The Outer Worlds Recensione

The Outer Worlds Cover

The Outer Worlds ĆØ davvero una strana creatura, sia per le particolari condizioni in cui ĆØ nato, sia per le contaminazioni creative che hanno ispirato Obsidian Entertainment e i suoi due principali autori, Tim Cain e Leonard Boyarsky. In apparenza bollato come un semplice ā€œcloneā€ di Fallout, quel sequel di New Vegas che lo studio americano avrebbe sempre voluto realizzare, l’ultimo nato dalle menti dei due veterani della game industry ĆØ in realtĆ  molto di più, e mette insieme una struttura di gioco invero piuttosto classica – d’altronde sarebbe stato difficile aspettarsi diversamente – con un insieme di ispirazioni a dir poco unico, che pesca a piene mani e in maniera trasversale dal grande e piccolo schermo, da fumetti, serie animate e chi più ne ha più ne metta.

C’è l’atmosfera western-sci fi e l’idea di un vascello di contrabbandieri spaziali di Firefly, ci sono il dark humor e le megacorporazioni di Futurama, nata dalla matita di Matt Groening, e c’è anche quella vena paradossale propria della fantascienza d’autore anni ā€˜70 e ā€˜80 e di penne come quella di Douglas Adams (Guida Galattica per gli Autostoppisti).Ā Il risultato ĆØ una space comedy che, pur ricalcando le basi ruolistiche dei Fallout – sia quelli in due dimensioni che quelli in 3D – si distingue proprio per una storia, una scrittura e un immaginario completamente diversi, che rimescolano diverse suggestioni per dar vita a un’opera caratterizzata da un umorismo del tutto personale e, a modo suo, persino originale.

The Outer Worlds

I companion e i principali NPC sono dotati di un umorismo tutto loro e di capacità uniche, che tornano utili nei momenti più inaspettati.

The Outer Worlds, il gemello diverso di Fallout

Si percepisce, fin dalle basi narrative di The Outer Worlds, la sapiente mano del duo menzionato poc’anzi, responsabile, insieme a Feargus Urquhart, dell’epoca d’oro degli RPG anni ā€˜90, nella leggendaria Interplay. Tolto l’incipit, che, pur in medias res, parte piuttosto lentamente e sboccia soltanto dopo molte ore di gioco, la qualitĆ  dei dialoghi ĆØ spesso sorprendente e si regge su un’insieme di interazioni e di rapporti studiato in modo che ogni personaggio faccia la sua parte e rappresenti, nel suo piccolo, un tassello ben preciso di un enorme schema. Di questo tratto identitario, da sempre centrale nei videogiochi diĀ Obsidian, ci si comincia a rendere conto nel momento in cui il protagonista inizia ad essere attorniato di altri personaggi, siano essi compagni, alleati o presenze ostili. Non servono che pochi minuti per passare da un profondo sonno criogenico – dal quale si viene tirati fuori da Phineas Welles, scienziato ricercato dalle autoritĆ  e anche un po’ matto – al diventare capitano dell’Inaffidabile, una scalcagnata nave alla deriva su Terrarium, uno dei pianeti che compongono il sistema di Alcione, ad interloquire con ADA, stramba IA i cui processi logici la obbligano ad identificare il protagonista con il vecchio capitano della nave, scambio di persona di cui, peraltro, ĆØ del tutto consapevole.

Basta dare uno sguardo al menu di creazione del nostro alter-ego per rendersi conto dell’impostazione tradizionale che sorregge e permea la creatura di Obsidian: ogni elemento ĆØ interamente personalizzabile e gestibile, dagli skill point – suddivisi in vari rami – alle capacitĆ  fisiche e mentali, passando per i bonus attitudinali e per un sistema di vantaggi che consente di sbloccare, una dopo l’altra, tre classi di specializzazione. Gli attributi, suddivisi in tre macro-aree (Corpo, Mente, PersonalitĆ ), sono gli elementi che, in pieno stile Fallout (le similitudini a livello ludico sono davvero tantissime), esprimono sul campo tutta la ā€œbiodiversitĆ ā€ di cui un organismo complesso come The Outer Worlds gode.Ā All’atto pratico, la libertĆ  che il gioco ci consegna nelle mani ĆØ incredibile: nel corso dell’avventura, possiamo infatti gestire la situazione come meglio crediamo e interpretare qualsiasi ruolo, nell’ambito di un sistema dialogico che pone ancor meno vincoli rispetto al vicino “parente”.Ā  Di tutto ciò gli sviluppatori sono perfettamente consapevoli: in sede di recensione ci hanno addirittura invitato a cominciare più partite, per scoprire effettivamente tutte le strade che ĆØ possibile imboccare quando ci si trova di fronte a una scelta.Ā 

The Outer Worlds

Le schermate di caricamento, simili a volantini propagandistici, sono visivamente splendide e riflettono le scelte fatte in gioco.

Nello spazio, ness-tutti ti sentono urlare

Quanto partorito da Obsidian rappresenta la perfetta commistione fra narrativa e gameplay, e, più nello specifico, fra le possibilitĆ  a disposizione e i requisiti necessari per sbloccarle. In tal senso, gli sceneggiatori hanno fatto un ottimo lavoro nel mantenere un equilibrio costante per tutta la durata dell’avventura, sia per le quest principali che per la maggior parte delle secondarie.Ā Di positivo, rispetto per esempio a Fallout 3 e New Vegas, c’è che nessuna scelta ĆØ davvero percepibile ā€œa pelleā€ come giusta o sbagliata: molte volte dovrete affidarvi unicamente alle vostre preferenze e sensazioni, anche ragionando in termini di pura convenienza, oppure, banalmente, in base alla simpatia o all’antipatia verso questo o quel personaggio. Non parliamo più, dunque, di un sistema per cui esiste un percorso ā€œbuonoā€ e uno ā€œcattivoā€, ma di un qualcosa di più evoluto e stratificato, in cui questa dicotomia, in senso generale, non appartiene tanto ai punti karma, quanto ai rapporti che si intende instaurare con le fazioni, veri e propri centri polarizzanti attorno a cui gravita gran parte del tessuto narrativo di The Outer Worlds, che, come scoprirete ben presto, sono spesso in conflitto fra loro, su diverse scale.

Fare favori ad una, di conseguenza, comporta il far sƬ che la sua ā€œnemicaā€ diventi pian piano a noi ostile, in un contesto che si basa parecchio sui rapporti di forza e sullo scegliere una nostra ā€œstradaā€ all’interno di una vera e propria partita a scacchi basata sul costante mantenimento di questo o quell’equilibrio. Non solo, intrattenere relazioni più strette con le une o con le altre (alcune sono attive nel settore alimentare, altre in quello minerario, altre ancora in quello militare) può sbloccare determinati vantaggi: proprio per questo ĆØ importante prendere determinate decisioni con oculatezza e in riferimento all’archetipo di personaggio che si vuole interpretare.Ā Il rapporto con le mega corporazioni ĆØ un elemento centrale nella progressione delle vicende, tanto da avere una propria schermata riepilogativa all’interno del completissimo menu di gestione del personaggio, che, per il resto, ĆØ strutturato in maniera tradizionale, con qualche accortezza volta a rendere meno complesse le operazioni di livellamento e un sistema di tratti sbloccabili al raggiungimento di determinate condizioni, utili per ottenere questo o quel bonus attivo o passivo.

The Outer Worlds

In The Outer Worlds non esiste una vera “paritĆ ” fra le fazioni: alcune sono più “militarizzate” e organizzate di altre.

Senza scendere troppo nei dettagli – si tratta di un sistema talmente classico che farlo equivarrebbe a spiegare il funzionamento del cambio e del volante in un’automobile – vi basti sapere che ogni avvenimento ha una sua spiegazione logica all’interno dei menu e sotto-menuĀ e del modo in cui abbiamo costruito e plasmato il nostro eroe. Se ad esempio siamo dotati di una buona parlantina possiamo intortare questo o quel personaggio con le parole, arrivando a ottenere ingenti bonus o, nel caso di un nemico, convincendolo ad arrendersi; al contrario, possiamo affrontare ogni dialogo nella maniera più aggressiva e intimidatoria possibile, ricorrendo anche alle mani quando necessario, senza nemmeno menzionare la lunga lista di possibilitĆ  collaterali, dall’hacking, alle capacitĆ  di scassinamento e di furtivitĆ , alla propensione al comando e all’ispirazione. Queste ultime non sono affatto da sottovalutare, perchĆ© si legano profondamente alla necessitĆ  di gestire diversi companion, arruolabili nell’equipaggio della nave e reclutabili in missione fino a un massimo di due, ognuno col suo menu di gestione e addirittura un livello e vantaggi separati. La creazione di una vera e propria ā€œciurma spazialeā€, come novelli Malcolm Reynolds, ĆØ un altro degli elementi caratterizzanti della trama: ben presto si può avere a disposizione una nutrita schiera di spalle e aiutanti, che non si limitano ad assisterci in battaglia, ma spesso – nel corso della storia – partecipano essi stessi alle discussioni più importanti, dando vita a dialoghi recitati in maniera corale, in cui, tuttavia, si sente – e non poco – la mancanza del protagonista, sia esso maschio o femmina, che resta affetto dal solito mutismo tipico degli RPG vecchia scuola. Al contrario, invece, gli NPC sono spesso eccessivamente logorroici, e a volte può accadere che dettagli importanti per la comprensione del racconto si perdano in enormi fiumi di parole: fortunatamente, però, la gran parte delle battute resta facoltativa, e quelle accessibili raggiungendo una specifica soglia di punti abilitĆ  sono sempre ben evidenziate. Quando attivate, queste ultime ricompensano con un quantitativo variabile di punti esperienza, il cui ottenimento, oltre a scelte dialogiche, sono legati perlopiù al combattimento e all’esplorazione.

Pur con tutte le sue debolezze tecniche, anche su console il gioco di Obsidian mantiene la sua carica evocativa.

Ruggini e arcobaleni spaziali

ƈ qui che si comincia ad entrare nel vivo dell’azione, ed ĆØ anche qui che The Outer Worlds nasconde alcune delle sue magagne più evidenti, elementi, dovuti al ridotto budget a disposizione per lo sviluppo, che l’arguta scrittura di Cain e Boyarsky non ĆØ riuscita del tutto a dissimulare. L’avventura poggia su uno scheletro semi-open world, chiaramente giustificato dal contesto narrativo: ci si ritrova, cosƬ, a saltare di pianeta in pianeta, avendo modo di esplorare una serie, numericamente abbastanza corposa, di macroaree slegate fra loro. Ognuna, più o meno legata alla storia principale, permette di svolgere una serie di quest ben specifica e che spesso si snoda su più di un corpo celeste: talvolta, però, accade che determinati obiettivi si sovrappongano e che una missione richieda il concomitante completamento di un altro sotto-obiettivo per essere portata a termine, nell’ambito di un quadro contorto (anche volutamente) e non sempre intuitivo, anche alla luce dei tantissimi parametri di cui tener conto.Ā Nella struttura ludica si sente piuttosto forte quella sensazione da ā€œvorrei ma non posso per cause di forza maggioreā€, che si esprime anche negli ordini impartibili ai compagni, un sistema, confezionato in maniera fin troppo frettolosa e priva di vere e proprie stratificazioni, che il più delle volte finirete per ignorare del tutto.

In generale ĆØ mancato un po’ di coraggio nell’implementare tutta una serie di accorgimenti che avrebbero certamente reso ancor più concreto lo sterminato sistema di sviluppo ruolistico, al contempo moltiplicando la piacevolezza del ludico peregrinare nelle lande desolate e nelle stazioni spaziali di Alcione. In questo senso non ĆØ difficile comprendere perchĆ© Microsoft voglia puntare a rendere la nuova IP di Obsidian un franchise fatto e finito, in modo da produrre e finanziare lei stessa un eventuale sequel. CosƬ facendo, in effetti, verrebbero smussate imperfezioni e mancanze, sia in termini di design, perlopiù abbastanza piatto (immaginatevi ogni area come una sorta di ā€œFallout istanziatoā€), che nell’ambito di un sistema di sparatorie fin troppo ingessato, privo di mordente e legato quasi unicamente a parametri matematici, con giusto qualche power up – fra cui un bullet time attivabile a piacimento e ricaricabile – a dare un minimo di connotazione personale. Abbastanza abbozzato ĆØ anche il sistema di interazione con l’ambiente, che si esprime nella possibilitĆ  di nascondersi nell’erba alta e in poco altro, senza peraltro dare spazio a vere e proprie meccaniche stealth o a una convincente gestione tattica degli scontri.

Il menu di gestione del personaggio (con possibilitĆ  di gestire autonomamente i companion scelti) ĆØ estremamente complesso.

Non che il tutto sia necessariamente un male assoluto: se siete disposti a sacrificare un (bel) po’ d’azione per poter intervenire maniacalmente su ogni parametro dell’equipaggiamento e personalizzare armi e armature sui banchi da lavoro (non aspettatevi di raggiungere la varietĆ  di un Borderlands, però), The Outer Worlds saprĆ  comunque divertirvi, per un bel po’ di ore, che superano la ventinaĀ per main quest e secondarie e vanno anche oltre nel caso ci si dia al completismo sfrenato o si comincino nuove run ad altre difficoltĆ . Ad esempio, ilĀ livello Supernova (il massimo possibile) trasforma The Outer Worlds in un vero e proprio survival, nel quale bisogna avere l’accortezza di mangiare e bere, oltre che di gestire attentamente i propri salvataggi. Si tratta, in tal caso, dell’esperienza più completa, ottenibile soltanto in questo modo: abbassando il livello di gioco, infatti, l’intero complesso di oggetti utili a ottenere bonus temporanei si rivela del tutto accessorio e lascia campo libero allo stile da sparatutto più classico e tradizionale.

ƈ bene precisare che chi sa a cosa va incontro non farĆ  troppa fatica a passare sopra a certi difetti in nome di un’esperienza inconfondibilmente autoriale, i cui contrasti vanno messi in conto fin da subito per poterla apprezzare al meglio. Ne ĆØ un esempio anche l’incredibile linea di demarcazione che separa il comparto artistico da quello tecnico: nel primo caso, forte di un’ispirazione visiva impareggiabile e di atmosfere uniche, The Outer Worlds rappresenta probabilmente una delle sorprese più incredibili di questa generazione, sintesi perfetta tra il post-apocalittico di marca sci-fi e un’avventura spaziale Ć  la No Man’s Sky, con contaminazioni visive un po’ ovunque e scorci mozzafiato su ogni pianeta ci si trovi a visitare. Peccato che, su console (in particolare sulle macchine di Sony), il tutto venga annacquato e sbiadito da un motore grafico non all’altezza, con sfondi non esattamente a fuoco e texture che troppo spesso passano in pochi secondi dal ā€œbuonoā€ allā€™ā€imbarazzanteā€. PlayStation 4 Pro, in particolare, ĆØ priva del supporto al 4K nativo, il che restituisce un’immagine un po’ più impastata e generalmente non all’avanguardia: in attesa della versione PC, senza alcun dubbio la più performante, noi non possiamo far altro che mettervi al corrente della situazione, invitandovi a guardare analisi approfondite in rete o a provare direttamente il gioco se ne avete la possibilitĆ . Del resto, non ĆØ qui che l’opera di Obsidian nasconde i suoi maggiori pregi, e questo, in fondo, lo sapevamo tutti: fortunatamente, i problemi tecnici vengono tamponati da un ottimo comparto sonoro, con musiche che rendono perfettamente l’atmosfera da western spaziale, e un doppiaggio – pur solo in lingua inglese – nettamente superiore alla media. Peccato per la mancanza di un’opzione che consenta di ingrandire i sottotitoli, che ci auguriamo venga aggiunta tramite un futuro update.

Non aspettatevi, da The Outer Worlds, la carica innovativa di un The Witcher 3, di un Red Dead Redemption 2 o di un Breath of the Wild: nel gioco di Obsidian Entertainment non troverete assolutamente nulla di tutto ciò (ed ĆØ quasi ovvio ribadirlo, ma di questi tempi…). Eppure, pur coi suoi contrasti, si tratta di un’avventura spaziale divertente, ben confezionata e che ha il suo perchĆ©, specie per gli appassionati di un certo tipo di narrativa sci-fi, ricca di umorismo e citazionismi, che sapranno giĆ  a cosa vanno incontro. Quel che vi ritroverete davanti ĆØ una sorta di ā€œgemello diversoā€ della serie Fallout, fatto di una storia a suo modo coinvolgente, pur lenta a ingranare, una scrittura intelligente e la solita tonnellata di contenuti che ci si aspetta da un videogioco di questo tipo. Di converso, The Outer Worlds non ĆØ affatto scevro di difetti, dovuti per la maggior parte a valori produttivi non cosƬ elevati e a un generale impianto tradizionale e tradizionalista, da sempre marchio di fabbrica dello studio di Irvine. Difetti che, una volta compresi e assimilati, possono diventare addirittura un modo per apprezzarne di più i pregi, che diventano del tutto chiari solo sulla lunga distanza. A quel punto, però, lo avrete giĆ  abbandonato, o ve ne sarete innamorati, a seconda dei casi.

Nato nello scorso millennio con una console fra le mani e rimasto per molti anni confinato nel mondo distopico della Los Angeles del 2019, ha infine deciso di uscirne per divulgare al mondo intero le sue più grandi passioni: il videogioco in tutte le sue forme, il cinema (quello vero) e Dylan Dog.