Quello di The Witcher è un brand ormai affermatasi nel cuore dei videogiocatori, innamorati della saga prodotta da CD Projekt Red. Inutile nasconderlo: i libri di Andrzej Sapkowski hanno raggiunto il loro vero periodo d’oro e il relativo successo globale solo quando la casa di sviluppo polacca ne ha realizzato tre giochi. Ma proprio dinanzi l’affermazione di Geralt di Rivia nel medium del gaming, e più timidamente – si fa per dire – con i romanzi di dell’autore, ci ritroviamo a parlarvi di qualcosa di inedito qual è la serie Netflix del franchise, in particolar modo dei primi cinque episodi dello show. Tra i dubbi e paure degli appassionati, che temevano una produzione distante dai titoli per console e PC, giunse dal cielo la prima conferma: la trasposizione sul piccolo schermo di The Witcher non segue gli eventi del gioco, bensì si ispira quasi interamente dai libri da cui è nata. Questo è un concetto su cui la fanbase si è spaccata, tra chi voleva il protagonista con l’iconica collana forma di lupo e chi, invece, era impazzito della narrazione di Andrzej Sapkowski. Da amanti dell’universo a 360 gradi, possiamo spezzare una lancia: sebbene l’opera Netflix sia più vicina ai testi letterari, la storia è strutturata in maniera tale da accontentare anche i fan dei videogiochi. Come avrete capito, c’è davvero molto da dire sulla realizzazione, e partiamo con un presupposto essenziale.
Il perfetto omaggio alla narrazione di Andrzej Sapkowski
Pochi sanno che gli eventi del libro primo nella timeline sono in realtà precedenti della storia del The Witcher del 2007 di CD Projekt Red. Perché vi parliamo nello specifico de Il Guardiano degli Innocenti? Perché la serie Netflix inizia da uno dei tanti racconti presenti al suo interno, raccontando poi altri di essi, sebbene non tutti, concentrandosi maggiormente su quelli che meglio definiscono la personalità di Geralt di Rivia e la sua evoluzione nel tempo, entrambi raggiungendo la stessa conclusione del romanzo iniziale. Per quanto la voglia di parlarvi in modo approfondito di come è stata gestita la storia sia tantissima (anche troppa), purtroppo non possiamo farlo per non rischiare di cadere in spoiler. Tuttavia, vi rassicuriamo dicendovi che noi, anche se abbiamo letto i libri e giocato i titoli, siamo rimasti più che sorpresi nel notare alcuni particolari collegamenti narrativi.
Nello specifico, possiamo affermare che sebbene gli eventi non seguono l’ordine de Il Guardiano degli Innocenti, la narrazione risulta essere fluida e attrattiva allo stesso modo. Se i romanzi di Sapkowski vi avevano stregato, la serie Netflix di The Witcher vi incanterà ugualmente, coccolando lo spettatore tra un episodio e l’altro e raccontando ogni volta una breve storia, riconducibile alle precedenti e successive ad essa, ma sempre godibile nella sua interezza. Il risultato è uno storytelling eccelso, che non copia i libri, ma che invece si ispira dalla loro capacità di intrattenere senza mai stancare o apparire ripetitiva. Ma per quanto questo aspetto possa già bastare per convincervi a fiondarvi sulla piattaforma, la vera magia sta nell’interazione tra i vari personaggi.
Le vicende di Geralt, Yennefer e Cirilla vengono narrate singolarmente, ma al contrario di come succede con il Witcher, i cui avvenimenti sono presentati con micro-storie, la storia dei fatti che riguardano le due ragazze è decisamente meno dinamica e più lineare. Attenzione, non stiamo dicendo che i racconti in questione siano noiosi, anzi, semplicemente hanno la capacità di catturare lo spettatore in un modo diverso, per quanto poco originale possa essere. Ma Geralt non è affatto il protagonista assoluto di dello show, non ruota tutto attorno a lui come potrebbe sembrare. La serie riesce a ripartire equamente i tre filoni narrativi dando a ogni eroe (ed eroina) il suo giusto spazio nella storia e senza eclissare nessuno. I personaggi hanno tutti un carattere e dei problemi che li distinguono e rendono unici, oltre a subire dei traumi che li porteranno poi a crescere interiormente. Paradossale è che proprio Il lupo bianco è la figura che cambia di meno: le due ragazze, invece, passano un processo più o meno duraturo di rinnovo caratteriale che le porterà ad essere la Yennefer e la Cirilla che conosciamo, almeno in parte. Va da sé che anche le tematiche toccate con le figure sono altrettanto varie.
Gli attori, tra volti noti e altri meno conosciuti
Geralt è un cacciatore, viaggia per il Continente in cerca di taglie e denaro, ma anche di mostri da uccidere e donne da… corteggiare. Il suo vero nemico è il mondo intero, dato che la razza dei Witcher, dei mutanti, non è ben vista né per le bestie e né per gli uomini, anche se tiene una spada per ciascuno. Tuttavia, invece di combattere contro i pregiudizi, preferisce evitarli. Yennefer, diversamente, deve lottare per avere un posto in quella società crudele e spietata; deve soffrire per essere bella, potente e letale come le altre, anche di più. Cirilla è una giovane ragazza in fuga dal suo passato e diretta verso il suo futuro, scritto ancor prima della sua nascita, in cerca della sua stessa identità. Storie dirette magistralmente e capaci di tenerci con gli occhi incollati sullo schermo, i cui veri protagonisti sono volti più o meno conosciuti del mondo televisivo e cinematografico, anche se abbiamo delle obiezioni.
Mentre la Yennefer di Anya Chalotra assomiglia al viso che ci si era impresso nella mente nelle ultime pagine de Il Guardiano degli Innocenti, la Cirilla di Freya Allan ha faticato a convincerci, ora per la lontana familiarità con la Ciri di The Witcher 3, ora per l’aspetto troppo candido e delicato della figura rappresentata. Il Witcher è rimasto ultimo non per minore importanza, ma perché merita una menzione speciale dinanzi a degli attori meno noti. Chi lo conosce, sa che il cacciatore di mostri è capace di essere rozzo ma anche romantico, scorbutico ma leale, cerca il denaro ma non è avido, uccide ma non è un assassino. Henry Cavill riesce sempre a rappresentare quel personaggio tanto sexy e attraente quanto minaccioso e, di fatti, pericoloso. Il Geralt di Cavill è quindi, a nostro avviso, l’interprete ideale per calarsi nei panni di un volto storico e ormai riconosciuto in tutto il mondo.
Il Continente in tutta la sua meravigliosa atrocità
Ma cosa sarebbe Geralt senza dei mostri da uccidere e un mondo misterioso da cui proteggersi? Il Continente della serie Netflix di The Witcher non ha bisogno di molte presentazioni, è crudo e squarciato così come lo ricordavamo sia nei libri di Sapkowski che nei giochi di CD Projekt Red. Le creature che lo popolano si dividono tra quelli che si nascondono nelle foreste, nelle grotte o nei laghi, e quelli che invece camminano tra le strade dei paesi o passano la notte in qualche locanda. Spoglio e violento, pronto a pugnalarci alle spalle in qualunque momento, l’universo della realizzazione sa sorprenderci e spaventarci proprio come ci aspettavamo, fortunatamente. Se colleghiamo le vicende dei protagonisti a un contesto tanto minaccioso e oscuro, il risultato è un setting spaventoso, facilmente riconducibile alla Westeros de Il Trono di Spade ma, con non poca sorpresa, più cupo di essa.
La parte più studiata dell’intera produzione viene in mostra quando le assi di legno delle taverne e i sentieri pieni di fango si colorano del sangue delle bestie o dei banditi: i combattimenti evidenziano un’attenzione maniacale nei piccoli dettagli, in come Geralt muove la sua spada o scaraventa via i nemici con il segno Aard. I movimenti di braccia e gambe, le espressioni facciali, i suoni, gli effetti speciali. Lo swordplay è perfetto e realistico al punto giusto, anche se ci teniamo a specificare che l’estetica di alcuni mostri non sempre riesce ad essere credibile come dovrebbe. In alcune situazioni molto specifiche si evidenzia un lavoro di post-produzione non proprio minuzioso, anzi, chiaramente appena sufficiente rispetto la qualità generale della serie. Parliamo di momenti in cui modelli e personaggi spudoratamente incollati sullo schermo che l’occhio più attento noterà, rovinando quel piccolo momento di epicità.
Nel complesso possiamo dire, senza peli sulla lingua, che The Witcher ha un potenziale enorme, sfruttato sempre molto bene. Ci sono bestie e uomini, fetide locande, tante brevi storie, questioni e diatribe politiche, guerre, magia e qualche scena di sesso che ci fa ricordare che a Geralt non piace solo sguainare le sue spade. Gli aspetti che più ci hanno fatto amare questa serie, da fan del brand, sono sicuramente lo swordplay e la narrazione magistralmente ispirata ai libri di Sapkowski. Tuttavia, ci rendiamo conto che coloro che hanno solo sentito parlare delle vicende del cacciatore di mostri potrebbero trovarsi spaesati di fronte un miscuglio di eventi, situazioni e personaggi, talvolta neanche collegati tra di loro sul piano temporale. Ovviamente questa non dovrà essere una limitazione dall’avviare il primo episodio, ma vi consigliamo comunque di stare attenti a ciò che accade su schermo. Il titolo riuscirà inevitabilmente a stregarvi, così come ha fatto l’autore con con i suoi romanzi, ma anche come è riuscita a fare CD Projekt Red con la sua saga di videogiochi. Ora come ora, però, il destino del franchise è quanto mai incerto. Solo noi ci siamo chiesti quale sarà il futuro delle avventure di Geralt di Rivia?