The Irishman Recensione

The Irishman

The Irishman Recensione | Trovare le parole adeguate per un articolo spesso non è così immediato, specialmente se ci troviamo di fronte ad opere talmente gigantesche  nel loro contenuto da richiedere parecchio tempo per essere metabolizzate, comprese e sentite nel profondo. Se, infatti, nel momento della proiezione, siamo completamente attenti su ciò che accade su schermo, molte delle cose che avvengono le avvertiamo solo per via inconscia e alcune di queste riusciamo ad afferrarle solo dopo aver meditato a sufficienza. Aggiungendo anche alla formula una durata complessiva di quasi 3 ore e 30 minuti di girato, è piuttosto evidente come la stesura di una recensione in tempi brevi sia in qualche modo ostacolata da una serie di problematiche oggettive. La soluzione? Attendere, pensare e riflettere e finalmente arrivare all’agognata meta: un testo che possa avvicinarsi a narrare la variopinta ruota di sensazioni che la pellicola in questione ci trasmette. Troppe o poche parole? Non è importante, quello che conta è parlare sinceramente di ciò che abbiamo genuinamente provato. Nessuna vittoria o sconfitta, quindi, ma la narrazione di un’esperienza senza precedenti, che forse non ci scorderemo mai. Signore e signori, ecco a voi The Irishman di Martin Scorsese, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma.

The Irishman

Jimmy Hoffa (Al Pacino) fu braccato per anni da Robert Kennedy, a capo del sistema giudiziario durante la presidenza del fratello.

The Irishman: tra vecchio e nuovo

Il leggendario filmmaker americano si affida a Netflix per produrre una mastodontica opera, gigantesca sia a livello di lunghezza effettiva che di materiale vero e proprio. L’esponente della Nuova Hollywood riesce, contemporaneamente, ad essere sia moderno che vintage, in un sapiente connubio che sicuramente è da considerare uno dei punti di maggiore forza della realizzazione. Un ossimoro, apparentemente, che però deve essere sviscerato nel dettaglio per essere compreso appieno. La componente che da un’importante voce al passato è il suo ritorno ad uno dei generi maggiormente apprezzati negli anni precedenti: i gangster movie, in modo particolare The Irishman si rifà direttamente a Quei Bravi ragazzi (lungometraggio uscito nel 1990), con il quale condivide non solo parte del cast, ma anche la macro struttura, volta a narrare una storia di criminalità a tutto tondo, dalle prime battute, fino all’esplosione dei colpi, delle scorribande, delle stragi, e alla conclusione, tragica o agrodolce che sia. L’aspetto invece più innovativo è da rintracciare nell’uso di una tecnologia totalmente digitale, il de-aging, strumento che è servito per ringiovanire e invecchiare i vari personaggi del lungometraggio. Badate bene: questo escamotage totalmente artificiale è già stato usato più volte nel cinema, ma non in maniera così massiccia e non coinvolgendo un numero così elevato di attori che la subiscono. Il risultato è decisamente incredibile ed oltre ad avere un importanza tecnica mostruosa, è un ottimo pretesto per costruire intelligentemente ogni arco narrativo delle varie figure presenti che ovviamente cambiano e si evolvono a seconda del momento della vita che affrontano. Ma l’uso del computer è nullo se non è supportato da un cast strabiliante, capace di cambiare espressione, crescere, peggiorare, subire l’influsso dell’inesorabile tempo. Ecco che entrano in gioco tre colossi della settima arte: Al Pacino, Robert De Niro e Joe Pesci.

The Irishman

Da semplice autotrasportatore, a sicario implacabile, Frank Sheeran (Robert De Niro) ha avuto decisamente una vita avventurosa.

The Irishman: Un trio di leggende e la totale libertà che gli offre il film

La relazione che li lega è di tipo criminale, ovviamente: abbiamo un pezzo grosso della mafia, Russell Bufalino (Pesci), un camionista che diventa ben presto un pezzo da novanta della criminalità, Frank Sheeran (De Niro) e un implacabile e irascibile sindacalista che fa accordi a destra e a a manca, Jimmy Hoffa (Pacino). L’alchimia tra i tre è palpabile e magica e, forse, senza nulla togliere alle magistrali e perfette interpretazioni individuali, i momenti più interessanti sono quelli che li vedono insieme su schermo.  Sembra di assistere a delle gare di bravura in cui i singoli interpreti danno prova del loro talento, creando uno spettacolare interazione tra di loro ed è meraviglioso assistervi. I mostri sacri in questione hanno però davvero moltissimo spazio all’interno della pellicola, interamente per merito della sua durata imponente. La sceneggiatura, quindi, ha tutto il tempo necessario per plasmare personaggi fatti e finiti, che nascono, crescono e si sviluppano, e gli interpreti riescono a prendersi tutti i minuti necessari per riuscire a curare ogni minimo dettaglio. La ricerca della perfezione può essere un altro leitmotiv del lungometraggio: le star protagoniste si muovono davanti ad un background monumentale che supporta ogni singolo loro gesto e movimento. La musica? Puntuale e centellinata, mai troppo presente o fastidiosa, in poche parole, ben calibrata. La fotografia? Viva e pulsante, sia nell’oscurità che nella luminosità dell scene. E la regia. Qui parte l’ovazione e un sincero ringraziamento per uno degli maestri più importanti del cinema, che a 76 anni, continua ad essere un insegnante perfetto, un maestro per vecchie e nuove generazioni, una mano sulla cinepresa, elegante, posata, raffinata in ogni piccolo aspetto. Quello che resta nella realizzazione, al di là di tutta questa stupenda estetica, è la vita e la sua tragicità, le amicizie e i tradimenti, gli affetti e l’implacabilità della morte, in una danza collettiva e che celebra armonicamente e in maniera totale le tematiche sopra menzionate, che vanno a rappresentare la nostra stessa esistenza ed esperienze che facciamo nel corso degli anni.

The Irishman non è decisamente un film come tutti gli altri: in controtendenza con l’industria, a fronte di una durata di quasi 3 ore e 30 minuti, riesce ad esprimere al meglio tutti i singoli aspetti inseriti, sfruttando ogni singola risorsa fino all’ultima goccia. Un imponente massa di contenuti, di gioie e dolori, di sprazzi della storia americana e di pure e semplici emozioni, che possono spaventare facilmente un pubblico generalista, ma che offrono agli appassionati di cinema e del regista, un imponente ed emozionante esperienza audiovisiva che ha pochi rivali nella storia del medium. Dopo la prima visione rimarrete stupefatti e sconcertati, oppressi dalla quantità incredibile di materiale appena visionato, ma dopo qualche ora il tutto si trasformerà in un meraviglioso incantesimo che solo il cinema riesce a dare: l’irrealtà diventa concreta, facendo parte del nostro vissuto e trasmettendoci un bagaglio corposo di emozioni sconfinate.

Massimiliano è un amante a tutto tondo dell'intrattenimento, dal cinema e serie tv fino a passare ai videogiochi. Sincero appassionato del mondo Marvel, di Star Wars e della cultura pop, nel tempo libero divora libri e graphic novel di qualsiasi tipo, con la predilezione per Moore e Gaiman. Sogna in futuro di diventare uno scrittore talmente tanto influente, da poter governare la mente dei suoi lettori, e ci sta lavorando con molta costanza!