Borderlands 3 Recensione

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Borderlands 3 Recensione | Figlio di una gestazione complessa e travagliata, legata anche ad imperscrutabili sviluppi aziendali, Borderlands 3 rientra a buon diritto nel novero dei sequel più attesi di tutti i tempi per gli appassionati dei looter shooter, tipologia di sparatutto che la stessa creatura di Gearbox Software, nata ormai dieci anni fa, ha contribuito in maniera essenziale a definire e poi a canonizzare. Più che a un genere fatto e finito, concetto ormai superato e quanto mai malleabile, ai tempi Borderlands diede vita a una vera e propria filosofia ludica, riuscendo a far coesistere in un solo videogioco uno spiccato dinamismo e una struttura che metteva in risalto dinamiche cooperative e tanta sostanza, il tutto condito da una certa propensione all’umorismo sboccato e triviale, ai limiti del nonsense. Archiviata la triste parentesi del Pre-Sequel di 2K Australia, la serie torna nelle mani del team che l’ha ideata e agli ordini di un personaggio sopra le righe – per usare un eufemismo – come Randy Pitchford. Borderlands 3 arriva a ben sette anni di distanza dal suo diretto predecessore, quel Borderlands 2 che ancora oggi rimane una pietra miliare del casinismo spinto in multiplayer, ed ĆØ proprio lƬ che ricerca la sua identitĆ , ignorando le successive evoluzioni verso il game as a service dei suoi ā€œdiscendentiā€: Gearbox, insomma, ha dato vita a un terzo capitolo per cui il tempo, dopo l’ormai lontano 2012, sembra essersi cristallizzato. Ed ĆØ un bene? Sfortunatamente, non del tutto.

Borderlands 3 ĆØ sempre il caro, vecchio Borderlands

Le basi da cui Borderlands 3 riparte sono ormai ben chiare a tutti, anche grazie ai pomposi ed esageratissimi trailer a cui abbiamo avuto modo di assistere nei mesi passati. La trama recupera direttamente la linea temporale del secondo capitolo, spostandosi in avanti di diversi anni e inscenando un ā€œnuovo inizioā€ nei panni dell’ennesimo cacciatore della cripta, agli ordini dei Crimson RaidersĀ capitanati da Lilith, la sirena dai capelli rossi che ben conosciamo ormai da una decade. Aquila di Fuoco non ĆØ la sola eroina a ricomparire nell’intreccio narrativo e viene anzi affiancata da una serie interminabile di ritorni, uniti a qualche ovvia new entry, che tutti insieme compongono un gruppetto assemblato per opporsi ai cattivoni di turno, i gemelli Tyreen e Troy Calypso.

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I quattro personaggi funzionano e sono ben assortiti.

Ed ĆØ proprio da loro, come per ogni Borderlands che si rispetti, che bisogna cominciare per descrivere una simile pletora di personaggi. Tyreen e Troy, però, faticano a trovare una propria dimensione all’interno del macrocosmo narrativo di Borderlands, anche perchĆ© devono confrontarsi con un’ereditĆ  ingombrante, quella di Jack il Bello, insindacabilmente uno fra i migliori villain che si siano mai visti nella storia dei videogiochi. Una volta che la trama comincia a ingranare, a onor del vero, anche i gemelli hanno i loro momenti e riescono a farsi apprezzare, per via di una caratterizzazione sopra le righe, che parodizza in maniera spinta e irriverente il mondo iperconnesso di oggi, legato in maniera morbosa alla rete e ai social network, ma a mancargli sono più che altro quel mordente e quel piglio tali da bucare lo schermo che rendevano il loro illustre predecessore unico e indimenticabile. Non che non ci provino, intendiamoci, anche visti i diversi colpi di scena che punteggiano la storia e coinvolgono alcuni personaggi storici, ma il risultato finale – anche per via di una scrittura un po’ più fiacca del solito, che non riesce ad esaltare come dovrebbe certi eventi topici, più o meno drammatici – non ĆØ cosƬ poderoso come avremmo voluto e sperato.

Per fortuna le cose migliorano sulla lunga distanza, anche spostando il focus verso i “buoni” e i loro alleati: a spiccare rispetto alla media, per esempio, ĆØ la definitiva canonizzazione dei protagonisti principali di Tales from the Borderlands, che, pur tratteggiati in maniera leggermente differente dalla loro versione telltaliana (Rhys in particolar modo), contribuiscono a dare un’ulteriore iniezione di personalitĆ  al gruppo. Anche per via di un cast di dimensioni sproporzionate e in cui ognuno ambisce ad avere i suoi cinque minuti da protagonista, le vicende proseguono a compartimenti stagni, tenute a stento insieme dalle rivalitĆ  fra le megacorporazioni produttrici di armi e dalla ricerca della Grande Cripta, una leggendaria fonte di tesori e ricchezze, che contrappone buoni e cattivi per tutta la durata dell’avventura. A tratti ĆØ un bene che sia cosƬ: in questo modo le linee narrative che funzionano vengono distintamente messe in risalto e ulteriormente avvalorate da qualche battutaccia inserita al momento giusto e mai banale. In senso generale, e senza troppo concedere alla sottile arte dello spoiler, spiace però che Borderlands 3 rimanga perlopiù ancorato alla sua comfort zone e all’ombra del predecessore, dal quale, dopo tutto questo tempo, avrebbe legittimamente potuto divincolarsi almeno un po’, o almeno provarci.

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Pandora ha le stesse atmosfere di sempre, arricchite da qualche tonalità di colore in più.

Borderlands 3: bentornati su Pandora… e non solo

La divisione e frammentazione delle diverse ripartizioni del racconto viene poi accentuata da uno scheletro di più ampio respiro, che, oltre a Pandora, permette di visitare altri quattro pianeti. Ciò ha permesso agli artisti e agli sceneggiatori di mantenere la spiccata eterogeneitĆ Ā a livello visivo del predecessore, stavolta giustificandola anche in termini narrativi. Saltando di zona in zona a bordo della fida Sanctuary, la nave volante che funge da hub centrale, si percepisce in maniera evidente come gli sviluppatori abbiano cercato di ridurre i momenti ā€œfillerā€, spostandoli per la maggior parte verso la fine della campagna, quando, tornati per un attimo anche su Pandora, si ha modo di visitare un paio di mappe di più ampio respiro, in cui c’è persino spazio per un breve siparietto secondario che recupera e approfondisce parte del passato del dinoccolato proprietario di Stallone da CuloĀ (avete capito a chi ci riferiamo) e della sua famiglia. Simili esempi a parte, Borderlands 3 vive, nella sua interezza, a metĆ  tra auto-referenzialismo e citazionismo spinto, in cui i riferimenti a serie animate, personalitĆ  ed elementi della cultura pop moderna sono all’ordine del giorno. L’elemento che più lo caratterizza, donandogli connotati personali che gli evitano per un soffio l’etichetta di enorme espansione, non si trova tanto nella sovrastruttura narrativa finora menzionata, quanto nel gameplay, nel gunplay e in generale in tutte le meccaniche in qualche modo connesse allo sforacchiare nemici uno dopo l’altro per circa 25-30 ore di gioco.

Pur non rinnegando – e sarebbe stato impossibile – l’impostazione geometrica delle sparatorie, regolate da una moltitudine di valori matematici fra cui moltiplicatori, effetti di stato, difesa, attacco e via dicendo, a Gearbox sono bastate poche modifiche basilari per rendere più fluida l’azione: le sole capacitĆ  di arrampicarsi sulle sporgenze o diĀ scivolare, oltre alla generale maggior rapiditĆ  di tutte le altre animazioni, sono elementi che fanno sƬ che Borderlands 3 sia un piacere da giocare, ancor prima che da ascoltare o vedere. I personaggi a disposizione – Amara, la Sirena; FL4K, il Domatore; Zane, l’Agente; Moze, l’Artigliera – rappresentano un quartetto ben assortito, che offre una mole virtualmente quasi infinita di possibili sperimentazioni: non ci dilungheremo troppo in spiegazioni tecniche, ma sappiate che utilizzare uno piuttosto che l’altro cambia in maniera percettibile il sistema, a cominciare dall’interfaccia e dalla personalizzazione delle super abilitĆ , che, a seconda dei casi, possono assumere connotati estremamente differenti. Ce n’è per tutti i gusti: si va dalla possibilitĆ  di intrappolare i nemici in una morsa di danni elementali al colpire senza pietĆ  con un gigantesco mech, all’evocare companion animali e via dicendo, grazie a uno spettro di opzioni che copre tutti gli stili di gioco, dal più sfuggente al più arrembante. Se gli appassionati di lungo corso troveranno pane per i propri denti e potranno divertirsi a costruire build complesse e diversificate l’una dall’altra, il gioco concede anche l’opportunitĆ  di approcciarsi agli scontri da FPS puro, anche grazie all’introduzione di una modalitĆ  facile, che permette di ignorare gli elementi da RPG espressi nei vari ruoli a disposizione, dei quali tank, DPS e support sono solo la punta dell’iceberg.

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Inutile dire che ci siamo innamorati dei panorami lussureggianti di Eden 6.

Cosa funziona e cosa, invece, proprio non va in Borderlands 3

Ciò che rende Borderlands 3 un vero Borderlands sta però più che altro nella ricchezza, quasi sfrontata, dell’arsenale a disposizione, da sempre vero e proprio marchio di fabbrica della serie. Se l’effettiva quantitĆ  delle armi non ĆØ poi cosƬ esagerata, il vero e proprio trucchetto da prestigiatore sta nel numero di combinazioni, ognuna coi suoi punti di forza e debolezze. Basta impugnare le prime mitragliette e le prime pistole, osservare il modo in cui, usciti vittoriosi dalle prime boss fight, il nemico di turno erutta (letteralmente) nuove infornate di bottino e cominciare a mettere in fila un cambio arma dopo l’altro, anche all’interno della stessa missione, per capire che il lavoro svolto in termini di quantitĆ  del loot a disposizione ĆØ titanico, e rappresenta il vero e proprio cardine di un’offerta che, dopo decine di ore, continua ancora a riservare sorprese. Il voler puntare sulla quantitĆ  piuttosto che sulla qualitĆ  ĆØ sempre stato un elemento fondante dei Borderlands: d’altro canto, però, sappiate che la formula di base ĆØ sempre la stessa che contraddistingue la serie dal 2009, senza alcun tipo di innovazione o soluzione presa in prestito dai successivi pesi massimi del looter shooter, come Destiny o The Division. Ecco a cosa ci riferivamo quando abbiamo detto che Borderlands 3 sembra un titolo rimasto cristallizzato nel tempo: il suo impianto ludico non ĆØ cambiato di una virgola nelle sue caratteristiche fondanti ed ha accuratamente evitato di prendere spunti da questo o quel titolo pubblicato nell’attuale generazione di console, se non in una parte microscopica, legata ad esempio alla gestione di certe abilitĆ . Se da un lato ci si ritrova a proprio agio con la solita vagonata di armi e skill attivabili con cui sperimentare, dall’altro – tolto il maggior dinamismo, per certi versi ovvio – fa terribilmente male al cuore vedere qualche aggiunta apprezzabile (fra cui diverse modalitĆ  di fuoco alternative per alcune armi) affiancarsi a una totale assenza di novitĆ  in ambiti che invece avrebbero avuto un gran bisogno di profonde ristrutturazioni.

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Dei quattro, FL4K è il personaggio che più riesce ad arricchire e variare il tradizionale gameplay di Borderlands.

Ne sono esempi l’interfaccia, ingombrante, complessa, riempita negli anni di tutta una serie di elementi di contorno poco chiari, che poco o nulla fa per snellire l’esperienza di gioco. O il level design, che sfrutta in maniera solo marginale le rinnovate opzioni di movimento, sia per le mappe generiche che per le arene dei boss; più in generale, la strutturazione delle mappe legata alla storia e alla gestione delle quest ĆØ rimasta identica al 2012, compresa anche la possibilitĆ  di accettare e seguire una missione alla volta, senza nemmeno menzionare l’obbligo di seguire il classico NPC di turno per tratti non cosƬ trascurabili degli incarichi principali. Quelli secondari, dal canto loro, si discostano raramente dal ruolo di semplici riempitivi: fanno eccezione alcune questline ben scritte e nel complesso sensate, ma la maggior parte può benissimo essere ignorata, soprattutto considerata la più che sufficiente longevitĆ  della campagna principale e il fatto che raramente vi servirĆ  grindare per affrontare questo o quell’avversario specifico. Le missioni lasciate indietro non ā€œcresconoā€ di livello ed ĆØ quindi inutile affrontarle prima di aver concluso la storia: una volta fatto ciò, però, Borderlands 3 si trasforma, seppur solo in parte, per venire incontro alle esigenze dei puristi e di chi punta a finirlo più volte e con tutti i personaggi. Ad esempio, il livello di tutte le quest insolute viene uniformato a quello del giocatore, il che permette di concludere senza annoiarsi tutti i compiti lasciati in sospeso, oltre alle eventuali sfide e collezionabili disseminati per la mappa, che comprendono radio da spegnere, parti di Claptrap da raccogliere (a proposito, il caro vecchio robottino ha lo stesso umorismo di sempre) e nuovi veicoli da aggiungere al Catch-A-Ride. Le quattroruote che ĆØ possibile guidare, peraltro, includono alcune novitĆ  e possono essere personalizzate in diversi elementi estetici e funzionali, senza, tuttavia, che queste operazioni incidano troppo sulla loro effettiva esperienza d’uso.

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Se amate il caro vecchio casino e volete avere tante opzioni a disposizione, però, forse è meglio usare Moze.

Per raggiungere il tanto agognato obiettivo finale del livello 50 – a meno che i DLC non incrementino il level cap – si hanno a disposizione due strade: ricominciare il gioco nel tradizionale New Game Plus (la modalitĆ  Vero Cacciatore), o, se si punta a un maggior grado di sfida, attivare uno dopo l’altro i tre livelli di Caos, vere e proprie difficoltĆ  aggiuntive, con bonus e malus specifici, legati alle resistenze e alle debolezze di eroi e nemici. In riferimento a questa particolare modalitĆ , tra l’altro, abbiamo trovato piuttosto interessante la possibilitĆ  di riaffrontare i boss – recandosi di nuovo nelle loro arene – a un livello di difficoltĆ  superiore, scelta di design che emula piuttosto bene i raid boss del secondo capitolo. Da quest’ultimo sono stati ripresi anche i livelli duro, ora denominati ā€œgettoniā€, veri e propri strumenti di tuning fine che permettono man mano di potenziarsi in base a diversi parametri, modellati di volta in volta attorno al proprio stile di gioco: la differenza, rispetto a Borderlands 2, sta nel fatto che questi ultimi vengono sbloccati nell’endgame e che – soprattutto – sono legati al salvataggio complessivo e non più al singolo personaggio.

Endgame e considerazioni tecniche

Uno dei pochi elementi mutuati dai lavori di Bungie e di altri colleghi, seppur solo (molto) alla lontana, sta nella volontĆ  di accrescere le attivitĆ  a disposizione nell’endgame, il che, ĆØ bene specificarlo, non arriva a cambiare completamente la filosofia di base, ma se non altro offre qualche possibilitĆ  in più una volta concluso il gioco. Per il momento le alternative a disposizione sono poche: i Terreni di Prova e la Campagna del Massacro, uniche due attivitĆ  a cui ĆØ possibile dedicarsi, non sono neanche lontanamente sufficienti a imbastire una struttura ricorsiva, che possa ripetersi e tenere occupati nel corso dei mesi. Difficile, dunque, capire in che direzione andrĆ  il supporto post-lancio di Borderlands 3. Resta plausibile che, come nel caso dei predecessori, possano arrivare dei contenuti narrativi e basati sull’espansione dell’immaginario proposto nella storia, con al massimo qualche variazione sul tema sullo stile di modalitĆ  più sandbox come l’Underdome del primo capitolo; nel caso in cui invece il team voglia provare a cimentarsi con qualcosa di più ā€œsperimentaleā€, affine ai looter shooter moderni, la quantitĆ  di idee e di novitĆ  che bisognerĆ  mettere in campo dovrĆ  rivelarsi ben più sostanziosa. Nell’endgame e nel supporto post-lancio, poi, si potrebbe osare ancora di più nella cura riposta nei pattern d’attacco dei boss e delle creature più impegnative, per offrire sfide ancor più ardue e che magari richiedano ai giocatori un minimo di coordinazione in più rispetto al livello attuale, limitato alla necessitĆ  di avere sempre qualcuno in campo per evitare il reset del combattimento e alle classiche, reciproche rianimazioni.

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Oltre alla classica camionetta, in Borderlands 3 ĆØ possibile guidare anche quel… coso.

Veniamo infine, come consuetudine, a qualche dissertazione tecnica, in cui ĆØ d’obbligo fare chiarezza e dire la nostra in merito a una discussione che in queste ore sta infiammando i forum. A scanso di equivoci, a livello visivo Borderlands 3 ĆØ splendido. Le immagini parlano da sole: anche grazie al viaggio intergalattico che mette in scena, fra cinque pianeti che non potrebbero essere più dissimili l’uno dall’altro, il gioco di Gearbox espone in bella mostra tutto il suo carattere. Lo stile in cel shading, con ombre molto cariche, contorni netti e colori accesi, ĆØ solo la ciliegina sulla torta di un comparto artistico eccezionale ed ispirato, che amalgama in maniera perfetta quantitĆ  e qualitĆ  e regala ambientazioni dotate di scorci davvero invidiabili. La giungla di Eden 6, punteggiata di elementi che si rifanno a uno stile coloniale, i panorami squadrati e futuristici di Promethea, il misticismo esoterico di Athenas: tutto dimostra un gusto estetico e un’attenzione al dettaglio di primo piano. A tutto questo bendiddio fa da contraltareĀ un profilo tecnico del tutto insoddisfacente, senza nessuna attenuante se non quella dell’avere per le mani un motore poco ottimizzato e che va poco d’accordo con la limitata potenza delle attuali console.

Borderlands 3 propone due diverse modalitĆ  grafiche su PlayStation 4 Pro e Xbox One X: la prima, che privilegia la risoluzione, punta ai 30 FPS ma non riesce neanche lontanamente a mantenerli stabili, specie su console Sony, arrivando a picchi disastrosi quando su schermo si sovrappongono un’infinitĆ  di effetti particellari. Quasi altrettanto deludente ĆØ la seconda, che privilegia le performance e che, pur più piacevole nel suo complesso, oscilla tra i 40 e i 60 FPS senza quasi mai trovare una vera quadra. Noi abbiamo fatto un rapido confronto con Borderlands 2 e The Pre-Sequel, trovandoli più stabili in termini di frame rate, anche su PlayStation 4 e Xbox One base; sappiamo perfettamente che Borderlands 3 ĆØ un titolo graficamente più esoso, ma al contempo spiace constatare che Gearbox non abbia cercato di offrire uno spettro di modalitĆ  grafiche cheĀ quantomeno pareggiasse i risultati dei due predecessori (nati su console di vecchia generazione) sotto ogni punto di vista, fluiditĆ  compresa. Il gioco, infine soffre – su console e in particolare nella seconda metĆ  dell’avventura, quando l’inventario tende ad allargarsi – di una quantitĆ  indicibile di freeze, che rendono anche il semplice aprire e navigare i menu un’operazione talvolta problematica. Da questo punto di vista, se non altro, il problema ĆØ in parte legato anche all’infrastruttura di rete ed ĆØ aggirabile, in una certa misura, giocando in single player e senza connessione attiva: ciononostante, ĆØ comunque lecito sperare nel tempestivo rilascio di un update che risolva la situazione.

Infine Gearbox Software ce l’ha fatta, consegnando nelle mani del pubblico il terzo capitolo della serie che ha plasmato le basi del looter shooter cooperativo. Borderlands 3 ĆØ uno shooter longevo, leggero e divertente, con una campagna non eccelsa come ci saremmo aspettati e la solita, spiccata predisposizione al sollazzo collettivo in multigiocatore, fatto di interminabili corse verso il loot migliore, oltre che condito di un umorismo tutto suo e di un gunplay migliorato. In termini di puro gameplay, un’evoluzione decisa – ma non esagerata – del diretto predecessore, che però non ĆØ stato pubblicato l’altroieri, ma ben sette anni fa. Il videogioco di Randy Pitchford e compagni ĆØ un’opera di non semplice valutazione: arrivato sul mercato quasi incurante dei successivi sviluppi della ricetta ludica che esso stesso per primo ha ideato, si dimostra comunque all’altezza del nome che porta, pur non cambiando quasi nulla nella sua formula di gioco e “dimenticandosi” di smussare imperfezioni che, se potevano essere perdonate per intero nella scorsa generazione, oggi suonano un po’ come una nota stonata nel caso delle migliori esperienze tripla A. Tutto ciò, a conti fatti, permette a Borderlands 3 di rivolgersi unicamente agli appassionati di lungo corso della serie (che, come sempre, troveranno di che divertirsi) e a chi cerca un’esperienza godibile in compagnia. Dopo tutto questo tempo, e lo diciamo con una punta di amarezza, spiace che non abbia provato a fare di più.

Nato nello scorso millennio con una console fra le mani e rimasto per molti anni confinato nel mondo distopico della Los Angeles del 2019, ha infine deciso di uscirne per divulgare al mondo intero le sue più grandi passioni: il videogioco in tutte le sue forme, il cinema (quello vero) e Dylan Dog.