Kingdom Under Fire II Recensione

Kingdom Under Fire II

Lo ammetto, non sono mai stato un grande appassionato di MMORPG, e quelli sui quali ho messo personalmente le mani sono davvero pochi: parliamo di un Ultima Online pre-Renaissance, quando le Lost Land erano una novità assoluta e il confine tra PvP e PvE decisamente nebuloso, e di un Dark Age of Camelot nel quale i raid notturni venivano pianificati in mezzo a migliaia di finestre di ICQ (uno dei primissimi programmi di messaggistica istantanea… solo a menzionarlo, sento tutto il peso dei miei anni sul groppone), ma ho saltato a piè pari tutto il periodo di esaltazione collettiva per World of Warcraft e quanto gli ha fatto seguito, un po’ per un drastico calo di interesse nel genere e un po’ perché il mio tempo libero non era più lo stesso di prima. Tuttavia, ho sempre seguito con interesse lo sviluppo delle centinaia di altri esponenti della categoria che, nel corso degli anni, hanno tentato la scalata al successo con alterne fortune, e sono il primo a riconoscere i meriti di produzioni come Final Fantasy XIV (specialmente dopo le migliorie introdotte con A Realm Reborn), Guild Wars e Black Desert Online, anche se per ciascuno di loro ci siamo dovuti sorbire decine di Blade & Soul, Tabula Rasa, The Matrix Online e Tree of Savior… ma perché vi sto parlando di giochi di ruolo online quando ci troviamo di fronte ad un titolo i cui predecessori hanno spaziato dall’RTS ad una serie di ibridi tra strategia e combattimenti in tempo reale fino a Circle of Doom, che ha tentato senza successo la strada dell’action RPG puro in stile Diablo? E’ presto detto: Kingdom Under Fire II nasce infatti dieci anni fa (!) proprio come MMORPG “gratuito”, nel quale l’avanzamento dei propri eroi era proporzionale alle estenuanti sessioni di grinding cui eravamo disposti a sottoporci, oppure al quantitativo di soldi che il nostro budget ci permetteva di investire nell’acquisto di truppe, accessori e potenziamenti aggiuntivi: l’editore sudcoreano Blueside ha tentato diversi approcci per pubblicarlo al di fuori dei confini nazionali, tra i quali diversi lanci regionali circoscritti (i cosiddetti “soft launch”) sotto formule di accesso anticipato affogati in un oceano di microtransazioni. Infine, grazie all’aiuto della casa editrice Gameforge, che in molti associano al celeberrimo Ogame, Kingdom Under Fire II è stato localizzato e riprogettato per il mercato occidentale con un modello a prezzo fisso, completamente scevro di tutti gli aggressivi acquisti in-app che impestavano la versione originale, per darci modo di sperimentare liberamente il tipo di battaglie su larga scala e la progressione graduale in stile MMO che gli sviluppatori vogliono proporci. Ma sarà andato davvero tutto liscio?

Kingdom Under Fire IIDopo gli eventi narrati in Circle of Doom, il Signore dell’Oscurità Encablossa pone il fidato Reigner a capo delle truppe che invia dalla sua dimensione personale verso Bersia, nel tentativo di annientare una volta per tutte l’Età della Luce e sconfiggere tanto l’Alleanza Umana quanto la Legione Nera, le altre fazioni che si contendono il predominio del mondo. La trama è piuttosto convenzionale, e le meccaniche di base delle svariate quest e subquest, incentrate perlopiù su un costante andirivieni fra luoghi e persone per recuperare oggetti o portare avanti conversazioni vacue e frettolose, non migliorano di certo il primo impatto: purtroppo, complice il gravoso lascito F2P focalizzato sul tempo investito e non sulla bravura del giocatore, questo pattern ripetitivo ad nauseam è anche il modo più rapido per accumulare punti esperienza, poiché lo sterminio dei nemici sul campo richiede un quantitativo incommensurabile di ore per raggiungere i medesimi risultati, ed è un vero peccato considerata la qualità delle dinamiche action RPG e il genuino coinvolgimento che riescono a far scattare ogni qualvolta prendiamo il controllo di uno degli eroi schierati. Proprio come i suoi predecessori, Kingdom Under Fire II riesce infatti a dare il meglio di sé quando siamo impegnati a falciare orde su orde di nemici in perfetto stile Dynasty Warriors, sposando eleganti sequenze di attacchi combinati alle tradizionali abilità speciali che è possibile attivare come in un qualsiasi MMORPG, nonché agli elementi simil-RTS che ci consentono di impartire ordini specifici alle truppe sotto il nostro comando, il cui numero varia a seconda del livello raggiunto e delle limitazioni prestabilite dal territorio nel quale stiamo combattendo: sebbene ci venga effettivamente concesso il controllo di un massimo di tre unità più il nostro avatar, è possibile selezionarne fino a otto aggiuntive per comporre il proprio esercito personale, onde avvicendare le riserve qualora la situazione lo richieda oppure sostituire un eventuale membro sconfitto. La moltitudine di unità disponibili offre una ragguardevole sensazione di elasticità tattica e aiuta a rendere gli scontri ancora più avvincenti di quanto possano sembrare durante le prime battute.

Kingdom Under Fire II

Il particolare davvero impressionante di questa peculiare mistura tra RPG e RTS è che la transizione da una modalità di gioco all’altra e viceversa è quasi istantanea, fatta eccezione per alcune circostanze che impongono dei vincoli a tale facoltà. Il fascino principale della saga è sempre stato quello di consentire lo svolgimento di grandi battaglie campali con una tradizionale prospettiva a volo d’uccello, mediante la quale controllare l’andamento complessivo e modificare al bisogno le condotte adottate dai singoli plotoni, per poi immergerci nella mischia in prima persona e tentare di abbattere un feroce ogre che sta scaraventando in aria i nostri uomini come fossero fuscelli, oppure di scalfire il robusto carapace di uno scorpione troppo cresciuto. Varietà è la parola d’ordine di Kingdom Under Fire II, che mette a disposizione degli aspiranti comandanti circa ottanta unità diverse (roba da far impallidire persino i due Total War: WARHAMMER), proponendo sia i classici fanti, cavalieri, maghi e fucilieri che creature fantastiche come aquile giganti, scarabei corazzati, i succitati ogre e scorpioni e persino veicoli quali carri armati e bombardieri, inseriti alla perfezione nell’estetica steampunk del gioco. Le caserme possiedono un tetto massimo di reggimenti da ospitare, che è quindi possibile aumentare di livello e di grado per potenziarne le caratteristiche oppure sacrificarle per fare spazio ad altre milizie ritenute più utili e recuperare parte delle risorse impiegate per il loro sviluppo. La dimensione dei quartieri militari, al pari di quella di altri elementi dalle dimensioni definite come l’inventario personale, può essere ampliata spendendo Cubic, la valuta che nelle iterazioni originali richiedeva un equivalente in denaro locale per essere acquistata e che qui invece viene elargita quale ricompensa per il raggiungimento di determinati obiettivi, la conclusione di quest specifiche, i login consecutivi effettuati e via dicendo: è evidente che, data la natura del titolo, eliminare del tutto tale sistema avrebbe presupposto una significativa riscrittura del codice sorgente, dunque gli sviluppatori hanno scelto il compromesso migliore per ottenere il medesimo risultato, a completo vantaggio del giocatore che può quindi impiegare i Cubic anche per comprare pozioni, riparare l’equipaggiamento, far salire di livello le truppe e altro ancora. Da segnalare, tuttavia, l’aggiunta di un’ulteriore moneta virtuale legata a microtransazioni, ossia i diamanti, che possono essere utilizzati per mettere le mani su costumi o cavalcature esclusive dall’effetto puramente cosmetico. Difficile prevedere se prima o poi la cupidigia si farà strada tra le buone intenzioni di Blueside e Gameforge e sul negozio di diamanti inizieranno a spuntare oggetti vantaggiosi dal punto di vista funzionale, ma al momento tale problematica non desta alcuna preoccupazione.

Ciò che piuttosto mi ha lasciato interdetto è la presentazione complessiva: beninteso, per quanto Kingdom Under Fire II resti gradevole dal punto di vista visivo, con modelli poligonali robusti e dettagliati ed un utilizzo eccellente di palette cromatiche, illuminazione ed effetti particellari che vanno a braccetto con il respiro appariscente e funambolico dei combattimenti, è la voluminosa interfaccia grafica a tradire la realtà dei fatti, tanto per l’assenza di qualsivoglia personalizzazione quanto per la scomoda impossibilità di adattarla alle risoluzioni più recenti. Per fortuna, non siamo costretti a lottare anche con fastidiose distorsioni delle immagini o barre nere laterali, ma il perimetro delle schermate di gioco viene consacrato per sempre ad una ressa disordinata di riquadri informativi semitrasparenti che non possono essere riorganizzati in alcun modo. Altro difetto particolarmente cospicuo deriva dalla scarsissima cura riservata alla localizzazione, che fa sfoggio di rovinosi errori grammaticali e di frasi strutturate in maniera sospetta, tanto da sembrare opera di qualche traduttore automatico fuori controllo: per un titolo che contiene centinaia di migliaia di termini, espressioni e dialoghi da tradurre in genere qualche strafalcione si può anche tollerare, ma non quando questi ultimi infestano i messaggi di stato, gli avvertimenti sull’utilizzo corretto delle risorse o persino i tutorial, i quali fra parentesi offrono ben poche delucidazioni riguardo gli elementi più complessi del gameplay. Inoltre, giusto per aggiungere la beffa al danno, parte delle comunicazioni non sono state nemmeno tradotte dal coreano, e così in certi casi ci ritroveremo a consultare dei pannelli pieni di scritte in hangeul non proprio facili da interpretare. Ho l’impressione che il team di controllo e gestione della qualità dell’editore teutonico non sia stato coinvolto tanto quanto avrebbe dovuto. Per concludere, lo svolgimento della campagna viene spesso rallentato da bug, errori di vario tipo e crash occasionali, mentre il matchmaking per le porzioni online è molto divertente quando funziona, un po’ meno quando viceversa ci obbliga ad attendere interminabili minuti alla ricerca di un degno avversario per poi annullare di colpo la sessione o, peggio, impedirci di lanciarla a causa dell’ennesimo glitch che lascia disattivato l’apposito pulsante. Due parole ancora sulla colonna sonora, da me ingiustamente tralasciata: i brani sono tutti molto orecchiabili e coinvolgenti, ciascuno con una caratteristica impronta a cavallo tra l’epico, l’orchestrale e il metal, ma di fatto si tratta delle medesime tracce che era possibile ascoltare in Heroes e Crusaders con poco o nulla di inedito. Peccato.

https://www.youtube.com/watch?v=EaOjTfLALcQ

Dopo averne tessuto le lodi in apertura, confesso di essere dispiaciuto nel dover stroncare un titolo come Kingdom Under Fire II o, quantomeno, di trovarmi nell’oggettiva impossibilità di poterlo consigliare a tutti senza remore: vuoi per l’affetto che nutro per i suoi predecessori, vuoi perché a tutt’oggi resta una saga decisamente unica nel suo genere, ho apprezzato (quasi) ogni singola ora trascorsa in sua compagnia, ma sono anche consapevole di quanta fatica sia necessaria per immergersi nelle parti migliori che lo compongono e di come queste ultime siano tumulate sotto innumerevoli strati di obsolete convenzioni del genere. Potrei giurare e spergiurare che le battaglie valgano da sole il prezzo del biglietto di base (le versioni esponenzialmente più costose aggiungono qualche pacchetto bonus per consentire una partenza più agevole, nonché alcuni oggetti cosmetici nel caso della War God Edition, pertanto sono consigliabili soltanto ai sostenitori indefessi), ma la verità è che neanche loro sono sufficienti a giustificare il tedio e la frustrazione necessari per affrontarle. Kingdom Under Fire II sfoggia alcune frecce eccezionali al suo arco, ma il peso degli anni, la scarsissima cura riversata nell’adattamento e la sua intrinseca anima free-to-play, seppur smussata laddove possibile, gli impediscono di raggiungere quelle vette alle quali poteva aspirare.

Voto: 6.2

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.