Intervista a Bryan Ronzani: lo streaming tra scetticismo e esports

Bryan Ronzani

Il mondo dello streaming è cambiato per sempre. Bussano alle porte di questa nuova Era dell’industria videoludica tecnologie all’avanguardia e veri e propri pionieri del mercato, basti pensare a Google Stadia. In Italia il termine “innovativo” si scontra troppo spesso con il duro cemento dello scetticismo e del pregiudizio. In un mondo in corsa tra esports e streaming, l’Italia trova a fatica la bussola per il futuro, che ad ora è affidata a pochi coraggiosi giovani del settore. Uno di questi è Bryan Ronzani, speaker di Radio 105 e presentatore esports di alto livello in territorio nazionale, ormai reduce da anni di streaming professionale e galvanizzanti introduzioni da palcoscenico. Il progetto che però l’ha reso protagonista del mondo dello streaming è stato il suo programma The Box: il primo Late Show in onda su Twitch che, citando una delle sue frasi, non è altro che “un unboxing di content creator”; ove tra talk e podcast si è cercato di andare oltre la figura del mero gamer. Nell’intervista che ho avuto il piacere di fargli, ho sottoposto diversi temi profondamente attuali e abbiamo aperto un dibattito sulla situazione in Italia. Prima di lasciarvi all’intervista ringraziamo Bryan per la sua disponibilità, buona lettura!

Bryan Ronzani e Ivan Grieco – The Box puntata n. 05 – 14 marzo 2019

 

Sei un’artista stratificato e artisticamente poliglotta, ti ho visto molto spesso nei panni del presentatore a PG Esports e Milan Games Week, come ti sei approcciato a questo mondo?

Io sono principalmente uno speaker radiofonico, ma mi sono approcciato al mondo del videogioco sin da piccolo. Tra tutte le mille cose che ho fatto, l’unica costante da quando ero bimbo ad oggi e che ho sempre giocato pesantemente. Quando avevo 6 anni ho ricevuto il primo Nintendo, alla cresima ho desiderato ardentemente Metal Gear Solid, e grazie a Final Fantasy 7 ho imparato l’inglese; il tutto culminò quando conobbi Counter Strike al suo preludio. Quest’opera in particolare l’ho amata e giocata anche seriamente, non sono mai stato un utente accanito a livello agonistico, anche se ho partecipato a varie competizioni, trai quali una finale nel 2011 a Milano, in cui, ai tempi, c’era bisogno di portarsi addirittura il PC da casa. Dato che Radio 105 era Media partner alla Milan Games Week, mi hanno proposto come presentatore data la vasta conoscenza nell’ambito e, grazie anche al magistrale impegno di PG Esports, ad oggi sono al quarto anno di attività sul palco e conosco molto bene il mondo dell’esports.

Quale pensi sia la situazione Esports in Italia e come la reputi paragonata agli altri paesi? Credi ci sia bisogno di cambi di marcia importanti per adeguarsi?

Noi abbiamo una tradizione diversa di altri paesi. In Italia abbiamo una cultura radicalizzata e ormai nasciamo quasi con il pallone in mano. Facciamo molta fatica a rinnovarci e ad accettare che ci siano opportunità di tale rilevanza. Dalle mie parti a Pescara, difatti, quando persone di mezz’età mi chiedono “Cosa fai nella vita?”, e io gli rispondo “Content creator”, mi denigrano in dialetto con un sonoro “Ma vai a lavorare”, proprio perché c’è una difficile accettazione del nuovo e noi siamo i primi scettici quando si tratta di confrontarci con il progresso. La società influenza – nel bene e nel male – il mondo e il suo sviluppo. Ad esempio, Io ho fatto 13 anni breakdance, danza che nasce negli Stati Uniti, eppure negli ultimi 15-20 anni i coreani sono top in questa categoria e hanno superato gli occidentali. La Corea culturalmente non è ancorata a una sola idea, ma prova a sfondare in tanti ambiti diversi. Se ad esempio un esportivo arriva all’aeroporto è accolto come un calciatore e la gente gli chiede autografi. Stiamo parlando di un paese che promuove il cambiamento e celebra i propri talenti in ogni ambito, poiché essi sono il vanto della nazione. Tutto il mondo dei breaker sa che i coreani sono i più forti del mondo, così come noi sappiamo che i coreani sono i migliori in ambito esportivo. Noi arriviamo sempre dopo 10 anni al cambiamento – anche più a volte -, ma, e ci tengo a precisarlo, quando sbarchiamo, spacchiamo tutto e facciamo emergere la qualità che ci contraddistingue. Quando ci mettiamo in gioco siamo al top, come a Fortnite, PES ecc. Abbiamo tanti nomi di spicco a livello internazionale, che però non sono valorizzati dalle nostre istituzioni. Le nostra società non ci aiuta ad emergere, ma anzi spesso ci mette in difficoltà. Io sono molto fiducioso, dato che quando siamo in difficoltà siamo tra i migliori e non ce ne è per nessuno.

Bryan Ronzani

Hai seguito il caso Google Stadia e quali ripercussioni ti aspetti sul mercato italiano e esports?

Cambia semplicemente il modo di giocare. Toglie artefici a livello strutturale, è tutto più comodo e mobile. Nella comodità c’è sempre un intoppo però: un giocatore hardcore non giocherebbe mai a Stadia, perché le infrastrutture non lo permettono. Nintendo Switch, sebbene sia una piattaforma assolutamente rivoluzionaria, su alcune cose ha insegnato, come il caso Overwatch; il refresh e la velocità rimangono un limite invalicabile per un hardcore gamer, che difficilmente troverà nel progetto Google un futuro. Sebbene esso cambierà il mercato, non penso che altererà il mondo del gaming. Oggi per giocare al competitivo vogliamo usare apparecchiature top di gamma e difficilmente scendiamo a compromessi, specialmente se si tratta di ambito Esports. Stadia lo vedo più come un progetto appetibile dai casual player, e non penso che sarà un vero competitor di Sony, Microsoft e Nintendo. Sicuramente però è una boccata d’aria fresca per l’industria videoludica ed è la tecnologia inevitabile che darà il là alla rivoluzione necessaria per il futuro dell’intrattenimento.

Pensi che un mondo senza console fisiche sia possibile in futuro, in una visione da qui a cinque anni?

Assolutamente sì, l’unico limite è l’Internet. Ben venga il progresso e il futuro, ma in una fiera, tipo Games Week, Romics e Lucca, sono sicuro che vedremo ancora console fisse, poiché l’hardcore gamer non si priverà mai della sicurezza di giocare al massimo delle prestazioni. L’Esports non si può permettere di essere completamente svincolato da un mondo con fili, specialmente in un’Era in cui League of Legends, Fortnite, Overwatch e quant’altro necessitano di una stabilita di connessione costante. Qualora ci fossero le infrastrutture adatte e i servizi lo permetteranno, ci si aprirà sicuramente a un’alternativa in salsa streaming.

Twitch potrebbe mai aprirsi mai al mondo del gaming come Google?

Non credo purtroppo. Twitch sta andando – stando alla mia esperienza sulla piattaforma – verso una direzione più a 360 gradi e il futuro vira verso la comunicazione globale, ma ambendo a diventare la TV del futuro. Lo sport, la politica in alcuni paesi e i programmi d’intrattenimento si sono trasferiti sul progetto e in futuro il gaming rappresenterà solo una fetta di quello che sarà il bersaglio principale di Twitch, ossia una comunicazione streaming a tutto tondo, capace di monopolizzare il settore delle comunicazioni. È la carta che sicuramente vorranno giocarsi in futuro.

Come vedi il futuro dello streaming? Sarà una rivoluzione, secondo te?

Basta pensare al mio progetto The Box, un progetto ambizioso e visionario, ma rischioso, anche perché bisogna convincere partner ad aderire a un progetto difficile da comprendere. Si tratta anche di un progetto di qualità che richiede dei costi elevati, tra stipendi e spese di gestione. Serve coraggio per anticipare i tempi, ed è difficile investire in cose mai viste. Io spero che i contenuti nel mondo dello streaming aumentino di livello, promuovendo contenuti più vari e dalla qualità elevata. Io ho 32 anni e trovo monotono riproporre sempre un contenuto amatoriale e, anche se dipende sempre dai target, ciò non toglie che i giovani d’oggi si siano dimostrati tutti professionali e zelanti. Quando questi ragazzi diventeranno grandi, si stuferanno di vedere il formato amatoriale, non perché sia problema, ma nella professionalità del progetto ci si aspetta di vedere qualcosa di nuovo. La mia speranza è vedere contenuti vari, più interattivi e con una produzione più ricercata. Dovrebbero esserci programmi vari e poliglotti, non solo il “ragazzo nella cameretta” che gioca: muoviamo i personaggi e chi ci lavora nell’ecosistema dello streaming per produrre novità. Bisognerebbe dare visibilità ai protagonisti e creare un network che estrapoli il gamer dal suo ambiente solito e lo metta al centro di nuove dinamiche. Il futuro sono i contenuti live perché hanno un sapore diverso e la gente ha voglia di interagire, quindi occorre spingere in questa direzione.

Sebbene abbia un nome così letterario, sin dalla tenera età egli matura un interesse per il genere RPG e quello fantasy, al punto tale da sognare di farne parte. Avete presente quei bambini che emulano l’onda energetica? Ecco, il suo sogno è invece quello di entrare nella realtà virtuale per lanciare lui stesso magie ai suoi nemici! Se non gli piace qualcosa, attenti, vi farà assaggiare la potenza degli elementi!