Deliver Us The Moon Recensione

Deliver Us The Moon

Deliver Us The Moon Recensione | Deliver Us The Moon ĆØ il perfetto esempio di un videogioco sospeso per diverso tempo nell’infernale limbo tra il riuscire a soddisfare le proprie ambizioni iniziali e il dover fare i conti con le reali possibilitĆ  a disposizione dei suoi autori. KeokeN Interactive lo aveva giĆ  pubblicato lo scorso anno su Steam, realizzandolo con un budget ridottissimo e senza nemmeno riuscire a concludere la storia, le cui vicende conclusive avrebbero dovuto vedere la luce, tramite un aggiornamento gratuito, soltanto in seguito. Nel 2019 i piani sono andati un po’ diversamente: il publisher Wired Productions si ĆØ infatti accollato i costi necessari per completare il progetto, che ĆØ stato quindi ripubblicato sulla piattaforma di Valve. Il maggior focus sulla storia di questa nuova versione ha comportato il netto ridimensionamento di altri elementi ludici, fra cui l’esplorazione lunare, privata della possibilitĆ  di svolazzare con il jetpack: ciò ha permesso a Deliver Us The Moon di assumere connotati un po’ diversi e di rientrare nei canoni di un’avventura più lineare, ma non per questo poco sviluppata o avara di sorprese.

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Le fasi prettamente “lunari” si svolgono nella seconda metĆ  del gioco.

Deliver Us The Moon: soli nello spazio

Viste le premesse narrative su cui il team di sviluppo si ĆØ appoggiato fin dalla prima release sulla piattaforma di Valve, ĆØ impossibile aspettarsi un imprinting davvero originale, anzi, ĆØ piuttosto scontato correre con la mente ai grandi capolavori della fantascienza, dai quali si intuiscono da subito le principali ispirazioni; il gioco di KeokeN vive però anche di pause e di momenti riflessivi, anche grazie all’ottima colonna sonora, che contribuisce a creare un’atmosfera davvero suggestiva ed ĆØ uno degli elementi più riusciti, tanto da essere venduta anche separatamente su Steam. Senza nemmeno andare a scomodare i grandi kolossal, esiste un legame altrettanto forte con il poco conosciuto e contemplativo Moon, film del 2009 (di produzione indipendente) diretto dal figlio di David Bowie, Duncan Jones. Proprio da quest’ultimo ĆØ stato recuperato l’horror vacui, la sensazione di trovarsi dispersi, soli nello spazio, sensazione che peraltro distacca con forza il giocatore dal suo alter ego: mentre lo guidiamo nella sua quotidiana routine, saremo proprio noi a percepire con maggior forza un senso di opprimente disagio, di solitudine, di disperato bisogno di parlare con qualcuno in carne ed ossa che non sia il piccolo robottino ASE, recuperato nello spazio e privo, suo malgrado, della parola.

La trama assume da subito i connotati di una post-apocalisse spaziale, che, in un vicino futuro, lega in maniera indissolubile la Terra alla Luna: il nostro pianeta, sull’orlo di una crisi energetica globale, si ĆØ visto per diverso tempo costretto a dipendere interamente dal suo satellite per l’approvvigionamento energetico, pena l’inaridimento dei raccolti e la proliferazione di deserti e tempeste di sabbia sulla quasi totalitĆ  della superficie. Dopo alcuni decenni di relativa stabilitĆ , qualcosa ĆØ andato storto e le comunicazioni, stabilite mediante l’installazione di un enorme ascensore spaziale, che invia energia tramite impulsi a microonde, si sono interrotte: il compito del protagonista, ex astronauta della defunta agenzia spaziale mondiale, ĆØ quindi quello di lanciarsi in una missione disperata e totalmente solitaria per scoprire che fine abbiano fatto i primi coloni, ristabilire i contatti e salvare cosƬ il futuro della Terra.

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A un certo punto vi ritroverete a dover gestire una stazione spaziale alla deriva.

ƈ da qui che, senza troppi complimenti, il gioco ha inizio: la frettolosa introduzione, che ci spinge su un razzo in decollo per fuggire da una tempesta di sabbia, lascia subito spazio all’immensitĆ  del cosmo e alla stazione spaziale che funge da tramite con la Luna, in cui cominciare a prendere confidenza con il gameplay, alla base semplice e minimalista, ma con sviluppi, specie negli stimoli visivi e uditivi, volutamente poco guidati e spesso nascosti nei dettagli più insignificanti. ƈ per esempio il caso delle fasi in prima persona e a gravitĆ  zero, in cui si recupera ben presto una saldatrice che fungerĆ  poi da chiave per sbrogliare alcuni puzzle, non sempre di immediata comprensione, che richiedono di tagliuzzare determinati elementi dello scenario per proseguire. Il suddetto strumento rappresenta una delle poche iniezioni di varietĆ  agli enigmi, che per il resto sono legati perlopiù al premere interruttori e spostare oggetti e limitano le varianti più logiche a casi specifici che, pur interessanti, si riducono ad essere troppo sporadici nel contesto generale. Per la gran parte della sua durata, l’avventura deve fare i conti con una generale ripetitivitĆ  e ovvietĆ  delle soluzioni ludiche proposte, pur affannandosi costantemente a ricercare nuovi stimoli da proporre al giocatore, anche al di fuori delle singole situazioni legate ad azioni ripetitive e meccaniche.

La prospettiva, ad esempio, cambia costantemente dalla prima alla terza persona, ed ĆØ proprio nel primo caso che Deliver Us The Moon tira fuori un’inaspettata anima da rompicapo, senza per questo piegarsi a logiche troppo cervellotiche; in altre sezioni, invece, propone spettacolari sequenze nel vuoto a bordo della stazione spaziale e – una volta giunti a destinazione – la possibilitĆ  di guidare un rover lunare per brevi tratti. Nulla di trascendentale, intendiamoci: se non altro, però, la trama lineare e la struttura quasi mai complessa nĆ© troppo confusionaria aiutano a dimenticare le singole fasi meno ispirate – raccolta di codici per aprire porte e cosƬ via – e a focalizzarsi più sul quadro d’insieme, rendendo tutto sommato piacevole l’avanzamento verso i titoli di coda, raggiunti dopo non più di 7-8 ore, a seconda di quanto tempo si passa a cercare i vari collezionabili sparsi qui e lĆ .

L’unico compagno nel corso dell’avventura ĆØ il robottino ASE: per il resto, al massimo vedrete soltanto alcuni ologrammi.

Questi ultimi, oltre agli sporadici log audio, sono gli unici narratori a cui aggrapparsi per rimettere insieme i pezzi di una storia che, nonostante le semplici premesse, si fa via via più ingarbugliata e che ĆØ facile perdere per strada, mancando magari qualche elemento fondamentale non proprio in bella vista. Spesso, per fortuna, si può fare ricorso a uno scanner, utile a immagazzinare informazioni in un database e riesaminarle più in lĆ : al di lĆ  di queste semplici comoditĆ , però, l’interfaccia finisce per essere un po’ macchinosa da navigare, perdendosi tra mille documenti e mescolando con incredibile superficialitĆ  elementi principali e secondari.Ā 

Lasciati da parte i dettagli, ĆØ impossibile non notare il messaggio politico di fondo: una denuncia, legata ai cambiamenti climatici, atta a dipingere uno scenario futuro che, per il nostro pianeta, ĆØ tanto plausibile quanto terribile. Peccato che il tutto venga raccontato in maniera non troppo approfondita, nĆ© tantomeno partendo dal basso, come avviene nei primi trenta minuti di Interstellar, che narrano le difficoltĆ  quotidiane di Cooper e della sua famiglia. Al contrario, quello di Deliver Us The Moon ĆØ più che altro un anticlimax, che parte forte – in tutti i sensi – e che poi fa quasi sƬ che, tra un enigma e l’altro, ci si dimentichi dell’obiettivo iniziale, che viene recuperato solo nelle battute conclusive. Lo stesso discorso può valere per il comparto ludico, che, se da un lato si ispira – concettualmente – ai picchi di genialitĆ  delle opere di Frictional Games, dall’altro tende troppo spesso a perdersi in enigmi inutilmente ripetitivi, che annacquano eccessivamente un’esperienza dai contorni altrimenti più che buoni.

Deliver Us The Moon si inserisce suo malgrado nell’insieme dei tanti videogiochi indipendenti che si limitano a svolgere bene il compito loro assegnato, senza osare mai, neanche quando – come in questo caso – sembrerebbero poterlo fare. Pur ispirandosi a veri e propri capolavori del cinema e offrendo atmosfere più che degne, ricche di momenti contemplativi e sezioni ben riuscite, il gioco di KeokeN si perde in un bicchier d’acqua quando si tratta di dire la sua anche a livello squisitamente ludico, a tratti peccando di originalitĆ , a tratti ingarbugliandosi su sĆ© stesso e dimostrando una certa superficialitĆ  in enigmi che avrebbero facilmente potuto essere pensati in maniera più furba. Resta comunque piacevole da giocare dall’inizio alla fine, complice la sua – mai eccessiva – linearitĆ  e alcune buone trovate, e potrebbe piacervi se siete alle prime armi con esperienze del genere e cercate un titolo senza troppe pretese, o, più banalmente, se amate le avventure spaziali.

Nato nello scorso millennio con una console fra le mani e rimasto per molti anni confinato nel mondo distopico della Los Angeles del 2019, ha infine deciso di uscirne per divulgare al mondo intero le sue più grandi passioni: il videogioco in tutte le sue forme, il cinema (quello vero) e Dylan Dog.