Rambo Last Blood Recensione | Sono passati 37 anni dal film First Blood, in Italia conosciuto come Rambo, e Sylvester Stallone riprende ora in mano il personaggio per l’ultima, eroica, avventura di uno dei più celebri reduci cinematografici del Vietnam. Basato sul personaggio ideato da David Morell, Rambo Last Blood è il quinto capitolo della saga, e arriva a ben undici anni da John Rambo, che aveva “ravvivato” la saga nel 2008. Sono ormai passati decenni da quella terribile guerra del Vietnam, ma Rambo è un uomo ancora tormentato, sempre in guerra. La sua storia non può che andare di pari passo con la Storia americana, ed è così che questo nuovo, e probabilmente ultimo, capitolo arriva ad essere degno figlio dell’era Trump. Rambo si trova infatti ad ingaggiare battaglia contro un gruppo di criminali messicani, colpevoli di aver rapito la sua figlia adottiva per venderla come prostituta. E si sa, mettersi contro John Rambo non è mai una buona idea.
Un Rambo particolarmente crucciato.
Rambo Last Blood: la guerra non cambia mai
La cosa più affascinante, e culturalmente interessante, di questo nuovo capitolo della saga è, come si accennava, il suo essere degno figlio del governo di Donald Trump. Un film estremamente americano, patriottico, forse troppo. A voler seguire un punto di vista del genere sono due i rischi che si corrono: quello di cadere in facili stereotipi, e quello di essere moralmente discutibili. Il film diretto da Adrian Grunberg cade inevitabilmente in entrambe queste trappole, così come i villain del film cadono rovinosamente in quelle di Rambo. È facile infatti ritrovare nel film una serie di stereotipi ormai piuttosto fastidiosi, quasi tutti relegati nei confronti dei messicani. Già solo che per dare l’idea di trovarsi in Messico sia necessario ricorrere nuovamente alle tipiche luci giallo acide è dimostrazione di scarsa inventiva nella messa in scena. Nel momento in cui i personaggi qui rappresentati vengono definiti esclusivamente come criminali, spacciatori e papponi c’è qualcosa che non va. Sembra facile poter non notare queste piccolezze, che in realtà la dicono lunga sulle intenzioni del film. Oltre a ciò, si presentano una serie di scelte narrative, molte delle quali fungono da punto di svolta, che si attestano su posizioni morali dubbie e che facilmente possono trasmettere messaggi culturalmente poco validi. È un discorso questo che sfortunatamente si può applicare a numerosi film, ma che continuamente si spera possa essere sfatato, ma che invece non fa che venire riconfermato. Oltre l’aspetto tematico e morale, il film può ad ogni modo essere apprezzato per il suo genere, per le sequenze d’azione particolarmente avvincenti e i numerosi richiami ai precedenti capitoli della saga, che fa sempre piacere ritrovare, a conferma che in fondo Rambo non è mai davvero uscito dal campo di battaglia. Cambiano le guerre dunque, ma mai la natura della guerra. Dalla giungla del Vietnam si passa ora al confine tra Messico e Stati Uniti, con tanto di riprese aeree del celebre muro a sottolineare la guerra tra le due fazioni.
Rambo: Last Blood, l’evoluzione di un mito
Appare difficile non comparare questo Last Blood con il First Blood. Se quest’ultimo si sposava perfettamente con la natura del personaggio, il quale è prima di tutto un reduce con disturbo post-traumatico, e da qui nasce tutto il suo conflitto, nonché ciò che lo rende affascinante. Tutto questo viene, per forza di cose, a mancare in questo nuovo capitolo. Per quanto Stallone e gli altri sceneggiatori cerchino di inserirvi dei riferimenti, a volte un po’ forzati, appare evidente che con il cambiare delle epoche ciò che lo rendeva interessante venga a decadere. L’originale Rambo era un film di denuncia sociale, cosa che qui invece non sembra poterci essere, facendo risultare Last Blood un classico film di genere, con buona azione e di certo molta più violenza rispetto a quanto visto compiere precedentemente dal personaggio. Un evoluzione probabilmente insolita, forse non delle migliori, ma che sembra porre la parola fine sulla storia di un personaggio che, al pari di Rocky, ha segnato la carriera di Stallone e la storia del cinema.
Si regge dunque su uno strano equilibrio il film, e se da una parte si sbilancia su stereotipi e posizioni morali discutibili, dall’altra recupera con del buon intrattenimento, sequenze convincenti e alcune scelte di regia e sceneggiatura non scontate. Forse non il miglior capitolo conclusivo che si poteva dedicare al personaggio, ma ad ogni modo un film che dimostra l’evoluzione del personaggio in base al cambiamento del contesto sociale e culturale. Come detto all’inizio, questa pellicola è il prodotto di un mondo in subbuglio, e se ciò che vediamo appare contestabile è perché probabilmente è la nostra società ad esserlo.