The End of The F***ing World, Recensione della seconda stagione

The End of The F***ing World
Alyssa è pronta a sposarsi (?)

Tra tutte le serie con cui Netflix ha deciso di accaparrarsi il target di pubblico teen (Sex Education, Baby, Élite), The End of The F***ing World è decisamente il prodotto più atipico. Perché tutte quelle prerogative che, sulla carta, parevano virare verso il più classico dei coming-of-age, nelle mani di Charlie Covell sono diventate espedienti per mettere in scena una dark comedy-drama spassosa, che riesce ad intrattenere davvero tutti.

Un nuovo viaggio ha inizio

Il primo episodio di questa seconda stagione della serie, ispirata alla graphic novel di Charles Forsman, inizia in una maniera che non ti aspetti: un nuovo personaggio viene presentato agli spettatori. È Bonnie (Naomi Akie), una ragazza di colore cresciuta in una famiglia particolarmente rigida che, nel corso dei minuti, si scoprirà voler uccidere Alyssa e James (interpretati anche stavolta da Jessica BardenAlex Lawther).
Inizia così un nuovo road movie dalle modalità espanse, concepito per essere divorato al ritmo di 19-22 minuti ad episodio.
Ad un certo punto Bonnie, Alyssa e James si ritroveranno in macchina insieme e sarà proprio allora che il format riattingerà a tutto quel corollario di azione, black humor, denuncia sociale e ricercatezza formale che già si era visto nella prima stagione della serie.
Perché, visti i pareri positivi che avevano accompagnato l’esordio, anche queste nuove puntate di The End of The F***ing World seguono lo stile di regia già sperimentato in passato. E allora eccoci di nuovo alle prese con una confezione indie-friendly che fa all-in sul repertorio musicale folk e sull’abbigliamento stravagante dei suoi protagonisti. Ma attenzione anche all’evoluzione dei caratteri, stavolta alle prese con situazioni emotive più complesse, da affaccio nel mondo degli adulti (si veda il matrimonio di Alyssa…).

The End of The F***ing World

Gioventù, Amore e Rabbia: sembra un film di Tony Richardson

Ciò che più convince di questa operazione è allora la capacità di tenere insieme immaginari apparentemente lontanissimi. Dentro The End of The F***king World c’è infatti il post-cinema dei giorni nostri, c’è un lavoro sulla suddivisione degli episodi che fa pensare ad una sorta di ibrido tra web-serie ed i formati più lunghi; poi però c’è anche la Storia, quella con la esse maiuscola. Ed in particolare si allude alla capacità di restituire dei personaggi che, con le complessità tipiche di chi ha la loro età, tengono assieme decenni di storia del cinema inglese. Con The End of The F***king World infatti si chiude un cerchio iniziato coi ragazzi ribelli del Free Cinema, con i lavori degli anni ’60 firmati da Lindsay Anderson e Tony Richardson (Gioventù, Amore e RabbiaIo sono un campione, Ricorda con Rabbia e tanti, tanti altri…), passando per le gang di punkabbestia raccontate da Shane Meadows in This is England (film e serie).
Il plot della serie è dunque un magma pulsante, un terreno sconnesso sotto cui ribolle ancora tutta la ribellione, la sete di riscatto nei confronti dell’establishment che già si percepiva cinquant’anni fa. Allora, delle due l’una: o in Inghilterra le cose non cambiano mai, oppure il lavoro di Charlie Covell riesce ad aggiornarsi e ad intercettare i nuovi disagi dei ragazzi contemporanei.

https://www.youtube.com/watch?v=PrwYpwhLck0

In definitiva, questa nuova stagione di The End of The F***ing World garantisce ore di spettacolo e feroce denuncia sociale, distinguendosi così come uno dei prodotti Netflix migliori per capacità di intercettare spettatori diversi, garantendo a tutti un altissimo grado di appeal nei confronti della storia. 

Gianluca la passione per il cinema la scopre a 4 anni, quando decide che il suo supereroe nella vita sarà sempre e solo Fantozzi. 
Poi però di quella passione sembra dimenticarla fin quando, un giorno, decide di vedere uno dietro l’altro La Dolce Vita di Fellini, Accattone di Pasolini e La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino. Da quel momento non c’è stato verso di farlo smettere di scrivere e parlare di cinema, in radio e su portali online e cartacei. 
Vive a Roma perché più che una città gli sembra un immenso set su cui sono stati girati chilometri e chilometri di pellicola. 
Odia le stampanti.