Half-Life Alyx Recensione: Miracolo Valve… ora la VR non fa più ridere!

Half-Life Alyx

Il mondo dei videogiochi, e soprattutto quello di cui lo commenta (a tutti i livelli) tende a volte ad allinearsi all’atteggiamento del compianto Maurizio Mosca, giornalista sportivo che, nella famosa rubrica del “pendolino”, traeva le conclusioni più disparate sul futuro della stagione calcistica, talora azzeccando, talora fallendo clamorosamente, ma riuscendo sempre a strappare un sorriso agli spettatori.

Negli anni, i “pendolinari” si sono spesso e volentieri esibiti in frasi del tipo “Nintendo è morta”, “I Pokémon sono un franchise destinato a scomparire” o “Ormai tutto il mondo giocherà solo ai titoli multiplayer”. Sappiamo com’è andata a finire. L’argomento favorito dagli utenti del pendolino è probabilmente la realtà virtuale, tema sul quale è stato detto tutto e il contrario di tutto, fin dalla sua comparsa nei radar degli appassionati di videogiochi. Come Nintendo (che non a caso con il suo Virtual Boy si è cimentata anch’essa stessa nel campo, in qualche modo), anche la VR è stata già dichiarata morta almeno tre volte nel corso della sua vita, così morta che infatti siamo qui a parlare del primo episodio di Half-Life interamente pensato per questo medium.

La linea editoriale della nostra redazione del resto è sempre stata molto chiara al riguardo della realtà virtuale, dedicando in tempi non sospetti una delle copertine di Game Republic a Oculus Rift, in tempi in cui la VR era ancora una tecnologia in fase più che embrionale, appannaggio di pochi visionari additati come sognatori un po’ folli, quando non addirittura rei di prendere lucciole per lanterne. Già all’epoca sarebbe bastato dare un’occhiata alla cover di Forbes di qualche mese dopo per vedere che l’intuizione era giusta: il giovane Palmer Luckey, autore della rivoluzione di Oculus Rift, campeggiava sulla copertina di Forbes, con la VR che definitivamente entrava nell’immaginario collettivo, libera dai pregiudizi che la vedevano come relitto di un certo immaginario Anni 80 incarnato da film come Il taglia erba. Insomma, l’idea che la VR fosse molto più di una moda passeggera era già ben chiara a questo gruppo fin dall’inizio, che non si è trovato quindi affatto stupito di fronte alla maestosità di Half-Life: Alyx, e del conseguente successo, sbandierato a suon di perfect score anche (e soprattutto) da un nutrito numero di scettici della prima ora, ora fulminati dalla rivelazione di Gabe Newell e pronti a giurare di aver sempre creduto nel nuovo medium.

Realtà virtuale: istruzioni per l’uso

Nella vita come nell’analisi delle tecnologie, è bene approcciare tutto socraticamente e cum grano salis, dunque questa recensione non è volta a santificare Valve e sancire un qualsivoglia rinascimento della VR o un qualsiasi tipo di rivoluzione, ma senza dubbio il suo scopo è gioire dei progressi che sono stati fatti in questo campo, e ancor prima godere del fatto che questo tipo di sperimentazioni non solo non siano state abbandonate, ma continuano a essere al centro delle politiche di compagnie come Valve.

L’approccio dei game designer nei confronti di Alyx è in realtà stato molto intelligente e conservativo, partendo da un’esperienza che, in effetti, sembrava già nata tanti anni fa per essere esperita in realtà virtuale. Half-Life Alyx riesce con astuzia (perché lavorando in VR, sì, l’astuzia è sempre meglio averne in abbondanza e a portata di mano) a mantenersi fedele alla formula classica della serie, mandando così in brodo di giuggiole i fan ma allo stesso tempo “riciclando” tantissimi elementi che si prestano in maniera perfetta al tipo di controllo che ci si aspetta in VR.

In altre parole, lo stesso sistema di gestione della fisica che aveva reso immortale Half-Life 2, è stato semplicemente recuperato per essere usato in questa esperienza immersiva, complici i controller ormai standard per la virtualità introdotti a suo tempo con Oculus Touch. Paradossalmente molto di quanto si vede in Alyx si poteva assaporare già in Half-Life 2, il primo gioco messo a disposizione da Steam per essere usato con un visore attraverso il supporto ufficiale. Il rovescio della medaglia di un approccio così cauto, in realtà, è che Half-Life Alyx potrebbe tranquillamente essere esperito su di un monitor tradizionale (a confermarlo, per giunta, il puntuale arrivo della mod); con un po’ di acrobazie mentali si potrebbe azzardare che le proporzioni del mondo di gioco e la composizione visiva sono in effetti costruiti in maniera così strettamente legata alla dinamica immersiva, che uscito dal visore il gioco perderebbe la sua essenza (ma non il suo senso).

La VR è nulla senza controllo

Appare piuttosto chiaro che il processo di consolidamento del game design in realtà virtuale è ancora del tutto in divenire, com’è giusto che sia, e che Half-Life Alyx lavora molto intorno ai limiti, il primo dei quali è senz’altro l’impossibilità di proporre un gameplay eccessivamente frenetico, che chiaramente renderebbe l’user experience notevolmente scomoda, soprattutto per giocatori che non sono abituati alla VR; il flusso di gioco rimane quindi quello che ci aspetterebbe da un Half-Life, basato dunque su esplorazione (sempre e comunque a mio avviso la componente che funziona meglio in VR), sui puzzle legati alla gestione della fisica e sui combattimenti, il cui ritmo è per forza di cose più pacato (tradotto: ci sono meno orde di nemici), compensando tuttavia sulla sensazione di appagamento molto immediata derivante dall’uccidere un nemico letteralmente a pochi passi da noi. Half-Life. Alyx è stato progettato senz’altro come un’attrazione da parco a tema, chiamato quindi a puntare sulla presenza del giocatore dentro il mondo come principale attrattiva, senza dimenticarsi mai però delle regole base del game design e nella fattispecie del level design, di cui Valve è maestra assoluta, risultando in un gioco che esiste in funzione della VR, ma mai affossato da un eccesso di gimmick ridondanti (che erano invece tipici dei primi film 3D visti al cinema).

Il ritmo più lento del gioco è in realtà una freccia al suo arco, dal momento che chiaramente tutto ciò permette di osservare meglio i dettagli, con una regia costruita ad arte per trarre il massimo dalle potenzialità immersive del device di realtà virtuale, nonché ottimizzata con lo scalpellino per quanto riguarda gli effetti visivi a disposizione e il frame rate, responsabile com’è noto del livello di comfort raggiungibile dentro un’esperienza così particolare. Così come non bisogna essere prematuramente entusiasti nel decretare la ribalta della VR, al tempo stesso è importante apprezzare il lavoro conservativo, ma ambizioso, di Valve, che ha chiaramente proposto qualcosa che sfrutta completamente le attuali potenzialità del medium virtuale, ma che al tempo stesso non espande in maniera particolarmente significativa le sue capacità espressive. La VR al momento è come un gatto di Schrödinger: morta e viva al contempo, ma sarà compito dei designer di domani cambiare prospettive e portare il felino definitivamente alla luce.

Gabe Newell, o del novello Michelangelo

Dunque, il successo e la bellezza di Half-Life Alyx sono di per sé sufficienti per consacrare questo gioco e i suoi futuri sviluppi come killer application della VR, in virtù di una magnificenza artistica e tecnologica alla quale ben pochi altri studi al mondo si potrebbero allineare. L’attenzione al più minuscolo dettaglio e a ogni zona del livello, dalla più irrilevante alle scene madre, è ciò che rende Half-Life: Alyx un’esperienza memorabile, probabilmente destinata a portare significativamente in avanti la palla e settare uno standard qualitativo effettivamente in grado di traghettare il medium VR verso la commercializzazione di massa.

Ma se Half-Life Alyx è una performance spettacolare, al tempo stesso la VR ha molto più bisogno di prove generali e grandi fallimenti, ovvero i principali fattori in grado di portare una tecnologia avveniristica all’attenzione di un pubblico mass market. Half-Life Alyx VR gioca ovviamente sul sicuro, rivelandosi, almeno dal punto di vista di chi scrive, una riproposizione rifinita alla massima potenza di quanto era già possibile osservare anni fa. Il punto è che la VR non ha bisogno di rinascimenti o di messia di alcun genere, ma semplicemente di tempo per fiorire, di early adopter visionari e di grandi cadute. Questo perché l’uso della realtà virtuale è uno sviluppo inevitabile del mercato dei videogiochi, e la dimostrazione sta nel suo ritorno ciclico, ben diverso invece da quello di altri tipi di tecnologie (come la realtà aumentata) che si sono da sempre rivelati solo mode passeggere e nient’altro.

Alla fine della storia, dunque, Half-Life Alyx altro non è che una meravigliosa demo tecnica, in grado di mostrare cosa si potrebbe fare attualmente con la realtà virtuale, qualora tutti gli sviluppatori si allineassero allo standard qualitativo proposto da Valve. Il motivo dietro la mancanza di un perfect score sta quindi proprio nell’impossibilità di poter considerare completo ciò che è, in realtà, solo un magnifico plateau tecnologico e creativo, dunque non il pinnacolo dirompente di una tecnologia che rivoluziona il modo di pensare dei design, bensì la massima espressione e sintesi di tutto quello che viene proposto e studiato da anni in ambito VR. Fin dai tempi in cui appunto veniva data per spacciata da coloro che oggi sono saltati sul carro del vincitore.

Molte delle lezioni di design che vengono offerte giocando ad Alyx sono dei letterali manuali di world building pensato per il 3D immersivo, con molte soluzioni prese di peso dall’architettura nel mondo reale, attingendo per esempio a soluzioni estetiche e funzionali che ricordano il modo in cui i grandi artisti del Rinascimento gestivano le proporzioni, enfatizzando la profondità delle cattedrali tramite artifizi estetici: Valve non avrebbe potuto creare un’esperienza migliore di Half-Life Alyx per portare gli scettici a credere e portare la VR oltre la curva dell’early adoption finora osservata.

Half-Life Alyx VR riesce a dimostrare cosa può fare la realtà virtuale, ma non quello che potrebbe fare. Quello sta nella testa dei designer, ma anche nella vostra testa e in quella di ogni persona che, dalla fioritura letteraria del genere cyberpunk in poi, ha immaginato il mondo informatico come un cyberspazio, appunto, dove condurre le proprie vite alternative. Half-Life: Alyx altro non è quindi che un apprezzabilissimo passo da gigante nel processo di costruzione di uno standard di paradigmi e regole per la VR, tanto sul fronte tecnico che su quello del level design. Si parte, o meglio, si continua da Half-Life Alyx, dunque, per avvicinarci a quella visione di paradiso artificiale preconizzata dal Neuromante di William Gibson, e che neanche cinque anni fa è stata recuperata dal creatore di Oculus Rift, Palmer Luckey. Il risultato ultimo sarà costruire un mezzo in grado, alla fine, di portarci in quello scenario fantascientifico degno di Sword Art Online, ispirazione del giovane Luckey e senza ombra di dubbio punto di arrivo ideale di ciò che il videogioco incarna in sé fin dalla sua stessa nascita. Con Valve, e Half-Life Alyx, oggi quel sogno è un po’ più vicino.

Veniva da un lontano pianeta in cerca di videogiochi belli, poi sono arrivati i MOBA e ha impostato la retromarcia sull'UFO. Di lui, sulla Terra, rimane un simulacro artificiale (età biologica: 26 anni ca.), dall'interfaccia altamente avanzata. Continuate pure a interagirvi: non si noterà la differenza.