Ministry of Broadcast Recensione

Ministry of Broadcast

Partorito da brillanti menti dalla Repubblica Ceca alle prese con il loro primo titolo, Ministry of Broadcast è in grado di miscelare elementi di passate generazioni videoludiche in un format sicuro e solido, strizzando l’occhio a capisaldi della fantascienza distopica come 1984 di G. Orwell, The Running Man, oppure a reali eventi come l’esperimento carcerario di Stanford. Dopo Disco Elysium della ZA/UM arriva un altro titolo indie targato “Est” che riesce a coniugare importanti istanze narrative, non andando a perdere nemmeno un po’ dello smalto ludico: e Ministry of Broadcast riesce davvero, senza propendere nemmeno un po’ in una direzione o in un’altra, ad essere un chiaro esempio di come una grande storia può essere raccontata anche con un gameplay vecchio più di trenta anni.

L’occhio è sempre presente. Le telecamere sempre puntate. Il Broadcast è tutto. Lunga vita al Broadcast.

Occhi sul Display

La formula di Ministry of Broadcast sviluppata dall’omonimo team è semplice: prendere alcuni elementi noti a giocatori di tutto il mondo da moltissimo tempo, impreziosirli con una pixel art allo stato dell’arte, e poi forgiare assieme il tutto con una narrazione che sappia non darsela a gambe quando si tratta di topic narrativi scomodi. Ma prima di arrivare alla storyline, cuore pulsante dell’opera, cos’è realmente Ministry of Broadcast?
È un platform trial&error come Oddworl: Abe’s Oddysse o Prince of Persia (l’originale del 1989), ma anche, guardando a qualcosa di più recente, Limbo e Inside dei Playdead. Dovremo letteralmente morire e morire decine e decine di volte per superare tutte le peripezie che ci vengono messe innanzi nel crudele show televisivo seguito in tutto l’ecumene, in una futura era distopica dove l’umanità, divisa dal Muro, vive nei riflettori del Broadcast, e il nostro protagonista, senza un nome e senza una identità, deve affrontare le peripezie che gli vengono messe innanzi pur di poter ritornare dalla propria dolce metà.

Accompagnati da un fido corvo che si prenderà beffe di ogni nostra morte dovremmo saltare con tempismo, usare l’ingegno per risolvere puzzle ambientali, decifrare pattern di movimento delle guardie nemiche e delle innumerevoli insidie disseminate lungo le arene dello show. Lo stile grafico è asciutto e nitido e la pixel art, portata alla meraviglia, riesce a mostrare, attraverso la nitida crudezza dei pixel, uno scenario freddo e pericoloso. Il lavoro del team ceco però è talmente lodevole che, a fronte di uno scarno grafico, sono riusciti a caratterizzare in modo netto e convincente diverse location, alcune delle quali davvero differenti rispetto l’onnipresente grigio cemento dei primi stage, e con piccole minuzie in grado di infondere vita. Dal lume dei lampioni, al giggle del fulvo ciuffo del protagonista, al fumo delle sigarette delle guardie, passando per numerose – divertenti e grottesche – death scene, sino alle animazioni dei personaggi, riescono tutte davvero a caratterizzare e restituire fisicità ai movimenti. 

Ministry of Broadcast
Non avrei mai creduto di potermi affezionare così tanto a questi due ammassi di pixel. Eppure i dialoghi, la cura estetica, le animazioni e il rapporto tra Orangehead e il corvo sono uno dei motori trainanti di Ministry of Broadcast.

L’impianto narrativo di Ministry of Broadcast è essenziale. Mi ha davvero stupito quanto e come gli sviluppatori sono riusciti a rendere in una formula platform collaudata un titolo pregno di narrazioni, dialoghi e sottili citazioni, minuziose qui e lì, che non invadono mai lo schermo, rilegate allo spazio che gli compete: marginale. I dialoghi non sono eccessivi ma, anche in momenti inaspettati, demarcano le crudezze dello show, caratterizzano i profili psicologici, e aprono interessanti dibatti su come Orangehead sia costretto a fare pur di rivedere la propria famiglia. Nulla è lasciato al caso: il sadico gioco oltre il Muro non è sospeso dalla realtà ma è davvero un teatro di crudezze, velate da humor alla Monty Python, che porteranno il protagonista a crescere e a scoprire cosa realmente è accaduto al mondo divenuto una sterile prigionia, un esperimento al lume dei riflettori. E noi silenziosi giocanti, impossibilitati di far altro  – come il protagonista – che andare avanti ad assecondare la volontà del gioco senza altre scelte. Ma quando ci troveremo dinnanzi l’inaspettato, quando le logiche del gioco evadono dal ciclico sadismo ecco che nasce la meraviglia per un mondo poetico, profondo, meta-narrativo e onirico. 

Ministry of Broadcast
Lo schermo è un tripudio di dettagli e colori e il comparto sonoro riesce laddove l’occhio non giunge.

Pad in pugno.

Corri, salta con il giusto tempismo, stai attento alla pedana che traballa, schiva il feroce cane di guardia, solleva il montacarichi prima delle manganellate, salta, atterra, non spezzarti le gambe, salta ancora, ripeti. Essenzialmente è questa la formula platform di Ministry of Brodcast e incredibilmente non stanca, andando a riproporre in modo convincente e non particolarmente rivoluzionario un format cristallizzato nell’industria del gaming da più di trenta anni. Orangehead è smilzo e nella sua jumpsuit (ebbene sì, è una jumpsuit) avrà la meglio sulle avversità in dote al suo ingegno, alla sua agilità e cinismo. E a un rapido respawn che non interrompe il ritmo di gioco. Un leggero delay dei comandi, che inizialmente potrà generare avversità, si supera dopo poco e riesce a donare un feeling diverso e un contatto con il protagonista quasi tangibile. L’intento degli sviluppatori era quello di distanziare giocatore e giocato come se quest’ultimo avesse vita propria e l’obiettivo è stato colto in pieno.

Ministry of Broadcast
Ministry of Broadcast ci insegna come può esserci un’ottima regia anche in un’opera bidimensionale. Poi se ci uniamo anche una narrazione solida e ispirata, siamo a cavallo.

Gli enigmi e i puzzle ambientali saranno molti e a prima vista non sarà difficile rimanere incagliati per minuti e minuti in una routine di macabre morti ma, facendo fede al genere di provenienza, basterà cambiare punto di vista, pensare fuori dagli schemi, osservare quel dettaglio prima nascosto, che la matassa si sbroglierà liberandoci dall’impasse. A tal proposito servirà un po’ di immersione, iniziare a decifrare lo stile grafico e i suoi elementi, comprendere con cosa si può interagire e con cosa no, e il tutto fluirà senza intoppi. Difatti le interazioni con lo scenario saranno ridotte all’osso potendo manovrare per lo più con manovelle, tasti a pressione, casse pressorie, scale mobili e ascensori. Ma non dimentichiamoci gli altri concorrenti: come ho fatto capire prima, il Broadcast è uno show crudele. Homo homini lupus. E Barefoot (uno dei nomi per l’ignoto Orangehead) dovrà usare ogni risorsa a sua disposizione, anche umana, pur di farcela. Ma d’altronde questo è il suo ruolo… ma su questo non vi dirò oltre! Sennonché: nulla è lasciato al caso, ogni elemento è al suo posto, e vi stupirà sapere quanta narrazione, anche silenziosa, è all’interno di Ministry of Broadcast. Merito quindi va fatto agli sviluppatori che in sede di presentazione del gioco hanno sigillato in una cassaforte ogni dettaglio aggiunto della trama.

Con un po’ di tempo Ministry of Broadcast diverrà un’avventura immersiva, longeva, in grado di farci dimenticare il mondo lì fuori e regalarci un’allegorica visione della nostra società, senza fronzoli o abbellimenti, in una ironica e spregiudicata chiave di lettura. Social media, nazionalismo, totalitarismo sono i primi temi toccati, andando poi a volare più in alto, verso vette spirituali. E, quando tutta l’avventura sarà finita, credetemi, salutare quel ciuffo rosso e quel corvo gracchiante non sarà poi così facile.

Ministry of Broadcast è la prima sorpresa del 2020 videoludico, disponibile su PC e prossimamente su Nintendo Switch. Il titolo indie ci aveva già catturato prima dell’uscita, al punto che abbiamo intervistato gli sviluppatori, e ora la sua release ci conferma che il platform riesce laddove le più grandi produzioni falliscono: emozionare e saper divertire con intelligenza forte di una libertà creativa fuori canone. Il team ha davvero messo anima e cuore, riuscendo a stupire per trovate registiche e narrative originali e dialoghi sagaci. Se poi a questo colpo vincente aggiungiamo un gameplay solido e levigato con una direzione artistica davvero curata al minimo pixel, posso davvero che fare i complimenti ai ragazzi cechi e sperare di rivederli in futuro. E non necessariamente in grandi produzioni doppia, tripla, quadrupla o quintupla A: Ministry of Broadcast ci ricorda che per saper confezionare qualcosa di buono il denaro non è tutto. 

Non esisto. E anche se esistessi ignorerei dove sono. Perso nel NET o nel Lifestream, in qualche arcipelago sperduto dell'Alaska, forse nell'Arkham dei Grandi Antichi e, più lontano, tra montagne di D20, alla destra di Padre Ilùvatar, in un sogno b/n. Dove sono, chi sono? Nel dubbio, scrivo.