Simone, classe '93, avviene pad della prima PlayStation alla mano, a base di draghi viola, gemme e pecorelle fumanti (del resto è un vero abruzzese). Cresce a pane e Dylan Dog, mostrando fin da subito gravi problemi psicologici e mentali. Tra le altre cose ha ancora paura del buio, e probabilmente Stephen King lo approverebbe. Un paio di lauree in letteratura non gli hanno impedito di diventare uno dei massimi esperti del mondo Nintendo; compensa non riuscendo neppure ad accendere una Xbox. È attualmente ai domiciliari per abbandono dei cagnolini di Nintendogs e omocidio degli abitanti di AnimalCrossing.