Star Wars IX L’ascesa di Skywalker non è stato un film facile. Qui su GamesVillage.it ha ricevuto una recensione dagli esiti più che discreti, ma che non sdegna di rivelare quelle che sono le criticità dell’opera. L’episodio di chiusura della terza trilogia nasce dall’eredità non proprio chiara e coerente di due episodi che lo precedono. Gli Ultimi Jedi è stato definito l’outsider dell’intera saga e il più detestato sin dai tempi della Vecchia Repubblica, tanto da venire parzialmente colpito dal retcon della dell’Episodio IX.
Lungi da me il giudicare l’operato di professionisti come J.J. Abrams e Chris Terrio, che sono riusciti a condensare in 141 minuti la conclusione di una saga pluridecennale con esiti congrui alla luce dei pochi elementi gettati come fondamenta in Episodio VII ed VIII. L’intento dell’articolo è di analizzare alcune trovate di sceneggiatura non proprio audaci e figlie di alcune decisioni facili, non rispettose del materiale previamente scritto da altri autori, e fornire al lettore una visione alternativa delle stesse. Sarà un lavoro di what if, con tutte le premure del caso, perché fare lo sceneggiatore dal salotto di casa propria e decidendo arbitrariamente cosa sarebbe più giusto e sbagliato è sempre errato.
Quello che credo è che Star Wars IX L’ascesa di Skywalker è stata sì una conclusione di tre realizzazioni, ma per il modo con la quale ha introdotto nuovi elementi di sceneggiatura è assomigliato più ad un capitolo d’apertura. Quello che intendo dire è: con gli occhi giusti e un modesto sforzo di fantasia lo si potrebbe pensare come inizio di una nuova trilogia. Immaginatelo come Il risveglio della Forza: avrebbe stonato come avvio delle avventure del nuovo Star Wars? Scopriamolo insieme esaminando alcuni espedienti di narrazione e approfondimenti sui personaggi prescindendoli dalla loro qualità e canonicità all’interno della saga, ma mostrando come andavano forse posti sin dal principio e non solo al termine dei fatti.
ATTENZIONE! SPOILER!

In una galassia lontana lontana… un sequel troppo lontano
Eravamo rimasti con Gli Ultimi Jedi dove il Primo Ordine riceve l’ennesima sconfitta e Luke Skywalker lascia la forma corporea ed essenzialmente lo status-quo rimane lo stesso di Episodio VII: l’Alleanza Ribelle da una parte, i cattivi dall’altra. Pareggio. Siamo lontani quindi da quel clima di precarietà e di vittoria del male ne L’Impero colpisce ancora (opera d’intermezzo di una trilogia) oppure, per fare un esempio che si scosta dall’epica stellare (ma è pur sempre di epica che stiamo parlando), dall’imminente showdown conclusivo pronosticato da Gandalf nel finale de Le Due Torri. L’ottavo capitolo si chiude lasciando spirali aperte. Il nono, che dalla sua ha avuto la responsabilità di mettere un punto definitivo alla saga, apre inserendo elementi ex-novo che “profumano” molto di deus-ex machina. Cosa intendo dire? L’Imperatore è tornato e sta mandando segnali in tutta la galassia. La Nuova “minaccia fantasma”.
L’idea, che non critico né lodo perché questa non è la sede, di ripescare un personaggio apparentemente chiuso in Il Ritorno dello Jedi, non giunge così nuova o spiazzante. Già nell’universo espanso tratto dalle opere di George Lucas la ricomparsa dell’Imperatore era stato pronosticata, messo in scena in un fumetto non-canon (dove tra l’altro si vedono vari cloni di Palpatine galleggiare in incubatori similmente a Snoke). Come dire: la riapparizione dell’antagonista era lì, da qualche parte, in attesa di essere scritta. Il problema è stato nell’averlo gettato nella mischia, senza anticipazioni o presupposti, se non nel trailer un paio di giorni prima della release nei cinema, servendo a far metabolizzare il ritorno del villain. Un metodo meta-narrativo che si avvale di un altro strumento per avvicinare lo spettatore alla consapevolezza di un elemento di trama che altrimenti sarebbe giunto in modo improvviso e non previsto dai capitoli precedenti.
Qualcuno potrebbe giustificarlo come colpo di scena, ma un espediente del genere presume alcune regole sceniche precostituite che poi vengono distrutte dall’arrivo di un elemento nuovo e solo presagito, ma ritenuto plausibile. Su quest’ultimo punto, nulla da dire: già in La vendetta dei Sith aveva parlato dei mezzi che il Lato Oscuro aveva per sorpassare i limiti della morte, e il suo ritorno in una forma corporea potrebbe essere il contraltare dei Sith agli spiriti della Forza degli Jedi. Se gli emissari del bene tornano trascendendo il corpo, i diabolici avversari ne rimangono avvinghiati. Ma sul sentore che potesse far capolino nuovamente non c’è stata la minima traccia sino a quei violentissimi titoli di testa di Episodio IX.
Analogo discorso si può fare sulla flotta ammiraglia dell’Impero, costruita e armata in un angolo remoto della galassia, forte di manovalanza e gendarmeria – ufficiali, stoormtropper e tutto il corredario. Con Il Risveglio della Forza J.J. Abrams fece un ottimo lavoro spiegando, anche con la parabola di Finn, come il Primo Ordine era formato da orfani e bambini tolti alle proprie famiglie. Mentre con Star Wars IX L’ascesa di Skywalker, per la probabile esigenza di inserire il nuovo villain o forse per il poco tempo nel redarre lo script – ricordiamo che J.J. Abrams e Chris Terrio non hanno usato il materiale di Colin Trevorrow, originale director di Ep. IX – il ritorno dell’Impero appare lasciato a se stesso, velocemente, nella pigra rappresentazione di quei caratteri di quaranta anni prima proposti senza una reale sostanza ma solo per mantenere viva l’idea: il risultato è di un boccone freddo che vuole essere servito così com’è.

I Cavalieri di Ren
Loro non hanno mai ricevuto lo spazio che meritavano. Anticipati in Il Risveglio della Forza, assenti ne Gli ultimi Jedi, poi rimpolpati da rumors che li vedeva tornare in Star Wars IX L’ascesa di Skywalker, confermati da J.J. Abrams che voleva dare loro più minutaggio su schermo, per finire poi come ombre di Kylo Ren e come carne da macello quando questi compie la sua trasformazione in Ben Solo.
L’occasione mi suona come: “abbiamo in produzione tanti design scartati per Kylo, perché non crearci un team di supporto?”. E anche qui l’opportunità si trasforma in un fallimento: se fossero stati supportati da una scrittura più distesa – e riprenderemo questo punto più avanti – sarebbero diventati co-primari a Ren in grado di monopolizzare le scene e trasformarli in reali villains. Anche perché dato il loro aspetto avrebbero funzionato benissimo come “Nazgul stellari”.
E invece il loro unico showdown serve a metterli fuori uso – per sempre – ma non per il merchandising.

Il passato di Poe Dameron
Oscar Isaac ha fatto un ottimo lavoro. Il suo Poe Dameron, lo Ian Solo di nuova generazione, intrattiene, diverte, e per la prima volta lo vediamo in un ruolo di comando della Ribellione che risulta credibile. Pollice in su per lui quindi. Appare, invece, più oscura e con poca giustificazione, la volontà di inserire rimandi al suo background nel solo capitolo conclusivo, dove il pilota si rivela essere stato in passato un contrabbandiere di Spezia (riprendendo un elemento narrativo già citato in precedenti Star Wars e proprio del fantascientifico Dune di David Lynch). Il fatto che si riveli essere un trafficante solo nel corso dell’ultimo episodio, preclude ogni conflittualità, svolgimento e risoluzione del suo passato con gli altri personaggi. Assistiamo a qualche scaramuccia con Finn che domanda insistentemente del passato di Poe (stupendosi delle sue doti da tecnico-scassinatore), e una lontana romance tirata in ballo che funziona e strappa il giusto sorriso, anche e soprattutto per via degli ammiccamenti durante i festeggiamenti finali.
Questo del passato di Poe Dameron è l’ennesimo elemento introdotto in Star Wars IX L’ascesa di Skywalker, che manca si approfondimento e che avrebbe dato, previamente inserito, uno svolgimento, un scontro con altre figure– qualcuno non avrebbe accettato il suo passato ai confini della legalità, o magari le sue origini avrebbe portato danni su larga scala, per lui e per i suoi alleati. In tal modo saremmo riusciti a vedere il personaggio cambiare e compiere la sua parabola di trasformazione da contrabbandiere ad eroe, similmente a quanto è accaduto con Ian Solo nella prima trilogia o, più recentemente, con Finn, che abbandona le crudeltà del Primo Ordine e si allea con la Ribellione.
L’introduzione del passato di Poe Dameron in termini di investimento di scrittura e resa cinematografica è riuscito, ma rimane solo un dettaglio in più poco funzionale in un mosaico troppo esteriore.

La quest dei Sith
Un assassino di Jedi e un tracciatore in grado di scovare Exegol, il leggendario pianeta Sith. L’idea può anche piacere e il motivo della ricerca del luogo mitico accompagna la romanzistica d’avventura da molti secoli. Quindi, perché non farlo uno dei leitmotiv della nuova trilogia? Perché non costruire un lento avvicinamento di tutti i personaggi alla location e alla rivelazione della diade/dualità tra Palpatine/Skywalker. Sarebbe stato senz’altro un modo per creare più pathos attorno al misterioso covo del male e alla galassia remota. Così facendo l’ambientazione finale della resa dei conti avrebbe acquisito un ruolo e un’aspettativa maggiore. Invece l’enigmaticità che circonda Exegol sparisce subito, ugualmente al ritorno dell’Imperatore: il lato Oscuro arriva, si rivela, e poi sappiamo tutti come va a finire.
Avei preferito una lenta creazione delle aspettative, costruendo una ricerca del pianeta, magari con flashforward, flashback, visioni, personaggi che ne erano a conoscenza e menzogneri pronti a vendere leggende. E su schermo avremmo visto i due protagonisti, Rey da una parte e Kylo Ren dall’altra, andare a scoprire delle risposte sul loro passato su Exegol.
E invece no. Tutto si riduce ad un pattern riassumibile in questo modo: trova il prisma, collegalo alla navicella e avvia l’app Sith-Maps che vi porterà fino alla vostra destinazione. Ripeto: una soluzione narrativa troppo facile e non appagante.

Gli squilibri della Forza
Le manifestazioni della Forza si sono evolute negli anni grazie al progredire della CGI. Ma con Star Wars IX L’ascesa di Skywalker la scala di misura sull’uso di essa e su i suoi effetti ha superato ogni limite. Non voglio sindacare troppo su questo punto: in un cinema capitanato dalle edulcorate battaglie di Disney-Marvel, la Forza, intesa come era originariamente, metafisica, prodotto dello zelo, lasciata all’immaginazione dello spettatore, non avrebbe mai funzionato sulle nuove generazioni. E tutto sommato viste le nature incredibili degli ultimi due “jedi-sith”, esponenti di tradizioni plurimillenarie, possiamo immaginare – con un po’ di concessione e fantasia – come l’intero equilibrio di questo potere risieda in loro e doni loro capacità superiori a quanto visto negli altri film. Giustifico anche che Darth Sidious lanci un impulso elettromagnetico e l’intera flotta della Resistenza inizi a calare a picco: d’altronde siamo sul pianeta dei Sith pervaso da scariche elettriche: Palpatine avrà raccolto a sé quell’energia e convogliata in un unico grande flusso. Per dirla alla Shakespeare: “Mio il castello, mie le regole”.
Quello che però ho trovato davvero fuori canone è stato munire l’intera flotta imperiale del cannone in grado di polverizzare pianeti, un tempo privilegio della sola Morte Nera. Se da un lato l’operazione sminuisce l’arma definitiva della trilogia originale, e da un altro il pianeta star-destroyer de Il Risveglio della Forza, infine lascia lo spettatore spiazzato dovendo accettare quanto mostrato su schermo senza il minimo rimorso della credibilità.
Discorso analogo si può fare per il salto nell’iper-spazio, un tempo sinonimo di libertà e prerogativa unica del Millenium Falcon e poi diventato alla portata di tutti: caccia dell’Impero compresi. Quindi se da una parte la battuta di Poe Dameron alla vista di uno Stormtrooper con il jetpack funziona (“Ma adesso volano?”) l’aggiunta del viaggio interstellare concesso a qualsiasi navicella sminuisce una delle regole base della saga: il Male può raggiungere ovunque gli eroi alla loro stessa velocità. E proprio su questo punto continueremo nel prossimo paragrafo.

Una galassia piccola piccola
La conclusione della saga comincia con un countdown: 16 ore all’attacco dell’Impero che provocherà la fine dell’universo. In un clima asfissiante più adatto ad un Bond-movie che a lungometraggi epici, inizia l’ultimo viaggio nella galassia lontana lontana che non lascia tempo per pensare a grandi viaggi. C’è da notare che la scadenza temporale non si nota e non viene mai menzionata per l’intera durata del film ma rimane un opprimente senso di “corsa”. Si va di pianeta in pianeta, si completa la task, arriva il Primo Ordine e si ricomincia in uno schema ciclico. La minaccia degli antagonisti è sempre presente e la possibilità che sia ovunque distrugge alcuni equilibri di ritmo tra azione ed esplorazione, in una riproposizione di un campo di battaglia con colori e dinamiche differente. Spezziamo una lancia per le coreografie e le scenografie, in grado di rendere dei combattimenti all’arma laser nuovi dopo più di quaranta anni – su questo punto l’opera raggiunge la sua meta più alta.
Il pericolo come presenza ridondante taglia il fiato all’esplorazione, azzera la dimensione ludica del conoscere, dello scoprire. E a pagarne per questo ritmo incessante è l’immersività, ottenuta solo ed esclusivamente attraverso un infinito cardiopalma, un gioco al rialzo quasi futile. Lo spettatore è così avvolto da rimanere soffocato, e tanti saluti all’effetto “Guerra Stellare”.

La diade
E arriviamo al punto cruciale: la diade. Improvvisamente la struttura Star Wars assume una nuova caratteristica che cambia le carte in regola: Palpatine e Skywalker sono due famiglie che amministrano la Forza sin dalle origini. L’idea è un po’ forzata, perché non solo rende superflua la rilevanza di Anakin come “paciere” della Forza – ricordate la profezia di Qui-Gon Jinn? – ma inoltre costruisce attorno alla dinastia Palpatine – ma davvero l’Imperatore galattico ha una famiglia? – l’importanza vitale di quaranta anni di saga. Se estrapolato dal contesto ultradecennale del franchise, lo stratagemma può anche funzionare, perché riesce a spiegare il rapporto conflittuale/duale e poi complementare tra Kylo e Rey nel corso della trilogia più recente. Ma ciò che non convince, come al solito, è come la diade venga messa in scena e come lo spettatore prende coscienza di essa: ovverosia nel climax finale e nello spiegone dell’Imperatore, che torna come deus-ex machina.
Anche in questo caso, una costruzione a monte sin da Il risveglio della Forza con indizi e indagini dei personaggi sulla diade avrebbe lasciato che lo spettatore si avvicinasse naturalmente e recepisse appieno l’importanza di queste due famiglie nell’universo di Star Wars, amalgamando meglio il colpo di scena nel capitolo conclusivo. E invece, dopo due film in cui Rey rimbalza fra suggestioni di discendenze illustri e il totale anonimato, eccola acquisire consapevolezza del suo passato con una rapidità straordinaria in un solo episodio – con i numerosi flashback della famiglia poco eleganti e di facile soluzione. Magari si potrebbe pensare che ripercorra il proprio passato grazie alla resurrezione di Palpatine, che ha destato nella nipote quelle immagini similmente a come accade con Kylo Ren (“Io ero tutte le voci nella tua testa”), ma per il pubblico è soltanto un’altra presa di posizione degli sceneggiatori non suffragata da un contesto retrostante.

In conclusione mi trovo a dire che il lavoro di J.J. Abrams e Chris Terrio è comunque lodevole perché sono riusciti a porre una fine con esiti altalenanti una trilogia non nata sotto una buona stella e che avrebbe in ogni caso diviso critica e pubblico, come accade sempre quando si va a rimestare un’opera cristallizzata nella storia. La scelta dei temi trattati nell’articolo è arbitraria per quelle che credo siano state le occasioni più promettenti e tristemente mancate. Si potrebbe continuare a parlare del destino di molti altri personaggi e di cosa realmente hanno voluto raccontare i nuovi episodi di Star Wars. Ma magari per questo aspetteremo un altro appuntamento editoriale.